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In uno scritto datato 1961, Ardengo Soffici annotava: “l’anno scorso Sigfrido Bartolini fu per alcune settimane al Forte dei Marmi, dove mi fece vedere parecchi suoi dipinti eseguiti in riva a quel mare e per quella felice campagna

Una mostra e il catalogo dei “monotipi” ricordano il grande artista pistoieseIn uno scritto datato 1961, Ardengo Soffici annotava: “l’anno scorso Sigfrido Bartolini fu per alcune settimane al Forte dei Marmi, dove mi fece vedere parecchi suoi dipinti eseguiti in riva a quel mare e per quella felice campagna, i quali confermavano la mia idea e il mio giudizio. Gli procurai un incontro col mio vecchio collega ed amico Carrà, ed anche questi fu del mio stesso parere, circa quei lavori, non senza accompagnare, naturalmente – come ho sempre fatto anch’io –  la sua approvazione e il suo incoraggiamento con avvertenza, restrizioni e consigli, utili ed adeguati alla ulteriore formazione di un giovane ben disposto ed avviato... nel caso presente, dirò solo che confido nella perseverante sincerità del Bartolini; che in questi suoi lavori è sensibile il suo spontaneo amore della natura, la valida capacità di esprimere la sua visione del vero; e, che, infine,i suffragi da lui già ottenuti mi sembrano una abbastanza promettente garanzia per il suo prevedibile avvenire”. Quel “prevedibile avvenire” è ora “passato”, essendosi ormai conclusa la vicenda umana ed artistica di Bartolini, scomparso a  Firenze il 24 apriledel 2007; era nato a Pistoia il 21 gennaiio del 1932. Un passato fatto di quasi mezzo secolo di intensa attività, storicizzato dalla critica più autorevole e coronata e coronata da un successo espositivo di grandi soddisfazioni, che trovò un momento particolarmente importante di riconsiderazione dell’intera sua produzione nella mostra curata da Carlo Fabrizio Carli, nel 2000, alla Triennale di Milano. Ad un anno dalla sua scomparsa giunse l’omaggio di un bel volume-catalogo curato da Elena Pontiggia, edito da Mazzotta ed occasionato dalla encomiabile mostra promossa ed organizzata dalla città di Acqui Terme; una importante e singolare mostra curata da Giulia Ballerini a Sesto Fiorentino, articolata in due esposizioni, riunite dal titolo (“Sigfrido Bartolini. Nel segno del vetro”) ma dislocate in due sedi espositive (La Soffitta Spazio delle Arti e il Centro Antonio Berti) e la pubblicazione del catalogo generale dei “monotipi” a cura della Pontiggia peri tipi di Polistampa (che ha pubblicato anche il catalogo della mostra di Sesto), danno ora modo di approfondire aspetti particolari del lavoro di Bartolini, arricchendo così di nuovi contributi l’approfondimento dell’opera del maestro pistoiese. In particolare la doppia sede espositiva della mostra vuol sottolineare due diversi aspetti della complessa produzione dell’artista; in una sede, infatti, viene riproposto un significativo campionario della sua opera grafica dedicata a Pinocchio, mentre nell’altra vengono esposte le quattordici “Vetrate moderne istoriate” realizzate, per la chiesa dell’Immacolata a Pistoia, proprio nel laboratorio sestese “Vetrate Artistiche Fiorentine” tra il 2005 e il 2006; il catalogo dei monotipi, che furono molto apprezzati da Soffici, rappresentano per l’artista una originale partecipazione a quello che, specie negli anni ‘40 e ‘50, fu un vitalissimo e singolare episodio dell’arte italiana, in cui rifulge una studiata immediatezza, insieme colta e popolare. Come ci dice la Pontiggia, i fogli di Bartolini ci appaiono nel loro insieme come “il frutto di una raffinatezza popolaresca, di una tradizione che ha il sapore di una nascita, di una fedeltà al passato che non si traduce nel formalismo di rituali estinti, ma nell’immediatezza di cose vive. Per questo dalla loro felicità malinconica, e dalla loro facilità difficile, abbiamo molto da imparare”. Nato, come si è detto, a Pistoia, Bartolini ha compiuto gli studi sotto la guida, fra gli altri, di pietro Bugiani; durante la prima giovinezza può dedicare alla ricerca espressiva solo le ore notturne (“preso dalla necessità di guadagnarsi il pane – ricordava Soffici –  il giovinetto era costretto ad alternare il suo lavoro di disegnatore e di pittore con quello di artigiano; ma già nei saggi che via via andava mostrando era palese l’inizio d’un reale talento e di una vera vocazione ad esprimere poeticamente la sua visione delle cose”) e pratica soprattutto il monotipo, una delle poche tecniche per cui è sufficiente la luce artificiale. A partire dai primi anni Cinquanta si dedica completamente alla pittura, alternandola a una profonda passione per l’incisione e a un incessante attività di scrittore, critico e polemista.
Data recensione: 01/02/2011
Testata Giornalistica: Era2000
Autore: Michele De Luca