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Dopo “Filosofia negli scacchi” di Giangiuseppe Pili edito come numero speciale da “Scacchitalia” (Febbraio 2010 [2001], pp. 150) ancora un altro saggio filosofico sugli scacchi. Lo scrive Giovanni Gualtieri, con il titolo “Stallo matto”

Dopo “Filosofia negli scacchi” di Giangiuseppe Pili edito come numero speciale da “Scacchitalia” (Febbraio 2010 [2001], pp. 150) ancora un altro saggio filosofico sugli scacchi. Lo scrive Giovanni Gualtieri, con il titolo “Stallo matto” e il sottotitolo “La dialettica degli scacchi come metafora dell’umanità” (Edizioni Polistampa, Firenze, 2009, pp. 110).
Il titolo è, almeno ritengo e non conoscendo se l’autore è anche uno scacchista, impreciso o, al contrario, solo provocatorio. Tutti gli scacchisti sanno, infatti, che “stallo” e “matto” indicano due momenti della partita completamente differenti, anche se non sempre, almeno per alcuni principianti, ciò è perfettamente comprensibile. Si ha lo “scaccomatto” quando un Re subisce un attacco di un pezzo nemico e non gli è possibile eliminarlo o di spostarsi in altre case perché controllate a loro volta da altri pezzi avversari, oppure occupate dai propri. Chi riesce a darlo vince la partita. Lo “stallo” avviene, invece, in condizioni particolari: quando un Re pur non sotto scacco è costretto, non avendo la possibilità di spostare altri pezzi, a muovere ma non può allontanarsi in altre case contigue perché controllate da uno o più pezzi avversari o occupate dai propri pezzi. Pertanto il Re è costretto a rimanere immobile, altrimenti sarebbe subito catturato dai pezzi avversari. Poiché il regolamento dice che il Re non può volontariamente mettersi sotto scacco e poiché non può muovere altri pezzi, ecco che la partita viene dichiarata patta per stallo, con la spartizione del punto e senza vincitori. “Stallo matto”, pur chiarendo tutto ciò ne prescinde in quanto, dopo avere esposto una breve storia degli scacchi e le sue regole, inizia a trasformare il gioco a metafora e filosofia di vita, soprattutto sulla scorta delle intuizioni di Jorge Luis Borges e di un suggestivo legame tra il Bergman de “Il settimo sigillo” e l’ontologia esistenziale di Heidegger e di Kierkegaard. Riflessioni che conducono l’autore a interrogarsi sul “big bang”, sui “buchi neri” e sul significato delle regole che governano l’universo e il suo e nostro destino. Ecco allora che è possibile interpretare gli scacchi e la sua “dialettica” come uno strumento per comprendere il senso del nostro essere nell’universo e, soprattutto, il concetto di “singolarità”. Ogni scacco matto, afferma Gualtieri è in realtà uno “stallo matto”: il Re è vinto e quindi non può muoversi. Ma non può neanche venir “catturato”! Aggiunge: “ogni scaccomatto è in realtà uno «stallo matto» poiché, quando accade, la partita termina all’istante e viene così «pietrificata», senza che in senso ontologico ci siano né vincitori né vinti. Nella nostra vita noi giochiamo la nostra partita a scacchi col destino avendo davanti un’unica prospettiva: quella d’arrivare fino allo stallo matto, ma non oltre. Lo stallo matto rappresenta quindi il vero e proprio «orizzonte degli eventi» della nostra esistenza, le colonne d’Ercole del buco nero di là dal quale non siamo più gli esserci che siamo”.
Una tesi non sempre condivisibile ma un saggio ugualmente interessante con pertinenti riferimenti scacchistici e con un coraggioso richiamo religioso. Capace di far riflettere sul senso della famosa frase di Albert Einstein “Dio non gioca a dadi con l’universo” ma, piuttosto, “a scacchi”, come ebbe a sostenere Friedrich Dürrenmat in una famosa conferenza al Policlinico Federale di Zurigo. E, sempre con le parole del commediografo, è affascinante aggiungere: “se Dio avesse scelto un gioco di dadi, le regole sarebbero statistiche. Anche l’uomo deve scegliere; il gioco scelto da Dio decide se la sua scelta è quella giusta”. 
Data recensione: 01/12/2010
Testata Giornalistica: CCI-Italia
Autore: Gregorio Granata