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È possibile affermare senza alcuna ombra di dubbio che il nostro Paese vanta di patrimoni architettonici invidiabili e che la storia dell’architettura italiana è rintracciabile nel mondo intero. Tuttavia c’è chi davanti a questi meriti ha voluto chiudere

È possibile affermare senza alcuna ombra di dubbio che il nostro Paese vanta di patrimoni architettonici invidiabili e che la storia dell’architettura italiana è rintracciabile nel mondo intero. Tuttavia c’è chi davanti a questi meriti ha voluto chiudere un occhio, anzi, entrambi, come accaduto alla commissione giudicatrice del Concorso Internazionale per il Museo di Antichità Egizie del Cairo.
“Il 7 marzo 1894, il Consiglio dei Ministri egiziano aveva discusso la questione del futuro del museo delle antichità egizie di Giza e aveva preso in considerazione due ipotesi alternative: destinare una cifra di £ 130.000 per trasferire le collezioni in un edificio di nuova costruzione diverso da quello del museo esistente, oppure stanziare £ 60.000 per interventi finalizzati a progettare dal rischio di incendi la costruzione nella quale esse erano allora conservate(…) Nonostante l’incalzante azione della Società, che aveva continuato a lamentare il disinteresse del Governo egiziano nel ricercare una adeguata soluzione alla questione di dare una sistemazione sicura alle collezioni del museo soltanto il 7 maggio del 1894 si apprende da “The Times” che il Governo egiziano ha finalmente deciso di investire £ 150.000 per la costruzione di un nuovo museo destinato ad accogliere le collezioni di antichità conservate nel museo di Bulaq”.
In un pregevole pubblicazione di Polistampa dal titolo “Ernesto Basile e il concorso per il museo di antichità egizie del Cairo” vengono riportati tutti i documenti inediti che riguardano il concorso incluse alcune corrispondenze conservate nell’archivio storico diplomatico del Ministero degli Affari Esteri di Roma, relazioni di alcuni progetti di concorso di architetti italiani e articoli di quotidiani non reperibili in Italia come “L’Imparziale” che si è fatto portavoce di una accesa campagna contro il verdetto della commissione giudicatrice. Nonostante il fatto che circa 100 dei progetti pervenuti per la costruzione del nuovo museo provenissero dall’Italia e in misura minore da altri paesi, ben 9 progetti su 9 furono assegnati ad architetti francesi quando il bando pubblicato il 18 luglio del 1894 nel “Journal Officiel” prevedeva che la competizione fosse aperta ad architetti di tutte le nazionalità. Un’altra grossa conferma che questo concorso fosse “truccato” è arrivata in maniera molto evidente quando il 20 marzo la commissione concluse i lavori senza nemmeno attendere l’arrivo di Ernesto Basile, scelto tra una rosa di figure rappresentative dell’architettura contemporanea nel nostro paese.
“Il malcontento dei concorrenti italiani per l’esito del concorso, esasperato dalla sensazione diffusa di essere stati privati d’ogni tutela per la defezione di Basile, si stava manifestando in forme di protesta inconsueta, che avevano dapprima investito le autorità consolari italiane in Egitto e anche il primo ministro Crispi, al quale Rivas aveva indirizzato una lettera di lamentele trasmessa dal presidente del consiglio al Ministero degli Esteri”.“Un dato che merita di essere sottolineato nella vicenda del concorso è l’attenzione portata da Muggia alla questione di uno stile nazionale per l’Egitto moderno, che prospetta l’opzione stilistica tra due stili: quello ispirato all’architettura dell’Egitto faraonico e l’arabo” e come sostenuto fortemente dall’Imparziale “L’approvazione dei progetti, il giudizio finale dimostra due cose: o che l’arte, passando attraverso le vicende di un novello trasformismo è la manifestazione estetica del brutto e del barocco ; o che anche l’arte in Egitto serve a far vento allo sfruttamento politico d’influenze alte(…). Perché, quella commissione, dopo quanto ha fatto, ha deciso, non ha diritto di parlare in nome dell’arte, dopo che ha maltrattato l’arte, facendola con il Journal Officiel- che di arte non sa nemmeno quella tipografica- dopo che ha dato il suo giudizio finale su progetti, alcuni dei quali faticosi, pesanti, imbarazzati nelle linee, nel concetto, nell’estetica, gonfi, vani, rimpinzati di retorica artistica, malfermi nella grammatica delle linee, non sicuri del carattere, spropositati nell’unità concettiva, duri nell’insieme; perché quella crestomazia di Commissione si è bollata, si è timbrata, si è notariata di ignoranza”.
Dopo accese polemiche “La scelta di affidare i lavori di costruzione a un’impresa italiana era stata evidentemente ispirata dal desiderio di offrire una compensazione alla delusione italiana di non avere riportato alcun riconoscimento da parte della giuria, nonostante l’alta partecipazione di concorrenti”.
Milva Giacomelli nel suo studio approfondito sul concorso del Cairo ha individuato peculiarità e contraddizioni svelando una trama molto più complessa che evidenzia una tensione culturale e politica senza esclusione di colpi. La sorprendente attenzione dell’opinione pubblica internazionale per questo avvenimento è testimoniata dal ritrovamento di una consistente documentazione d’archivio che ha permesso così di affacciarsi in uno scenario estremamente complesso e articolato che indaga anche la realtà della comunità italiana in Egitto dell’epoca.
Data recensione: 27/03/2010
Testata Giornalistica: Arte e Arti
Autore: Elena Vannoni