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Ci fu un momento nel quale il Perseo e la Pietà di Michelangelo, le Porte del Paradiso e la Giuditta, Cosimo equestre e altri capolavori fiorentini, scesero dall’Olimpo per vivere appieno le vicende del loro tempo. Era la guerra, erano i bombardamenti.

La storia dell’uomo che riscoprì capolavori salvandoli dalle bombe e dall’alluvione
Ci fu un momento nel quale il Perseo e la Pietà di Michelangelo, le Porte del Paradiso e la Giuditta, Cosimo equestre e altri capolavori fiorentini, scesero dall’Olimpo per vivere appieno le vicende del loro tempo. Era la guerra, erano i bombardamenti. Statue di marmo e di bronzo, irripetibile segno di una civiltà, accettarono di rifugiarsi nelle caverne e nei sotterranei, di fuggire verso la campagna, di contendersi lo spazio con gli sfollati di Palazzo Pitti. Corsero rischi enormi, ma ne evitarono di peggiori. Imbracate come un mobile domestico, sollevate con argani azionati a mano, lasciate scivolare su rulli insaponati, vissero incredibili traslochi e conobbero, finalmente, la tragedia degli umani.
Protagonista di quelle vicende, in parte sconosciute fino ad oggi, fu Bruno Bearzi. Che in origine era un fonditore, fosse pure di rango, e un po’ alla volta – grazie a una frequentazione quotidiana con le opere d’arte – imparò a conoscerne i segreti, alcuni li rivelò, e infine divenne un restauratore noto ben oltre Firenze. Scoprì, ad esempio, che Giambologna aveva lasciato nella statua equestre di Cosimo I una lucernetta, indispensabile per illuminare il ventre del cavallo mentre lo univa al cavaliere, con un semplice incastro, facendolo calare dall’alto. Scoprì che nei loro giochi i ragazzini avevano lanciato una sferetta di cuoio contro le porte del Ghiberti, e che lì la «pallottola» era rimasta per secoli, a testimoniare amichevoli sfide medievali. Ma le ricerche portarono anche a ben altri risultati. Grazie a lui trovarono conferma i documenti che raccontavano di come il Cellini realizzasse il Perseo truffando il committente. Gli fece credere, infatti, per soddisfare i suoi vizi che non erano inferiori alle virtù, di aver gettato nella fusione 200 piatti di stagno, all’epoca prezioso come l’argento, e invece ne aveva usati 22. Fu una grave colpa? A vedere  risultati sembrerebbe, piuttosto, un colpo di fortuna. Non poteva sapere, Benvenuto Cellini, gaudente, spendaccione, imbroglione, che un giorno un suo più umile collega avrebbe rivelato l’inganno.
Ma di sicuro, la scoperta più grande del Bearzi riguarda le porte del Paradiso. È scritto negli Archivi dell’arte dei Mercanti, che il Ghiberti nei giorni in cui fondava la sua opera, aveva ricevuto 885 fiorini d’oro, per un peso di circa tre chili.
E dunque dove erano finite le monete, forse nella fusione? Le porte si erano sempre presentate di color verde «quel colore – racconterà il Bearzi – che intontisce il bronzo esposto all’aperto». Ma il nostro restauratore voleva andare oltre, oltre il bronzo cioè. Occorreva un solvente, ma in quegli anni la chimica muoveva i primi passi. Passi incerti. Un mese e oltre di prove, poi il coraggio di agire. Ed ecco le Porte risplendere, il Paradiso era d’oro, così lo avevano voluto, ed ammirato, i fiorentini in origine. La notizia fece il giro del mondo. Firenze, una volta di più, aveva richiamato su di sé l’attenzione degli storici d’arte ma anche della gente comune: i futuri turisti. Si inaugurava così, proprio in Firenze e col notevole apporto del Bearzi, quel modo nuovo di intendere l’arte, che rivolge la massima attenzione alla tecnica, ai materiali, alle pratiche necessità che hanno permesso la nascita del capolavoro. Ci si accorgeva, finalmente, che le semplici valutazioni estetiche e formali dell’opera non bastavano più a descriverla.
Ecco, la storia dei capolavori dell’arte durante l’ultima guerra e fino all’alluvione del ’66, raccontata con una messe di particolari dall’uomo che ne permise la salvezza, oggi è diventata un bel volume edito dal fiorentino Polistampa. A scriverlo, attingendo ai diari e ai numerosi appunti lasciati dal Bearzi è Paolo De Anna, per un lungo periodo giornalista della nostra testata e nipote del Bearzi stesso, assieme a Lidia Del Duca, una giovane ricercatrice romana. Arricchiscono la pubblicazione foto d’epoca inedite. Il risultato è un volume che si legge come un romanzo, ma che ha lo spessore del saggio, che sarà presentato venerdì 5 febbraio alle 17 alla biblioteca degli Uffizi. Di altissimo livello i presentatori: il soprintendente al Polo museale fiorentino Cristina Acidini, il direttore dei Musei vaticani Antonio Paolucci, la soprintendente dell’Opificio delle pietre dure Isabella Ballerini, il direttore della galleria d’arte moderna Anna Maria Giusti.
Data recensione: 31/01/2010
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: Maurizio Naldini