chiudi

In un elegante formato tipografico dall’inusuale, ariosa impaginazione che rende la lettura oltremodo accattivante, questo nuovo lavoro pirandelliano di Elio Providenti ha il pregio della

In un elegante formato tipografico dall’inusuale, ariosa impaginazione che rende la lettura oltremodo accattivante, questo nuovo lavoro pirandelliano di Elio Providenti ha il pregio della novità letteraria sostenuta dal rigore scientifico. Non è propriamente una biografia critica né un’autobiografia che s’immagini raccontata dal celebre personaggio. Questi Colloqui non avvengono neppure tra interlocutori alla pari, ma semmai nella stanza immaginaria d’un confessionale sui generis, in cui si materializza quello Spirito magno che vuol così evocare la verità del suo passato, e contestare le tante false interpretazioni corse su di lui.
Nel lontano 1990 Providenti pubblicava Archeologie pirandelliane in cui rintracciava e analizzava per la prima volta le diverse stesure riguardanti i frammenti rimasti del Belfagor, il poemetto ispirato al Machiavelli che non venne mai pubblicato, anzi distrutto dallo stesso Pirandello. In quel poemetto era l’arcidiavolo Belfagor a presentarsi a Pirandello con una lettera di Nicolaus, segretario fiorentino.
Prendendo lo spunto da questo particolare e parafrasandone i versi, Providenti dà inizio a questi Colloqui: “Su le vecchia sedia a dondolo/mi spingevo innanzi e indietro/quando udii con molta grazia/dar tre colpi a l’uscio a vetro./L’uscio s’apre ed entra d’impeto/un signore…proprio quello!/Faccio un salto a balzo in piedi/ Chi ho dinanzi? - Pirandello”.
Non piú personaggi che si presentano a Pirandello a pregarlo di render pubbliche le loro piú o meno tragiche vicende, o personaggi vivi che vogliono comunicare con quelli defunti per dar loro notizie del mondo. Qui è Pirandello che d’impeto si presenta al sorpreso studioso per disfogarsi, svelenirsi, a sfatare i pregiudizi, le inesattezze, gli equivoci dei critici attorno alla sua persona, al suo mondo, alla sua opera. Col timore che pure lui possa essere annoverato fra cotanti senni, Providenti si fa prestamente remissivo amanuense, sollecito “a trascrivere quanto piú possibile fedelmente” ciò che lo Spirito gli va esternando. Providenti ne scava cosí a poco a poco l’intimo, ne esplora gli alterni sentimenti per catturarne l’anima, cercando di costruire un ritratto completo e veritiero, almeno il piú attendibile possibile. Tutto ciò su dati esclusivamente “storici”. Base primaria di verifica sono i tre volumi del grande epistolario familiare che Providenti ha evidentemente sulle dita per averli egli stesso curati con meticolosità certosina, il tutto sullo sfondo del complesso mondo letterario e politico del tempo. Non mancano illuminanti frammenti di storia italiana. Una eccezionale ragnatela di dati e di rapporti, costruita con pazienza e rara abilità.

Valga qualche sommario campione:
“Questa è buffa. Dopo un secolo e piú avevo completamente dimenticato quel mio taccuinetto di Bonn con le pagine sulla gita a Kessenich, ed ecco che la filologia tedesca, alla cui scuola ahimé anch’io mi formai, si allea con un’altra temibile filologia, quella giapponese, per anatomizzarmi ancora una volta. Come se fossi un Procopio Scannamosche qualsiasi, mi mettono sotto osservazione, ripercorrono i miei passi ad uno ad uno, analizzano ogni mia mossa e fanno deduzioni e cercano spiegazioni cui nessuno, tanto meno io, avevo mai pensato” (p.34).

Pirandello tiene semmai a precisare come e dove egli abbia elaborato i motivi suggeriti dalle opere degli autori da lui piú ammirati, tra cui il Faust del Lenau che la critica avrebbe invece del tutto ignorato. Non manca anche di aggiungere: “Io rielaborai questo stesso tema anche nella XII composizione della Pasqua di Gea adottando una chiave umoristica che per allora mi era nuova, ma che poi divenne per me abituale” (p.34).

Sulle varie posizioni politiche dell’Italia dopo il 1870 con l’acquisto di Roma capitale, il giudizio di Pirandello si fa tagliente:
“Altro che la terza Roma, altro che la Roma del Popolo di Mazzini, altro che la redenzione di tutti gli italiani al soffio innovatore dell’unificazione! Ricorda l’epodo carducciano per Vincenzo Caldesi? …Impronta Italia domandava Roma,/Bisanzio esso le han dato. Questi versi risuonarono a lungo nel cuore di ciascuno di noi che non avevamo dismesso il sogno mazziniano: ci colpirono come una frustata ed ebbero una diffusione immediata; finirono anche nella testate dello spregiudicato periodico “La Cronaca bizantina”, palestra delle nuove generazioni letterarie nella prima metà degli anni ottanta. L’aveva creata il meneghino Angelo Sommaruga, tra i tanti calati a Roma in quel tempo, che s’era imposto come editore di successo, con nuove e fin’allora inaudite iniziative. Carducci l’aveva in simpatia…Ma stiamo divagando” (p.44).

Non manca il ricordo affettuoso degli amici con cui Pirandello ha condiviso le sue battaglie politiche:
“Nel breve periodo della nostra vita comune scoprimmo di condividere i fieri sentimenti repubblicani definitivamente consolidati in noi dalla ferita d’Aspromonte che la monarchia aveva inferto all’unità degli italiani. Le nostre convinzioni ci portavano a un radicalismo che mi faceva scrivere all’altro nostro comune amico Giuseppe Schirò di Piana dei Greci (allo zingaro mio, come talvolta lo chiamavo), di invidiargli il sogno da lui coltivato d’una patria albanese libera e forte, affrancata finalmente dalla servitú ottomana, quando a noi toccava assistere allo spettacolo di un’Italia mangiata dai cani, con un re creduto buono ma in realtà imbecille, sedente su un trono merdoso – cosí mi esprimevo – innalzato sui sacri cadaveri dei martiri. - Schiró… un altro amico che persi presto; perché, poverino, s’era invaghito di mia sorella Lina e m’affidò questo suo sentimento cercando in me un appoggio, figuriamoci!, proprio nello stesso periodo in cui mia sorella si prometteva sposa a “un ingegnere ricco e intelligentissimo”. Cosí gli scrissi in una mia lettera del tutto inopportuna; egli ci restò male, e la nostra amicizia ne fu compromessa” (p.72).

La confessione è fluida, schietta, immediata. Dettagli puramente familiari che in altri contesti sarebbero irrilevanti qui danno colore, si addicono perfettamente al carattere di Pirandello, rifiniscono la sua personalità. Se ne avvantaggia il prodotto finale, la genuinità, l’efficacia del ritratto.
Quando Providenti, tuttavia, da meticoloso storico, si permette di far pure rilevare qualche inesattezza o incoerenza in taluni atteggiamenti o dichiarazioni del grande personaggio, Pirandello si impuntiglia:
“Voi filologi che gongolate trionfanti quando nell’opera di qualcuno credete di avere individuato un pezzo o un frammento che non gli appartiene perdete poi di vista l’essenziale, che è comprendere il modo come questi pezzi e frammenti si dispongono e il valore che assumono. Ē il vecchio difetto di vedere soltanto il particolare…” (p.92).

Evitando ogni sequenza biografica Providenti sceglie nove temi di carattere vario, La Fede, Bonn, Lenau, Se..., Rocco e le due famiglie, Amici e Maestri, Sei personaggi, Marta, Non conclude, che pur non avendo alcun legame o rapporto diretto tra loro, nulladimeno si ricollegano internamente e perfettamente per un fine prefisso. Di proposito viene pure eluso ogni rimando alle canoniche note bibliografiche. La pagina è linda, la lettura scorrevole e avvincente. Ma a supporto delle argomentazioni viene tuttavia aggiunta una cinquantina di pagine referenziali in cui si puntualizza il testo con capillare precisione. Quel che in un’edizione scientifica sono d’abitudine le note a piè di pagina e le chiose, qui sono confinate in un “limbo” a parte per uso dei filologi.
A tutto questo vorrei aggiungere in conclusione un mio personale ricordo. Fui tra coloro che assistettero e parteciparono alla presentazione e alla lettura in anteprima di alcune pagine dei Colloqui sul piazzale della casa natale di Pirandello ad Agrigento nel giugno 2003, in occasione del centotrentaseiesimo anniversario della nascita, celebrato quell’anno con una mostra singolare di quadri di Luigi e della sorella Lina, cui se ne unì anche qualcuno del grande pittore della famiglia, Fausto. L’attenzione del pubblico presente all’evocazione del grande Personaggio che in prima persona raccontava la storia delle sue due famiglie, dei Ricci-Gramitto e dei Pirandello, fu come calamitata quando iniziò la lettura di un testo che svelava in quel momento anche le sue potenzialità teatrali.
Data recensione: 01/01/2006
Testata Giornalistica: Quaderni d’italianistica (a. XXVII, n. 2, 2006, p. 171-73)
Autore: Antonio Alessio