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L’Ansa di ieri, delle 15:42, informava di una nuova acquisizione del Louvre, la più cara dal 1997:  “... il grande ritratto del conte Mathieu-Louis Mole dipinto da Jean-Auguste-Dominique Ingres per il quale il museo aiutato da privati ha sborsato 19 milioni di euro, sarà esposto a fianco di Monsieur Bertin e del Duca di Orleans, altri due capolavori dell’arte del ritratto politico del pittore. Il quadro, che apparteneva alla famiglia di Noailles, rappresenta un loro lontano e illustre parente che, dimostrando un notevole spirito di adattamento, fu successivamente ministro della giustizia sotto Napoleone I, della marina sotto Luigi XVIII e degli esteri sotto Luigi Filippo. Era appeso in un grande salone di una dimora di campagna, ma in seguito ad un furto, i Noailles hanno deciso di venderlo per metterlo al sicuro. Il prezzo iniziale di stima, 30 milioni di euro, era una cifra astronomica, e il Louvre che disponeva solo di 5,5 milioni, ha temuto che il quadro finisse in uno dei due musei americani che si erano manifestati, meno colpiti dalla crisi mondiale. E allora scattata una campagna per conservare un tesoro nazionale.”
Se loro spendono quasi quaranta miliardi del vecchio conio, come si può allora definire il sensibie mecenatismo dell’Associazione degli Amici degli Uffizi che ha donato alla Galleria il Ritratto d’Alessandro Achillini di Amico Aspertini?
Tranquilli, non dico nulla, tanto immaginate bene il mio pensiero (oggi sono particolarmente buona, non faccio polemica e sorvolo pure su alcune affermazioni del Vasari riguardo Aspertini, la pittura nordica...), certo la soddisfazione è proprio grande per questa opera dalle tante singolari virtù ritrovata da Elisabetta Fadda e da lei segnalata a Marzia Faietti che l’ha sottoposta per l’acquisto alla direzione della Galleria.
Tra l’altro, il ritrovamento di questa opera di Aspertini, avvento durante il periodo di apertura della monografica bolognese dello scorso anno, non ne ha permesso l’esposizione ed è oggi un autentico inedito che Firenze relagala per la nona edizione dei Mai Visti inaugurata fra qualche ora alle Reali Poste.
Il direttore della Galleria, Antonio Natali sottolinea “che il ritratto d’Amico Aspertini sia giustappunto un capo d’opera non c’è dubbio; ma ancor più indiscutibile sarà la definizione di ‘mai visto’ giacché nessuno, prima d’ora, aveva potuto vederlo da quando è stato acquisito al patrimonio degli Uffizi non è mai stato esibito. Il ritratto – prototipo espunto dal museo gioviano – si fa fulcro di un’esposizione in cui i visitatori troveranno una sessantina di quelle tavole (pressoché identiche nelle misure e tutte riquadrate da eguali cornici) che son parte della cosiddetta ‘serie gioviana’; cui forse non si addice l’epiteto di ‘mai vista’, ma alla quale invece non risulterà incongruo quello di ‘mal vista’, collocata com’è – secondo un assetto filologicamente riproposto – nel registro più alto del primo e del secondo corridoio di Galleria, dove i ritratti si sistemano in serratissima sequenza, a definir la balza da cui si levano le volte affrescate.”
La tela, il cui valore, oltre alla qualità pittorica improntata all’originalità tipica di Amico Aspertini, è arricchita dai documentati rapporti dell’artista con Alessandro Achillini (fra i massimi esponenti della scuola aristotelica bolognese nel campo della medicina, astronomia e fisiognomica) e dall’eccezionalità della sua storia collezionistica.  Alessandro Achillini (nato a Bologna il 20 ottobre 1463), docente di Logica e Medicina a Bologna, rifugiatosi a Padova dopo la cacciata dei Bentivoglio, moriva al culmine della carriera il 2 agosto 1512 forse per avvelenamento.
Durante i due anni di insegnamento patavino (1506-1508) ebbe tra i suoi studenti lo storico Paolo Giovio a cui l’opera di Aspertini fu destinata per il Museo Gioviano nella villa edificata tra il 1537 e il 1543 a Borgo Vico sul lago di Como.
All’interno del Museo, articolato in diversi spazi dedicati ognuno a una divinità pagana, vi era una galleria di ritratti di uomini illustri, suddivisi tra dotti e letterati, artisti, sovrani, uomini d’arme e pontefici, collezione che precedette di vari anni il Museo stesso, testimoniato anche da una lettera che Giovio inviò dalla Toscana il 28 agosto 1521 al segretario del Marchese di Mantova, Mario Equicola, nella quale annunciava di essere stato colto dal desiderio di ornare la sua dimora di Firenze (ove risiedeva al seguito del cardinale Giulio de’ Medici) con i ritratti di grandi uomini, le cui raffigurazioni, destinate a una stanza dedicata a Mercurio e Pallade, avrebbero dovuto suscitare un desiderio di emulazione negli osservatori. Nella lettera venivano altresì menzionati sedici letterati e fra questi Alessandro Achillini, il cui ritratto, concluso nel 1521, fece dunque parte del primitivo nucleo della raccolta gioviana.
Elisabetta Fadda ci dettaglia anche che “nell’assetto espositivo pensato da Giovio, fondamentale era l’unione tra testo e immagini; gli uomini illustri, simbolicamente considerati come esempi di virtù, erano infatti esposti accanto a cartigli scritti che contenevano dati biografici e precise indicazioni sul loro conto. Da questi testi nacquero gli Elogia, componimenti letterari nei quali Giovio rappresenta ugualmente i grandi della storia e della letteratura, classificandoli come in una sorta di Pantheon. In questo testo, ad Alessandro Achillini è riservato un posto prestigioso e gli è dedicato l’Elogio LVII, nel quale il filosofo, molto stimato per la sua sterminata cultura, è ricordato anche per la sua indole anticonformista e per il «passo ondeggiante, la veste scarlatta e fuori moda, le maniche strette e a frange in pelle di lontra senza pieghe sul retro […] e il suo costante sorriso» (Giovio 2006, p. 166), non diversamente che nel ritratto che qui si espone. Le caratteristiche fisiche annotate sono strettamente correlate al ritratto morale del personaggio, tanto che gli Elogia sono considerati anche uno dei più importanti repertori fisiognomici del Rinascimento (Maffei 2004). A ben vedere, questo aspetto altro non è che la conseguenza diretta degli insegnamenti ricevuti da Giovio dallo stesso Achillini, studioso di fisiognomica, autore del volume Questio de subjecto Phisionomiae et Chyromantiae, pubblicato più volte a partire dal 1503 (cat. n. 4). Di Alessandro Achillini sono note altre immagini: una tela del Museo dell’Università di Bologna (inv. QUA 165); un’incisione di Thobias Stimmer (cat. n. 3); un quadro dei depositi della Pinacoteca Ambrosiana di Milano, questi ultimi due copia parziale del ritratto ora agli Uffizi. Un ulteriore ritratto di Alessandro Achillini (colto mentre si gira di lato, come a rispondere a una domanda posta da uno studente), compare sul frontespizio di un suo testo dal titolo Annotationes anatomiae, pubblicato postumo nel 1520 (S. Urbini 2008). Autore di quest’ultimo, come riconosciuto da Roberto Longhi, fu il bolognese Amico Aspertini. L’attribuzione della xilografia ad Amico Aspertini – giudicato il creatore di un ideale «grottesco» in contrasto con quello dei suoi contemporanei – serviva a Longhi per riportare alla sua stessa paternità anche un disegno (fino a quel momento considerato del Francia) conservato al GDSU di Firenze (inv. 1445F), che una scritta apocrifa a capitali latine indicherebbe essere effige di Alessandro Achillini a ventitrè anni.
Anche il ritratto su tela ora al museo degli Uffizi è un capolavoro di Amico Aspertini. Il viso particolarmente irregolare, spostato su un’orbita non centrica ma ellittica, in cui si accentuano i dettagli fisiognomici, in stretto rapporto con la pittura nordica e in particolare con Albrecht Dürer è infatti quello caratteristico dello stile del pittore bolognese negli anni tra il 1510 e il 20, come si può apprezzare in altri suoi dipinti quali il ritratto di Dama in veste di Santa a Baltimora (Walters Art Gallery) o la pala con la Madonna col Bambino e Santi della chiesa di San Martino a Bologna. Paolo Giovio è documentato a Bologna in occasione dell’incontro tra Leone X e Francesco I nel 1515 (Klinger 1991) e in questa data avrebbe potuto incontrare di persona il pittore Aspertini. Giovio possedette tra l’altro nella sua raccolta un ulteriore dipinto di questo autore, il doppio ritratto di Alberto Magno e Duns Scoto che ancora si conserva a Como, nel Museo Civico e Archeologico Giovio (inv. 594). A sottolineare ulteriormente l’autografia aspertiniana del ritratto di Alessandro Achillini appartenuto al Museo Gioviano è anche la particolare scelta dei colori.
Come sosteneva Longhi (1956, p. 150), «il problema dell’Aspertini [...] non è [...] solo formale, ma anche [...] cromatico. Il suo colore di succo infuso, acceso tra il bronzo e l’arancio rosso, intriso di crisantemi e d’amaranti, [...] è simile a quello [...] che trasuda dalle case venete, dove i chiaroscuri anticheggianti [...] stingono in rosso occiduo o in viola crepuscolare».”
Della mostra Santi, poeti, navigatori... dei “Mai Visti” vi racconterà Katty la vigilia di Natale, segnalo invece il bel catalogo edito da Polistampa dove è protagonista il ritratto di Aspertini di cui, per certo, agli Uffizi vi era, fino adesso, soltanto l’Adorazione dei pastori.
Data recensione: 15/12/2009
Testata Giornalistica: Arte e Arti
Autore: Cinzia Colzi