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Ecco un libro documentato da accogliere come il racconto veritiero di un pezzo di storia della città più preziosa: racconto scritto col cuore ma ricco di documenti indiscutibili.

Ecco un libro documentato da accogliere come il racconto veritiero di un pezzo di storia della città più preziosa: racconto scritto col cuore ma ricco di documenti indiscutibili. Vediamo i punti cruciali del racconto.
In una Firenze da dopoguerra, ora felice per la libertà ritrovata, ora dolorante e stravolta per da distruzione e morti, infiammata da passioni contrastanti e dall’ansia per la sua arte ferita, nel primo autunno del 1946 il restauratore del bronzo Bruno Bearzi riunisce nel provvisorio Gabinetto Restauri, sotto gli Uffizi, un gruppo di giudici severi. Si incontrano qui il sindaco Gaetano Pieraccini, cattedratici famosi come Roberto Longhi, Mario Salmi, Venè, il soprintendente Poggi, il Presidente dell’Opera del Duomo marchese Ginori, artisti noti come Mirko Basaldella, Romano Romanelli, Giovanni Colacicchi.
La convocazione è stata fatta dal ministro Gonella. Deve far costatare agli esperti, il risultato del lavoro di pulizia della Porta del Paradiso, iniziato di slancio, con coraggio, grazie al semplice metodo dettato dall’esperienza, un anno prima, con la benedizione di Bernard Berenson, Cesare Brandi, Bruno Toesca, e del chimico fisico Giorgio Piccardi.
Ora il restauratore mostra ai giudici il pannello di Porta del Paradiso che con semplice lavaggio, ha avuto l’audacia di liberare dalle incrostazioni secolari bruno verdastre. Le incrostazioni imbruttivano la Porta quando essa, prima della guerra, figurava di fronte al Duomo, ma solo ora è apparso possibile l’intervento, perché i monumentali battenti sono staccati e scomposti, dopo il forzato ricovero anti bombardamento.
Le croste scure apparivano, prima del distacco del capolavoro dai suoi cardini, così profonde , così dure da far dubitare e anzi negare l’esistenza del quel rivestimento aureo orgogliosamente applicato da Lorenzo Ghiberti, al termine di un lavoro di scultura e oreficeria durato cinquant’anni, fino al 1452. Dunque da secoli ormai, almeno dall’inizio del Settecento, l’oro si riteneva perduto. Ora è la costante sapienza del bronzista Bearzi a restituire il suo orgoglio alla Porta del Battistero che Michelangelo chiamò per primo Porta del Paradiso. La gioia di Bearzi, quando appare positivo e viene approvato l’esperimento di pulitura da lui realizzato sul pannello di Mosè che riceve le tavole della legge, non conosce confini, e dunque descrive di getto nel suo diario lavoro e risultati con semplici parole, che però in qualche modo entrano a far parte della storia dell’arte: i pannelli che in mirabile maniera raccontano la storia sacra, erano e sono rimasti di bronzo coperto d’oro.
Occorreranno, e continuano ancora oggi, sotto l’egida delle più alte istituzioni di ricerca, i lavori tendenti a restaurare al meglio il capolavoro del Ghiberti (sostituito all’aperto da una copia) ma il racconto originale dell’uomo di azione rimane un documento di storia vissuta con intrinseco gran valore.
L’episodio della riscoperta dell’oro è contenuto nel grande volume illustrato Le guerre del Paradiso, preparato per Polistampa, con la scelta dei diari autografi del nipote di Bearzi, il giornalista Paolo De Anna e della storica dell’arte Lidia Del Luca.
Il bronzista Bearzi fu assai noto per i suoi interventi professionali di recupero e restauro di capolavori scultorei e non tralasciò mai l’abitudine di prendere gli appunti che il suo discendente ha ora avuto la bravura e la pazienza di ordinare.
Se l’episodio della prima sconvolgente ripulitura della offuscata Porta del Paradiso appare quale momento di fondamentale interesse culturale e umano, il giudizio della figura di questo abile, sapiente fiorentino non è completo se non s’inquadra il resto della sua stupefacente attività di protettore dell’arte negli anni di guerra. Solo dopo lo scoppio del conflitto, ben prevedibile da tempo, le opere d’arte di Firenze erano state distribuite, con scarsa preparazione tecnica, pochi soldi e incredibile disorganizzazione burocratica, in ben 37 depositi in ville, scantinati, buche, saloni. Tutta la storia della protezione italica contro bombardamenti e ruberie appare del resto pazzesca, come del resto la sottoscritta ha avuto occasione di dimostrare nel volume Hitler disse distruggete Firenze (Rizzoli). In quella follia di confusione ― tanto per dare qualche esempio ― dispersi i quadri degli Uffizi in ville campagnole quasi senza custodia, si era deciso di ammassare le sculture più preziose, come il Perseo del Cellini, la Pietà di Michelangelo, i Donatello, i Verrocchio, in una gran buca sotto le logge dell’Orcagna, nel cuore più esposto di Firenze. Nulla di più logico era stato escogitato dalle autorità dell’epoca. Nell’ultima fase della guerra, in pieno 1943, ancora si doveva trovare posto per statue, fontane, monumenti celeberrimi, o per le porte del Battistero, appunto.
Il signor Bearzi si impegnò a fondo dapprima per smontare e poi per trasportare e sistemare un pesantissimo carico di bronzi e marmi in un tunnel ferroviario in disuso fortunosamente individuato nel Valdarno, ma ― guarda caso ― meno di un anno dopo gli occupanti della Wehrmacht pretesero la restituzione del tunnel, che, svotato, fu fatto saltare con la dinamite. I quindici vagoni pieni di arte del Rinascimento, si racconta nel libro, riportarono a Firenze i tesori, che però non avevano rifugio. In un cortile di Palazzo Pitti furono sistemati per mesi interi porte, cavalli, cavalieri, santi, eroi. Il Bearzi visitava, proteggeva, mentre covava in cuore la sua più bruciante speranza: ritrovare l’oro del Paradiso. E questo obiettivo storico, alla fine, fu raggiunto grazie alla bravura dell’artigiano sapiente. Che nel contempo ha rimesso a posto, tanto per dire, il Perseo del Cellini sotto la Loggia, e il Granduca Cosimo sul suo cavallo forgiato dal Giambologna.
Data recensione: 12/01/2010
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Wanda Lattes Nirenstein