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Sono gli atti del Convegno internazionale organizzato dal «Comitato nazionale per il VI centenario della nascita di Leon Battista Alberti» e tenutosi a Firenze nei giorni 16-18 dicembre 2004. Dopo la Premessa dei curatori (pp. 13-16), che illustrano le fi

Sono gli atti del Convegno internazionale organizzato dal «Comitato nazionale per il VI centenario della nascita di Leon Battista Alberti» e tenutosi a Firenze nei giorni 16-18 dicembre 2004. Dopo la Premessa dei curatori (pp. 13-16), che illustrano le finalità del Convegno, inizia la I sezione del volume, Prospettive generali, introdotta dal contributo di Cesare Vasoli, Alberti e la cultura filosofica (pp. 19-57), che ricostruisce le letture degli autori classici sui quali si formò l’umanista fiorentino riscontrando la presenza di temi filosofici della cultura greca e latina, quali la follia, il moralismo stoico, l’insecuritas dell’esistenza umana, soprattutto nel Theogenius e nel Momus. Giovanna Rossi invece (L’Alberti e la cultura giuridica quattrocentesca: il ripudio di un paradigma culturale, pp. 59-121) colloca alcuni aspetti del pensiero dell’autore nel dibattito tardo-medievale che mirava alla riforma del sostrato ulpianeo del diritto, evidenziando il suo ripudio della scientia iuris e mettendolo in relazione con il suo pessimismo “moralistico” sull’uomo; a tal riguardo propone anche un confronto con la riflessione di Enea Silvio Piccolomini sottolineando l’influenza esercitata su entrambi dall’Etica nicomachea di Aristotele in merito al rapporto tra “natura sociale” e innata malvagità dell’essere umano.
Segue il contributo di Sandro De Maria e Simone Rambaldi, Alberti archeologo (pp. 123-62), che sottolinea come le “indagini archeologiche” di Alberti si rivelino sempre parte di una rinnovata ricerca di gusto architettonico su forme e proporzioni, tale da superare l’erudizione antiquaria in direzione di una personale creatività. D’altra parte, tali ricerche, proprio perché capaci di sceverare l’antico dalla sua rielaborazione moderna, favoriscono la storicizzazione delle architetture classiche, donde la accurate descrizioni di strade extraurbane, cinte murarie, impianti idraulici ed edifici di culto che riempiono le pagine del De re aedificatoria e della Descriptio urbis Romae. Con l’intervento di Lucia Battaglia Ricci («In ozio e in ombra». Alberti, Boccaccio e la novellistica antica, pp. 173-99) il campo di indagine di sposta sulla produzione narrativa dello scrittore umanista, connotata da un dialogo fecondo con le fonti antiche (in particolare Luciano di Samosata) ma anche con la novellistica trecentesca; a tal riguardo la studiosa coglie una serie di analogie tra il Decameron di Giovanni Boccaccio e le Intercenales: in particolare tra la novella di Landolfo Rufolo (Dec., II 7) e Fatum et Fortuna; tra quello di Alatiel (Dec. II 7) e Naufragus; tra vari spunti boccacciani e Maritus.
Il contributo di Marta Guerra (Alberti e Bologna, pp. 203-22) inaugura la II sezione degli Atti (I luoghi dell’Alberti), illustrando alcuni documenti notarili dell’Archivio di Stato di Bologna che testimoniano della presenza dello scrittore nella città felsinea negli anni 1426-1427, documenti che confermano le memorie del nobile bolognese Carlo di Giovanni Ghislieri, che ricorda l’Alberti quale frequentatore della propria biblioteca; sulla base di queste testimonianze, Guerra prova a ricostruire le possibili frequentazioni dell’umanista presso la locale università, da Giovanni Aurispa a Gasparino Barzizza, da Francesco Filelfo a Lapo da Castiglionchio il Giovane fino ad Antonio Beccadelli detto il Panormita. Roberto Cardini (Alberti e Firenze, pp. 223-66) ricorda invece il rapporto dello scrittore con Firenze, un tormentato e ambivalente dialogo di odio e amore, tra legame affettivo ed identitario e avversione per la cultura dominante della città toscana, come documenta la polemica con Leonardo Bruni (De commodis litteratorum atque incommodis); in tal senso però smentisce la tradizionale identificazione del personaggio di Libripeta delle Intercenales con Niccolò Niccoli, riconoscendo piuttosto in questa figura un simbolo più generale della degenerazione sterilmente erudita degli studia humanitatis. Cardini evidenzia soprattutto il significato del soggiorno a Firenze del 1434, al tempo della revisione linguistica dei Libri della famiglia, e il tentativo di avvicinare il lessico del trattato all’uso vivo della parlata fiorentina, ennesimo omaggio dello scrittore a quella tradizione della città che poi cercherà senza successo di rinnovare con il Certamen coronario del 1441, donde la definitiva partenza per Roma due anni più tardi. Spetta invece ad Antonia Tissoni Benvenuti illustrare il soggiorno di Alberti a Ferrara (pp. 267-91), con un’indagine che privilegia soprattutto l’accertamento dell’influenza esercitata dallo scrittore e architetto sulla corte estense e sull’ambiente culturale ferrarese e che giunge all’individuazione di alcune tessere albertiane negli Amorum libri di Matteo Maria Boiardo, nonché nel riconoscimento del ruolo dell’Alberti nella fortuna di Luciano tra gli intellettuali attivi nella città durante la seconda metà del Quattrocento.
Familiari, dedicatari, interlocutori e altri contemporanei è il titolo della III sezione, inauguarata dal contributo di Alessio Decaria («Sempre a te piacquero le cose mie»: Francesco d’Altobianco e Alberti, pp. 301-38) che approfondisce l’amicizia e il rapporto intellettuale che costituiscono i precedenti di quella lettera prefatoria al III libro del De familia e del breve dialogo Cena familiaris che rivelano i rapporti dell’Alberti con Francesco d’Altobianco. Veronica Vestri, invece, delinea i contatti tra Leon Battista Alberti e Alberto Alberti (pp. 339-47), rapporti documentati dall’epistolario, favoriti anche dalla comune condizione di esiliati e dal condiviso desiderio di tornare ad essere cives florentini. Il compito di presentare la figura di Francesco Marescalchi, canonico, arciprete di Trecenta e dedicatario degli Apologhi, è assunto invece nel saggio di Enrico Peverada (Un corrispondente dell’Alberti in cura d’anime: il canonico Francesco Marescalchi, pp. 349-74), che approfondisce anche la riflessione albertiana sul rapporto tra letterato e autorità religiosa rileggendo alcune pagine del Pontifex e della Vita sancti Potiti. Incentrato invece sulle possibili influenze di Alberti sulle Facetiae di Poggio Bracciolini è il contributo di Stefano Pittaluga (Alberti e Poggio Bracciolini, pp. 375-86), il quale ritiene improbabile che gli Apologhi albertiani abbiano in qualche maniera caratterizzato l’opera di Bracciolini per motivi cronologici, e tende a ridurre anche la possibilità che la lettura delle Intercenali abbia pesato nella composizione delle Facetiae, essendo queste ispirate alla tradizione novellistica e farsesca laddove le prime risultano invece legate all’umorismo filosofico di matrice lucianesca. Michelangelo Zaccarello (Ancora su Alberti e Burchiello: sul testo e sull’esegesi della tenzone e altri testi connessi, pp. 387-414) mette a frutto le ricerche condotte per l’edizione delle poesie di Burchiello (I sonetti del Burchiello. Edizione critica della vulgata quattrocentesca, Bologna, Commissione per i tesi di lingua, 2000) per ricostruire la tenzone poetica tra l’Alberti e il “barbiere di Calimala” (rappresentata dai testi che nella cit. ed. hanno numerazione LIII-LVI, LXXXVI e CLXXIV) e approfondisce la lingua e lo stile dei sonetti burchielleschi e di quelli albertiani avanzando proposte di datazione.
A Nicola di Vieri dei Medici (pp. 441-65) è dedicato il contributo di Raffaella Maria Zaccaria, che presenta la figura del co-protagonista, insieme ad Agnolo Pandolfini, del dialogo albertiano Profugiorum ab aerumna libri, ricostruendone il profilo biografico (l’attività di banchiere e il ruolo nel panorama politico fiorentino del tempo) ed intellettuale (i rapporti con Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini e Niccolò Niccoli), e illustrando la raccolta di sue lettere inedite conservate nell’Archivio di Stato di Firenze (Carte Strozziane e Fondo Mediceo avanti il principato). Luca Boschetto si sofferma sul mercante fiorentino Paolo Niccolini (Un iciarco albertiano: Paolo di Lapo Niccolini, pp. 441-65) confrontando il personaggio delineato dall’Alberti in qualità di uno degli interlocutori del suo dialogo De iciarchia con la figura storica testimoniata dal libro di ricordi (tuttora posseduto dai discendenti, i marchesi Niccolini), e riscontrando la sostanziale somiglianza tra ritratto albertiano e autoritratto memorialistico del Niccolini. Approfondendo quindi il senso religioso dell’esistenza che traspare nelle pagine del citato dialogo, rileva l’assenza di un fondamento cristiano nel messaggio finale del De iciarchia e attribuisce appunto alla sensibilità albertiana, lontana da ogni spiritualismo, la scarsa diffusione fiorentina di quest’opera.
Attinenze albertiane nelle frequentazioni antiquarie di Ciriaco d’Ancona (pp. 467-94) è invece il titolo del saggio di Stefano G. Casu, che, leggendo e confrontando alcuni passi del De re aedificatoria del fiorentino e dell’Itinerarium dell’anconetano, evidenzia le affinità tra i due scrittori relativamente all’interesse per l’architettura classica, considerata modello non solo estetico, ma anche ideologico e morale, per il simbolismo egizio e gli emblemi, nonché il patrimonio epigrafico lasciato dagli antichi. Temi che vengono approfonditi nel contributo di Paolo Pontari, Alberti e Biondo: archeologia a Nemi (pp. 495-539), che mette in relazione il perduto opuscolo di Alberti Navis, che conteneva notizie sul tentato recupero (nel 1446-1447) delle navi romane dal lago di Nemi, con l’excursus su tale argomento ospitato nella trattazione della Regio tertia dell’Italia illustrata di Biondo Flavio, relazione ipotizzabile anche sulla base della comune conoscenza di un possibile tramite quale Lapo di Castiglionchio. Rinaldo Rinaldi («Larvatus prodeo»: vecchie e nuove ipotesi sull’Alberti e Valla, pp. 541-602) tenta una ricostruzione dei possibili rapporti tra l’umanista fiorentino e quello romano, nonostante l’assenza di riferimenti reciproci negli scritti dei due intellettuali, ma evidenziando tuttavia un possibile dialogo tra il Momus albertiano e il De Voluptate di Valla, soprattutto nella riflessione sulla disputa tra stoicismo ed epicureismo.
La IV sezione, con la quale comincia il II volume, raccoglie invece contributi sulla lingua dell’Alberti e si apre con un saggio di Nicoletta Maraschio su Il plurilinguismo italiano quattrocentesco e l’Alberti (pp. 611-28) che valorizza la vocazione combinatoria albertiana sul piano linguistico e stilistico, non solo per il ricorso ora al latino ora al volgare nella composizione delle sue opere, ma per l’impiego di un italiano che alla base fiorentina aggiunge voci dal greco, dal latino classico e medievale, da altre varietà regionali, in particolare padane. Le riflessioni svolte dalla Maraschio sulla coscienza linguistica dell’Alberti aprono la strada al contributo di Paola Manni che approfondisce la Grammatichetta dell’umanista (Il volgare toscano quattrocentesco fra realtà e rappresentazione nella ’Grammatichetta’ albertiana, pp. 629-53) e rileva come lo scrittore sia stato assai puntuale nella descrizione degli elementi peculiari del fiorentino del XV secolo sul piano fono-morfologico, ma abbia mancato la registrazione delle novità della lingua municipale del tempo (le desinenze femminili plurali in -e, i possessivi invariabili mie, tuo, suo, la desinenza in -ono del perfetto forte plurale ecc.). Paolo Biffi interviene poi su La terminologia tecnica dell’Alberti tra latino e volgare (pp. 655-82) collocando la trattatistica dello scrittore fiorentino nel contesto delle pratiche linguistiche del tempo (con il volgare impiegato solo per la medicina, la matematica e la geometria, e le altre discipline descritte esclusivamente in latino) ed evidenziando i procedimenti di innovazione lessicale (da basi latine e volgari, spesso quest’ultime d’uso quotidiano) impiegati nel De pictura e nel De re aedificatoria. Infine, Anna Siekiera sposta il discorso su un piano specificamente stilistico (La scrittura volgare di Alberti, pp. 683-91) evidenziando il ricorso a un registro lessicale di tipo familiare e scelte retoriche legate all’osservazione della natura (in particolari metafore zoomorfe) nella scrittura in prosa volgare dell’autore dei Libri della famiglia.
La V sezione degli Atti riunisce saggi sull’Incidenza dell’Alberti sulla letteratura italiana ed europea: comincia Davide Canfora (Alberti modello di letteratura politica in età umanistica, pp. 699-717) che rileva l’influenza del Momus, del De commodis litteratorum atque incommodis e delle Intercenali sulla letteratura politicologica italiana dei secoli XV-XVI: sul De infelicitate principum di Poggio Bracciolini e sui Discorsi sopra la prima Decade di Tito Livio di Niccolò Machiavelli, ma anche sui Cinque canti di Ludovico Ariosto. Continua Tiziano Zanato con un contributo sui rapporti tra Alberti e Boiardo lirico (pp. 719-45), evidenziando riprese lessicali, recuperi sintagmatici, prelievi di versi albertiani (dalle Rime ma pure dalla Deifira e dall’Ecatonfilea) negli Amorum libri. Alessandra Mantovani studia invece Amicizia e conversazione in Alberti e Pontano (pp. 747-62), evidenziando la ripresa di temi ciceroniani, in particolare l’ideale stoico dell’amicizia, nel De sermone del Pontano e nei Libri della famiglia di Alberti. Carlo Vecce si incarica poi di illustrare il Sannazaro lettore del ’De re aedificatoria’ (pp. 763-84) così come documentato dallo zibaldone autografo viennese (Wien, Ōsterreichisches Staatsbibliothek, ms. Lat. 3503). Il delicato problema dei rapporti tra la Hypnerotomachia Poliphili e l’Alberti è affrontato da Isabella Nuovo con un contributo che da subito sgombra il campo da improbabili attribuzioni (Alberti e il ’Polifilo’ di Alberto Colonna, pp. 785-825), ribadendo quella tradizionale, ma riconoscendo la ricca serie di prestiti albertiani contenuti nel romanzo del misterioso monaco veneto, prestiti tratti dal Theogenius, dai Profugiorum ab aerumna, dal De re aedificatoria, ma anche dalle opere erotiche come la Deifira, l’Ecatonfilea, la Sofronia, il De amore e l’Amator; e indicando inoltre in Alberti la probabile fonte del gusto per i geroglifici egiziani che percorre la Hypnerotomachia. Alle affinità di pensiero tra Alberti e Machiavelli è poi dedicato un contributo di Gian Mario Anselmi (Impeto della fortuna e virtù degli uomini tra Alberti e Machiavelli, pp. 827-42), che coglie in entrambi gli autori il forte significato etico dell’“arte dell’edificare”, quale attività non solo pratica ma soprattutto etica, espressione dell’uomo che esplica la sua grandezza morale nell’opporsi al caos della realtà e della storia attraverso la fattiva concretizzazione di un progetto concepito dalla sua mente, un tema che entrambi derivavano dalla riflessione svolta su alcune celebri pagine petrarchesche (De vita solitaria, Familiares, V 5 e XV 2-3, De remedis utriusque fortunae) e che si ritrova nei Libri della famiglia e nel De principatibus. Infine Théa Piquet illustra il rapporto tra Alberti e la rinascenza francese (pp. 843-57) a partire dal ruolo svolto in tal senso da Geofroy Tory, stampatore di Francesco I e promotore della diffusione in Francia della cultura italiana, e dalla testimonianza degli Essais di Montaigne sull’importanza dello scrittore fiorentino.
Data recensione: 01/01/2009
Testata Giornalistica: Filologia e critica
Autore: Chiara Di Giorgio