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La grafia sfocata della matita segna i versi di un poeta ventunenne. E poi le foto, accanto ad altri manoscritti, le veline di tante stesure battute instancabilmente a macchina, una moltiplicazione di carte autografe a cui si aggiungono edizioni di libri, sceneggiature di film, romanzi, articoli, appunti di viaggi. Testi corretti e ricorretti, un continuum dinamico, che comprende anche disegni di paesaggi, ritratti e autoritratti. E un’immersione nella vita di Pier Paolo Pasolini, nel suo operare concreto di scrittore, contaminando forme, creando la «lingua scritta della realtà» come definiva il cinema. A 35 anni dalla sua tragica scomparsa, la sua “officina” si rivela per la prima volta al pubblico con una mostra che presenta una parte dei documenti dal fondo che il Gabinetto Vieusseux-Archivio contemporaneo Bonsanti ha ricevuto nel 1988 dall’erede della madre di Pasolini, Gabriella Chiarcossi. Non era facile ordinare una scelta che rappresentasse la vasta e complessa produzione del poeta, scrittore, critico, saggista, polemista, cineasta e pittore, tra i tanti materiali «deposito della memoria» ― osserva la direttrice del Vieussesux Gloria Manghetti ― che intrecciano appunto le sue molteplici esperienze espressive. Ecco il perché del titolo Pasolini. Dal laboratorio voluto dai curatori Antonella Giordano e Franco Zabagli, e della scansione cronologica.
Il percorso inizia con una vetrina di traduzioni che attestano il successo planetario del poeta e scrittore, con copertine dei suoi libri tradotti in ogni lingua, dal cinese all’arabo. «Peccato che a tanta fama non corrisponda una comprensione reale del personaggio ― spiega Zabagli ―. C’è una vulgata che lo iconizza, lo lega a certi conformismi, che lui per primo attaccò». Così, attuale anzi attualissima, resta la sua critica a quella “mutazione antropologica” oggi realizzata a oltranza, «che già non tollerava negli anni ’70 ― prosegue Zabagli ― figuriamoci quanto siamo lontani dalla sua professione di autenticità». Non resta che rileggere il “laboratorio” pasoliniano: la sua “zoventùt ” (1940-’50) nelle bozze e nei manoscritti di Poesie a Casarsa, rimesse in bella copia con frontespizio, estampate nel ’42 a Bologna, le lettere di Contini e Calvino con gli apprezzamenti. La fase della poesia civile a “Roma” (1950-’60), con Le ceneri di Gramsci, i romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta, gli appunti per i dialoghi a Notti di Cabiria, scritti con Fellini, Flaiano e Pinelli, le canzoni per Laura Betti nel ’60. I tanti film: dal ’61 al ’75 Pasolini ne gira quasi uno all’anno, tra cui Mamma Roma, Il Vangelo secondo Matteo nel ’64, Uccellacci e uccellini nel ’66, Edipo re, Teorema, Porcile e Medea nel ’69, il film scandalo Salò o le 120 giornate di Sodoma nel ’75. Un lavoro pressante, eppure organico all’attività letteraria, scorre nelle vetrine tra locandine, foto sul set, appunti. Infine Petrolio, libro summa, «ancora ben lontano dall’essere capito in tutte le sue risonanze formali» sostiene Zavagli. Domani la Sala Ferri a Palazzo Strozzi ospiterà (17.30) l’inaugurazione della mostra, con la presentazione del libro Il film dei miei ricordi, autobiografia della madre di Pasolini Susanna Colussi, ora edita da Archinto, e presentata dalla cugina Graziella Chiarcossi e dal nipote Nico Naldini, con Rosellina Archinto. Pasolini. Dal Laboratorio è aperta fino al 21 gennaio in via Maggio 42.
Data recensione: 17/11/2010
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Mara Amorevoli