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Si propone come un’opera di impegno civile, in realtà risulta una piccola opera d’arte. Sono i 21 dipinti, definiti da Paolucci «Antologia Pittorica dedicata allo sport», che Roberto Panichi

Si propone come un’opera di impegno civile, in realtà risulta una piccola opera d’arte. Sono i 21 dipinti, definiti da Paolucci «Antologia Pittorica dedicata allo sport», che Roberto Panichi propone, con vittoriosa originalità, nella mostra Il fuoco di Olimpia aperta nella Galleria Pio Fedi (via dei Serragli, 99) inaugurata il 30 ottobre e aperta fino al 12 novembre, nell’ambito degli Eventi Pagliai.
Cuneese, a lungo versiliese, poi fiorentino Roberto Panichi è uno dei più colti e appartati artisti del secondo Novecento, nutritoda lunghi rapporti con artisti preminenti come Primo Conti e Annigoni o il tedesco Hans Staude, e dai molti viaggi fra cui oltre alla Germania e alla Svizzera, la decisiva sosta ad Amsterdam. Scrittore e saggista Panichi pur nutrendosi di una profonda memoria classica è autore, come teorico, del manifesto sull’«Espressionismo simbolico formale» ed è fondatore del «Centro Arte e Scienza». Ma questo cursus professionale, se dichiara le radici profonde del suo fare, poco aggiunge alla vittoriosa bellezza dei 21 dipinti ora esposti – grazie alla sollecitudine dell’assessore Eugenio Giani e all’intraprendenza di Mauro e Antonio Pagliai – che sono, rispetto al convenzionale alfabeto dell’arte ispirata allo sport, una strepitosa novità. Collegandosi alla millenaria tradizione della Grecia olimpica Panichi rivive in questi anni l’agone sportivo inteso come bellezza delle forme e del movimento e come spirito epico dell polis. Lo spunto nasce (e alla questione è tutta dedicata la prefazione al catalogo scritta dallo stesso Panichi) dal trauma sportivo che Firenze attraversò nell’estate del 2002 quando avvenne la liquidazione della Fiorentina e, dopo un lungo travaglio, il suo rinascere grazie un radicale rinnovamento delle strutture e del suo spirito.
Panichi coglie nel calcio una delle più sgualcite ma insieme gloriose bandiere dell’immaginario e della psicologia della città e – collegandola come s’è detto alla classicità – la ripropone, da artista, con una visionarietà luminosa che tralascia ogni esteriore richiamo di costume, per proporre gli atleti e la gara calcistica in una sorta di vittoriosa atemporalità. Non già rivestiti delle loro maglie, ma classicamente nudi, gli atleti sono con immensa perizia disegnativa tratteggiati in positure di quiete e di moto mentre l’insieme si rompe e insieme si compatta con grandi sfondi spesso bicromi di colori accesi astratto–concreti. Si coniugano in questi bellissimi dipinti la grande tradizione disegnativa toscana, con una modernità compositiva che ricorda la preziosa eleganza di Nicholas De Stael, per i densi tasselli e le masse di colore poste in relazione reciproca con splendide discordanze tonali.
Questi dipinti sono nati con l’aggiunta di alcuni antichi testi poetici classici con cui Panichi ha consuetudine, ma poi i testi sono stati tolti lasciando solo delle brevissime quasi epigrafi per lo più tratte dai Presocratici. In risposta a queste citazioni, bellissime ma forse impervie, aggiungerei dall’VIII canto dell’Odissea qualcosa che mi pare bene sigli questo straordinario periplo pittorico di Panichi. Parla Alcino e dice a Odisseo «Vieni anche tu, ospite padre, e in gara cimentati/e certo non c’è gloria maggiore per l’uomo, fino a che vive,/di quella che si procura con le mani e con i piedi».
Data recensione: 05/11/2005
Testata Giornalistica: Il Giornale della Toscana
Autore: Pier Francesco Listri