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Ho trascorso buona parte dell’infanzia a Modine, una piccola frazione montana residenza natale dei nonni, abitata da pochissime anime di contadini bestemmiatori, ma allo stesso tempo timorati di Dio, che si toglievano sempre il cappello quando passavano d

Ho trascorso buona parte dell’infanzia a Modine, una piccola frazione montana residenza natale dei nonni, abitata da pochissime anime di contadini bestemmiatori, ma allo stesso tempo timorati di Dio, che si toglievano sempre il cappello quando passavano davanti alla chiesa. E c’era solo quella, oltre al cimitero. Nemmeno un negozio, se vogliamo escludere un piccolo bar che cercava di vendere di tutto, dove si giocava a carte e si beveva vino a mescita. Nemmeno a parlarne del divieto di fumo! Il lunedì mattina Modine si svuotava; era giorno di mercato a Loro Ciuffenna e tutti vi scendevamo. Vecchi mercati, con cadenza settimanale, intorno ai quali girava la vita economica di questi piccoli paesi. Il giorno di mercato si concludevano tutti gli affari; si litigava e si faceva pace, si parlava con il Sindaco, con l’avvocato, con il geometra; si andava dal medico o dal parrucchiere. Si compravano polli e galline, farine e sementi.
Qui, in questo clima montano in provincia di Arezzo, è nato, nel 1918, Venturino Venturi. Nel 1921 il padre, a causa delle sue idee politiche, è costretto a lasciare l’Italia con la famiglia, recandosi prima in Francia e poi in Lussemburgo. Venturino rimane legato alla sua terra natale, grazie anche ai racconti paterni, per farvi ritorno finiti gli studi. A Firenze Venturino studia prima all’Istituto d’Arte di Porta Romana, diretto da Libero Andreotti e successivamente all’Accademia delle Belle Arti e, come tanti artisti del suo tempo, frequenta il Caffè delle Giubbe Rosse. Qui avrà modo di incontrare e stringere amicizia con molti esponenti del salotto culturale dell’epoca, tra cui Parrochi, Pratolini, Rosai, Luzi, Montale ed altri ancora. Partecipa alla guerra dove viene gravemente ferito, ma riesce comunque a essere presente con le sue opere alle principali rassegne d’arte, oltre alla sua prima personale nel 1945. Nel 1953 vince in ex-aequo con lo scultore Emilio Greco il Concorso Internazionale per il Monumento a Pinocchio, indetto dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi. A Venturino il progetto per la piazza circondata da un muro sagomato rivestito con le scene principali della storia di Pinocchio per ben 900 mq di superficie musiva. Un’opera immensa sotto il peso della quale crolla fino ad essere ricoverato nel manicomio di San Salvi a Firenze.“Fu questo un periodo umanamente triste, ma, dal punto di vista artistico, felicissimo: Venturino poteva secondare le sue fantasie, riempiendo di disegni a pastello coloratissimi grandi fogli di carta da pacchi. Le declinazioni allegre e tristi de mito di Pinocchio si rivelano in questi sfoghi in presa diretta della fantasia dell’artista, e così si chiarisce il percorso complesso e profondo di riflessione e di immaginazione di cui la piazza di Collodi costituisce una tappa fondamentale: tra gli altri emerge il motivo della figura femminile e materna, che dalla Fatina dai Capelli Turchini giunge all’immagine cristiana di Maria; ma con esso convivono quelli della felicità fanciullesca, dell’ingenuità di Pinocchio, dell’incombenza del male, delle apparenze bizzarre della vita; e a questi spunti si sovrappongono ricordi della vita quotidiana, volti di familiari e di amici, nostalgie degli spazi intuiti nelle sue composizioni astratte” (Antonio Caleca).
Dagli anni Settanta Venturino si ritira a vita sempre più appartata, prima a Firenze e dopo nella sua terra natale, a Loro Ciuffenna, vicino a quel torrente dove andava a raccogliere i sassi grezzi per le sue opere.
Il Comune di Arezzo, l’Archivio Venturino Venturi in collaborazione con la Regione Toscana, la Provincia di Arezzo e il sostegno della Banca Etruria, lo ricordano con una mostra “Visioni Parallele. Venturino Venturi e il Novecento” allestita negli spazi espositivi della Galleria Comunale di Arte Contemporanea di Arezzo, fino al 9 gennaio 2011, curata da Lucia Fiaschi con Antonio Caleca e Liletta Fornasieri, catalogo edito da Polistampa. Caratteristica della mostra è la contrapposizione e la relazione tra le opere di Venturino e quelle di altri artisti del suo tempo. La mostra conta circa 100 opere, in gran parte inedite, composta da sculture, dipinti, disegni e fotografie sia di Venturino che di alcuni maggiori artisti italiani del Novecento. Tra questi, solo per citarne alcuni, Antonio Bueno, Francesco Messina, Primo Conti, Lorenzo Viani, Ottone Rosai, Lucio Fontana e tanti altri. “Sempre stupiti di fronte alle anticipazioni di molti dei lavori di Venturino…, siamo tentati di scegliere il silenzio quando ci troviamo dinanzi alle portentose immagini sacre, che non illustrano il testo sacro, ma abitano il Divino. Sono immagini che suscitano sconcerto, e tanto sono semplici da sconfiggere il nostro ruolo di indagatori, il nostro affanno di spiegare, di fissare una cronologia, di comprendere il prima, il poi e il perché. Se di fronte alla vasta produzione di Venturino, soprattutto a quella di più facile lettura nella documentata periodizzazione dell’evoluzione dell’arte, siamo in grado di stabilire analogie e confronti, dianzi all’intera sua esperienza di artista avvertiamo il desiderio di sottrarci ad ogni valutazione estetica, imboccando quasi senza accorgercene la via del silenzio” (Lucia Fiaschi).
In silenzio mi sono trovata davanti a “Ecce Homo”, un’opera del 1983, in legno scolpito, creata a due mani: Venturino e la natura. Una domanda sorge spontanea: fu l’uomo a trovare l’albero, o fu l’albero a trovare l’uomo? Oppure, più semplicemente, si sono cercati per tutta la vita, fino ad incontrarsi per sempre in quel connubio perfetto che formano la natura e l’arte?
Data recensione: 02/12/2010
Testata Giornalistica: Arte e Arti
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