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Tano è un ragazzo di Sicilia. «Della Sicilia greca, quella semplice. Del resto dell’isola non conosco quasi niente». È nato a Lentini, in provincia di Siracusa, ma da cinquant’anni gira l’Europa inseguendo il bello

Tano è un ragazzo di Sicilia. «Della Sicilia greca, quella semplice. Del resto dell’isola non conosco quasi niente». È nato a Lentini, in provincia di Siracusa, ma da cinquant’anni gira l’Europa inseguendo il bello. Roma, Firenze, Germania, Danimarca, Francia, ora la Spagna, in Catalogna. Tano Pisano, sessantaquattro anni, vive lì, a due passi dal mare. Dipinge e cucina, le sue grandi passioni. Non c’è un solco nella sua vita, fornelli e pennelli sono l’espressione di un unico io, di uno stesso sentimento. «Sono un artigiano, non un artista. Di artisti ne nascono tre o quattro in un secolo. Dipingere è una necessità, cucinare è una passione». È tornato a Firenze con una personale (da oggi al 20 aprile) all’Accademia delle Arti del Disegno, il tema è il mondo marino e i suoi abitanti, i “Peix”, che è anche il titolo della mostra. «La pittura è tutta la mia vita. Ho guardato, imparato, ascoltato. La cucina è un’ arte minore, non puoi fare drammaturgia o melodramma. L’unica cosa drammatica che ti può capitare ai fornelli è bruciare tutto. Però cucinare per gli altri mi dà gioia, pienezza». In Danimarca aveva un ristorante, il Den Gule Cottage, il cottage giallo, poco fuori Copenaghen. «È un monumento nazionale, un vecchio stabilimento per la villeggiatura che è bruciato – racconta –. L’unica cosa rimasta in piedi era questa casina gialla che ho risistemato e trasformato in un piccolo ristorante, solo ventiquattro posti e due o tre piatti al giorno. Venire a cena lì era come venire a cena a casa mia». Anche la regina di Danimarca ci andava, affascinata da questo signore curioso e imprevedibile, capace di conquistarti con un carciofo. «La prima volta che li ho serviti i clienti sono rimasti per qualche minuto a guardarli, non sapevano cosa fossero». Dipingeva e cucinava. Professore di belle arti, chef di belle speranze. «In Danimarca sono stato una specie di missionario. Non si trovava niente di italiano, più facile racimolare qualcosa di mediterraneo o di francese. La mia era una cucina sperimentale». Oggi è vicino di casa di Ferran Adrià, lo chef che con i suoi esperimenti ha cambiato il modo di cucinare. «L’ho conosciuto e sono stato a cena da lui. Ma Ferran più che un cuoco è un chimico. La sua è una cucina che sorprende, a me piace una cucina di sapori». Ora Tano si è messo in testa di spiegare agli spagnoli come mangiare la ricotta. «In Spagna la mangiano soltanto con il miele, come dolce». Per questo ha scritto un libro che uscirà a ottobre, si intitola “Ricotta e ricotta”. Una sorta di manuale con le istruzioni per l’uso. «Continuo a sperimentare. Ci vuole tecnica per essere un bravo artigiano, senza la tecnica non puoi fare niente. E questo vale nella pittura come in cucina». Nella mostra fiorentina sono esposti anche alcuni piatti in porcellana decorati che Tano usava nel suo ristorante. E tante volte l’ispirazione nasce proprio in cucina, lì dove sapienza e passione si mescolano alla fantasia. «L’arte, come la cucina, deve essere popolare, alla portata di tutti. La mia più grande soddisfazione è quando la gente capisce le mie opere. Gli intellettuali non mi piacciono, si sentono una classe superiore e distorcono tutto. L’arte è immediata, comunica sensazioni. Proprio come un buon piatto». È il suo mondo che ritorna. Un confine indefinito dove tutto trova una sua dimensione, dove si mescolano colori e odori. Sapori. Senza barocchismi, senza troppi orpelli, senza concettualismi. «Morandi è stato il mio maestro spirituale» dice presentando la sua mostra. Tra acquerelli di gamberi, sardine, sgombri e barattoli di acciughe.
Data recensione: 06/04/2011
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Giuseppe Calabrese