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La Gioconda di Leonardo da Vinci, da sempre oggetto di numerose interpretazioni, potrebbe essere un’immagine della Sophia divina, ispirata al circolo segreto dei fedeli d’amore, cui forse apparteneva lo stesso genio toscano.

La Gioconda di Leonardo da Vinci, da sempre oggetto di numerose interpretazioni, potrebbe essere un’immagine della Sophia divina, ispirata al circolo segreto dei fedeli d’amore, cui forse apparteneva lo stesso genio toscano. Ne parla, in questa intervista, il ricercatore Renzo Manetti, autore del libro Il velo della Gioconda – Leonardo segreto. Quando si affronta la figura di Leonardo da Vinci, cercando di indagare, in maniera seriamente “alternativa” all’ortodossia biografica, i molteplici aspetti della sua vita irrequieta e, soprattutto, i tanti misteri legati ancora alla sua figura e ai suoi capolavori, si corre fatalmente il rischio di affogare, come spesso accade per molti altri temi, in un mare magnum di interpretazioni non sempre convincenti. Ovviamente anche noi abbiamo corso questo rischio, quando abbiamo deciso di trovare una pubblicazione che ci permettesse di trattare l’argomento da una nuova prospettiva. Tuttavia non abbiamo mai perso di vista il nostro obbiettivo primario, che è quello di proporre all’attenzione dei lettori lavori sempre professionalmente ineccepibili, frutto delle ricerche, spesso scomode, di validi studiosi. Renzo Manetti, con il saggio dall’intrigante titolo Il velo della Gioconda – Leonardo segreto, rientra in quest’ultima categoria. Effettuando un affascinante viaggio nel complesso linguaggio dei simboli e nelle conoscenze segrete di geometria sacra, fondamentali per la ricerca dell’armonia e delle forme, Manetti tratteggia un Leonardo poco conosciuto, artista geniale ed eclettico, ma anche profondo indagatore dell’anima immortale dell’uomo, e cerca, al tempo stesso, di dare delle risposte ai numerosi interrogativi riguardanti quella che possiamo certamente considerare l’opera più controversa ed enigmatica del sommo Maestro Rinascimentale: la Gioconda, «un nodo problematico senza confronti per la storia dell’arte in universale», dalla quale Leonardo non si separò mai, fino alla morte. Dopo 500 anni la Gioconda continua ad affascinare i visitatori che ogni anno affollano le gallerie del Louvre e gli studiosi provenienti da tutto il mondo, che tentano di spiegare razionalmente l’indiscusso potere ipnotico esercitato dal suo lieve sorriso e dal suo sguardo “ultraterreno”, tanto da far ritenere, come scrive Manetti nel suo libro, che «il dipinto abbia davvero un’anima». Nel numero di Fenix di Marzo è apparsa la notizia riguardante la richiesta di un gruppo si scienziati italiani, intesa a ottenere la riesumazione del corpo di Leonardo per ricostruirne, il volto e scoprire se la Gioconda sia in realtà un autoritratto mascherato del Maestro e non, come comunemente si crede, il ritratto di Lisa, moglie di Francesco Del Giocondo. Questo ci riporta a una questione che puntualmente si materializza, sottilmente “terrena”, tra i “chiaroscuri” di questa celebre opera: qual’è la vera identità della donna «dal volto senza tempo» e «fuori dallo spazio» dipinta da Leonardo? A chi appartengono quei «tratti del viso ammorbiditi nella tecnica dello sfumato»? La nostra intervista con Renzo Manetti non poteva che partire da questo secolare dilemma. OSVALDO CARIGI E STEFANIA TAVANTI: Renzo, nell’Introduzione al tuo libro, firmata da Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale Leonardo da Vinci, questi sostiene di essere stato sempre contrario «a qualsiasi rilievo di una somiglianza tra il volto della Gioconda e il possibile ritratto di Leonardo a Torino». L’argomento in questione, già da te affrontato in un tuo precedente lavoro (Monna Lisa – Il volto nascosto di Leonardo) scritto in collaborazione proprio con lo stesso Vezzosi e Lillian Schwartz, viene trattato anche in un capitolo de Il Velo della Gioconda, citando in partenza la nota e sorprendente scoperta operata nel 1987 dall’artista statunitense, la quale, «testando un nuovo programma di modellazione grafica, sovrapponeva il probabile autoritratto di Leonardo conservato a Torino con un’immagine della Monna Lisa», arrivò a concludere che Leonardo avrebbe impresso il suo volto nella Gioconda. La stessa Lillian, pur premettendo che una distorsione delle immagini può essere necessaria per far coincidere due volti con la grafica computerizzata, evidenziò l’assoluta mancanza di una qualsiasi forzatura nella sua famosa sovrapposizione. «Sono sempre stato affascinato dalla tesi di Lillian Schwartz – scrivi nel tuo libro – perchè vi trovo reali e solide motivazioni filosofiche nel pensiero di Dante e in quello dei poeti Stilnovisti a lui vicini». Tuttavia, se anche la Gioconda venisse inserita nella tradizione filosofica, del sommo Poeta e dei fedeli d’amore, giustificando in tal modo l’idealizzazione dei propri allineamenti fatta da Leonardo nel famoso dipinto, non sarebbe, a tuo dire, l’operazione grafica della Schwartz a confermare tale assunto, in quanto «L’indiscutibile sovrapposizione fra la Monna Lisa e l’autoritratto di Leonardo sembra piuttosto dovuta ad altri motivi».RENZO MANETTI: «Penso di aver fornito numerosi indizi, se non prove, che la Gioconda sia un immagine/icona della celeste Sophia, sulla scorta della tradizione filosofica dei “fedeli d’amore” (poeti-filosofi, la cui filosofia d’amore era volutamente avvolta nel segreto, infatti i loro sonetti sono spesso scritti con un linguaggio comprensibile solo agli iniziati), compagni di Dante, proprio come lo era Beatrice. Questa Sophia è il volto divino presente nell’anima umana, la sua capacità di conoscenza intellettiva o intuitiva. A questa si riferiva Lapo Gianni, quando chiamava Lagia la propria Donna-Sophia, componendone il nome con le iniziali del suo, a indicare che ella era parte di lui. Che Leonardo, dipingendo un’allegoria del proprio io nascosto, della donna immersa nel suo profondo, le avesse conferito i propri lineamenti idealizzati in vesta femminile, non mi avrebbe dunque sorpreso. La tesi della Schwartz per questo mi affascinava e numerosi indizi parevano e paiono tuttora confermarla. Il computer non sbaglia: ne ero convinto e lo sono ancora. Chiesi pertanto alla Schwartz se avesse confrontato l’Autoritratto di Torino con altri volti femminili dipinti da Leonardo, perchè se la coincidenza dei lineamenti ci fosse stata solo con la Monna Lisa, questa sarebbe stata una prova definitiva della bontà della tesi. Lillian mi confessò di non averlo mai fatto e ormai di non averne più gli strumenti. Così provai a farlo io. Ma non possedendo un programma per la sovrapposizione delle immagini, studiai col computer le proporzioni dei dei diversi volti. Mi accorsi così che non solo tutti i ritratti di Leonardo, compreso l’Autoritratto, ma anche i volti di altri dipinti, come il Cenacolo e la Vergine delle Rocce, rispondevano agli stessi canoni proporzionali e che dunque era questo che ne induceva la sovrapponibilità. Il computer non sbaglia ma purtroppo sbagliamo noi a interpretarne i dati. Ma c’è di più. Alcuni ricercatori hanno notato che anche il presunto ritratto di Caterina Sforza, dipinto da Lorenzo di Credi, risulterebbe sovrapponibile col volto di Monna Lisa, deducendone che Monna Lisa fosse in realtà proprio Caterina Sforza. Anche in questo caso il computer non sbaglia, ma l’interpretazione sì, perchè Lorenzo di Credi nel suo dipinto ha impiegato le stesse proporzioni di Leonardo ed è questo a determinare una sorta di sovrapponibilità con la Gioconda. Si trattava di canoni che evidentemente erano stati elaborati nella bottega del Verrocchio, del quale sia Leonardo che Lorenzo furono allievi. Volendo dimostrare la tesi di Lillian, l’ho dunque invece smontata. Ma la realtà allegorica di Monna Lisa resta e il computer l’ha confermata in altro modo. Oltre alle proporzioni, ho infatti scoperto geometrie racchiuse nella Gioconda e in alteri dipinti esoterici di Leonardo, che rimandano a inequivocabili significati mistici e sapienziali e dimostrano come Monna Lisa sia figura celeste, emanazione diretta della Sapienza divina. Un dipinto talismano dunque, da cui Leonardo non si separò mai».O.C. e S.T.: Un dipinto talismano del quale, stranamente, non abbiamo notizie di disegni o schizzi preparatori, «come se la pittura gli fosse scaturita da un intimo dialogo con la propria anima», dotato, come ebbe a dire Walter Pater nel 1869, di una «bellezza che dall’interno s’imprime sulla carne...». Tuttavia, il mistero che avvolge quest’opera si infittisce ancora di più quando affermi che esisterebbe un’altra Gioconda, confortando tale assunto con una serie di profonde analisi comparative di fonti riportate nel tuo libro, dal quale estrapoliamo, a mo’ di illuminante esempio, due brevi incisi tratti dalla descrizione di Monna Lisa fatta dal Vasari, contenuta nel suo Vite: «In quella testa facilmente si poteva capire quanto l’arte potesse imitare la natura...» e «Le ciglia non potevano essere più realistiche, per avervi disegnato la maniera in cui i peli scaturiscono dalla pelle, dove più folti e dove più radi». Appaiono evidenti anche da queste poche righe, le discrepanze somatiche tra questa Gioconda e quella conservata al Louvre di Parigi, raffigurata a mezzo busto, glabra, «una creatura fuori dal tempo e dallo spazio» come l’hai definita, priva di quei particolari anatomici presenti nella descrizione del Vasari il quale non cita nemmeno la presenza di uno sfondo, posto invece nel famoso dipinto, dove un paesaggio «desolato e irreale» sembra evocare una dimensione lontana. Un punto di contatto sembrerebbe esserci tra le due versioni e riguarderebbe la presenza, citata dal Vasari, coeva all’uscita della prima edizione delle Vite, di una Gioconda a Fontainebleau, presso il Re di Francia. Questa ipotesi viene, però, da te confutata, giustificando il Vasari con l’ingannevole titolo Gioconda attribuito al predetto quadro presente in terra francese, acclarando, altresì, l’inesatta relazione dello stesso nome con la famiglia Del Giocondo.R.M.: «Recentemente è stata rinvenuta, in un manoscritto della biblioteca dell’Università di Heidelberg, una nota manoscritta di Agostino Vespucci, il quale afferma che, nel 1503, Leonardo stava effettivamente dipingendo il ritratto di Lisa Gherardini. Ma si trattava, dice esplicitamente Vespucci, di una testa, perchè il resto del corpo era appena abbozzato o addirittura non c’era. Questa nota è stata considerata come una prova che la Gioconda del Louvre sia effettivamente Monna Lisa. In realtà dimostra semmai il contrario, perchè collima con il racconto del Vasari, che descrive anch’egli solo la testa, senza il celebre sfondo, senza il motivo della loggia con le colonne, senza il busto con le mani accavallate. Dunque la Gioconda del Louvre non è il dipinto del 1503. Non possiamo escludere che sotto la Gioconda sia ancora celata la testa di Monna Lisa; ma è certo che quella che vediamo oggi è un’altra donna, un dipinto della tarda maturità di Leonardo, che risale al periodo romano, quando egli era al servizio del principe alchimista Giuliano de’ Medici. In quegli anni Leonardo si occupava di esplorare il mistero dell’anima umana e della sua infusione nella materia, in particolare della parte intellettiva dell’anima, quell’entità che i compagni di Dante, i “fedeli d’amore”, nascondevano sotto l’allegoria della loro misteriosa Donna. Che la Donna si chiamasse Beatrice o Gioconda non fa differenza: entrambi nomi di otto lettere, il numero celeste, entrambi usati da Dante col significato di Donna della beatitudine divina. Sappiamo che Leonardo, come molti altri filosofi e artisti del suo tempo, studiava i misteri arcani nascosti nei versi di Dante e che conosceva la teoria dell’anima e della Donna celeste, che egli aveva esposto nel Convivio e velato nella Vita Nuova. Vasari dice che il ritratto di Lisa ai suoi tempi era presso il re di Francia, confondendolo dunque con la Gioconda, che abbiamo detto essere cosa molto diversa. Forse egli, che non aveva mai visto il quadro, fu tratto in inganno dal nome Gioconda, che gli pareva riconducibile alla moglie di Francesco del Giocondo; forse cercò invece di depistare i fanatici dell’Inquisizione allontanandoli dal significato allegorico di un dipinto che rimandava a dottrine gnostiche ed eretiche. Lo stesso aveva fatto Boccaccio, “fedele d’amore”, quando aveva scritto, mentendo, che la Beatrice amata da Dante era figlia di Folco Portinari, cioè una donna in carne e ossa. Così accusò Dante di un amore adulterino, ma allontanò dalla sua opera i forti sospetti della Chiesa, che già aveva mandato al rogo il De Monarchia».O.C. e S.T.:Analizzando le distanze tra il mento, la bocca, il naso, gli occhi e la fronte dei volti femminili ritratti da Leonardo, hai notato il ripetersi degli stessi moduli. Sei rimasto particolarmente colpito dal fatto che solo la Gioconda abbia il volto scandito da 12 moduli: 3 dal mento al naso, 3 fra gli occhi e il naso e ben 6 dagli occhi alla sommità della testa. Hai identificato lo stesso numero “simbolico” di moduli in un altro volto famoso – questa volta maschile – dipinto dal grande Maestro. Ci vuoi parlare della tua scoperta e degli importanti rapporti geometrici racchiusi nelle due opere di Leonardo?R.M.: «Ho scoperto che tutti i volti dei ritratti di Leonardo, con l’esclusione della Ginevra de’ Benci che è del periodo giovanile, ripropongono le stesse proporzioni fra il mento e la fronte: 9 moduli. I moduli tuttavia divergono dalla fronte alla sommità della testa: sono 2 nella Dama con l’Ermellino, ben 4 nella Belle Ferroniere, ancora 2 nell’Autoritratto di Torino. Solo la Gioconda ripete 4 volte i 3 moduli, originando il 12, che, come sapete, è numero mistico, nel quale si rappresentano il cosmo e la Gerusalemme Celeste. Ebbene, la stessa proporzione di 12 moduli, Leonardo la usa anche nel volto di Cristo del Cenacolo. Se ricordiamo che, al suo apparire nella Commedia, Beatrice viene esplicitamente descritta come emanazione/compagna di Cristo e come Sposa del Cantico dei Cantici, viene spontaneo pensare che Leonardo abbia voluto identificare la Gioconda proprio con Beatrice, cioè con la celeste Sophia. Ma non è tutto: il volto di Cristo è racchiuso in un rettangolo aureo, simbolo fin dall’antichità più remota della trascendenza divina; quello della Gioconda è delimitato da un altro rettangolo mistico, che ha l’altezza uguale alla diagonale del quadrato costruito sulla sua base. Il rapporto fra lato e diagonale del quadrato è un numero irrazionale, da sempre allegoria di trascendenza. Sembra che ancora una volta Leonardo abbia voluto indicarci un legame gerarchico fra Cristo e la sua Gioconda-Sophia. Devo aggiungere che la Vergine delle Rocce racchiude un triangolo isoscele particolare, formato da due triangoli rettangoli sacri, i cui lati sono pari a 3 e 4 e l’ipotenusa a 5. Come questo triangolo racchiuda la triade divina lo spiega già Plutarco. Nel nostro caso ci aiuta a comprendere la vera identità della figure dipinte da Leonardo e il motivo per cui la Vergine delle Rocce fu considerata un soggetto eretico e rifiutata dai frati committenti».O.C. e S.T.: La composizione “piramidale” della Gioconda risulta inscritta in un triangolo equilatero, formato «dall’inclinazione del braccio destro e dalla fuga prospettica della colonna della loggia». Come spieghi nel tuo saggio, «un sottomultiplo di questo triangolo, anch’esso equilatero, incornicia la testa dal mento alla sommità ». Il centro di questo secondo triangolo coincide con un punto ben preciso del volto della Gioconda, che richiama un particolare emblema che fu del grande architetto e matematico Leon Battista Alberti...R.M.: «Sì, la Gioconda è racchiusa in un triangolo equilatero e così il suo volto. Questo triangolo come ben sappiamo, è ancora una volta un simbolo divino. Tanto è vero che tutta la geometria nascosta del Cenacolo è imperniata sui triangoli equilateri. Ma la cosa singolare è che, all’intersezione fra l’altezza e l’asse mediano dei lati del triangolo che incornicia il volto della Gioconda, Leonardo ha incardinato l’occhio sinistro della Donna, che risulta così in posizione centrale nel triangolo. Sembra che egli abbia voluto evidenziare nella Gioconda l’occhio divino, assunto come emblema anche da Leon Battista Alberti e poi confluito nella tradizione massonica». O.C. e S.T.: Una annotazione fatta da Leonardo in margine alle sue riflessioni sul grande mistero dell’anima «Lascia ora le lettere incoronate, perchè son somma verità» è stata messa in relazione alle sacre scritture. Tuttavia hai ritenuto che l’uso dei termini “lettere incoronate” come semplice riferimento a Bibbia e Vangelo fosse alquanto inusuale e pertanto hai cercato in un’altra direzione. Quali sono i risultati delle tue ricerche?R.M.: «“Lettere incoronate” mi sembrava terminare troppo specifico per essere genericamente riferito alle sacre scritture. Mi ricordava con insistenza le lettere dell’alfabeto ebraico, in particolare la sin, che somiglia a una corona e il cui numero in fine di parola è 900, il numero che Pico associa all’anima. Ma anche il riferimento alla prima e più alta delle Sephirot cabbalistiche, Keter, la Corona, mi sembrava possibile. Tuttavia Leonardo parlava di lettere al plurale e non di lettera al singolare. Ho cominciato così a cercare se nei testi cabbalistici ci fosse un riferimento alle lettere incoronate. E infatti l’ho trovato. Nel Sefer Yesirah, il Libro della Formazione, si cela il metodo segreto per l’infusione dell’anima nella materia, quello che nella tradizione cabbalistica ha dato vita al mito del Golem. Ebbene, questo metodo si basa su una permutazione delle lettere ebraiche che l’autore cela sotto l’allegoria dell’incoronazione: le lettere appunto incoronate. Se pensiamo che nella Roma del neoplatonico Leone X e di suo fratello Giuliano de’ Medici si praticava l’alchimia e si studiava la cabbala, la frase di Leonardo assume un’evidenza nuova. Il Sefer Yesirah era libro ben conosciuto dai cabbalisti cristiani, tradotto per Pico della Mirandola, commentato da un amico di Pico, Johanan Alemanno. Quest’ultimo aveva definito l’arte del Sefer Yesirah come parte della scienza della natura, quella scienza che Leonardo studiava e i cui segreti cercava di penetrare. Dunque Leonardo si confrontò con la cabbalà, proprio negli anni in cui studiava, il problema dell’infusione dell’anima nel corpo e in cui dipingeva la Gioconda. Non posso non pensare che la Gioconda sia il frutto e l’espressione arcana di questa ricerca esoterica. Riuscì Leonardo a penetrare il segreto delle lettere incoronate e a infondere un’anima alla sua Donna celeste? Gli occhi della Gioconda sembrano vivi...»  
Data recensione: 01/06/2010
Testata Giornalistica: Fenix
Autore: Stefania Tavanti