chiudi

Forse non è proprio strettamente indispensabile, ma noi ci teniamo comunque a farlo: a spiegare perché ci occupiamo in questa circostanza

Forse non è proprio strettamente indispensabile, ma noi ci teniamo comunque a farlo: a spiegare perché ci occupiamo in questa circostanza del cavaliere… Lelio Lagorio, e dell’ultimo suo libro dal titolo "L’ora di Austerlitz. 1980: la svolta che mutò l’Italia" (prefazione di Enzo Bettiza, Edizioni Polistampa, pagg. 412, euro 18,00). Per riconoscergli una dignità di memorialista di qualità? No, anche perché non ne ha bisogno. Né ci tiene ad esserlo. Ci occupiamo di Lagorio perché, nella sua evidente chiarezza, da italiano molto intelligente, ci rende un grande servizio. In questo libro c’è probabilmente il ritratto di un Paese, ci consente di capire un’epoca del Novecento. Allo stesso modo in cui ce lo consentono altri bravi saggisti e scrittori. In modo diverso, però, in quanto l’ex ministro è un pezzo di quella storia socialista che in tanti hanno goffamente tentato di seppellire sotto le macerie degli anni Novanta. E si dà il caso (ma è un caso?) che il suo testo è stato scritto sotto forma di diario, di "vivace memoriale autobiografico", come lo descrive Enzo Bettiza nella prefazione. Spiegando anche per quale motivo si cita la famosa battaglia di Austerlitz (oggi nella Repubblica Ceca) nella quale Napoleone il 2 dicembre 1805 inflisse una dura sconfitta alle truppe russe e austriache. "La metafora napoleonica - scrive Bettiza - s’attaglia alla perfezione al ruolo dinamico e poco convenzionale con cui, tra la diffidenza dei comunisti, la perplessità dei cattolici terzomondisti, l’ostilità pacifista dei radicali e lo sbalordimento dei comandi militari il ministro prende in pugno le redini di una Difesa fino allora opaca Cenerentola dei gabinetti italiani". Un diario che, scrive l’autore, ha "un netto taglio autobiografico perché non presumo di essere uno storico. Non mi ritengo infatti capace di esporre gli importanti fatti di allora come un terzo imparziale esente da partecipazione emotiva. Con la scelta autobiografica, del resto, conto di rendere più umano e quindi accessibile il racconto degli avvenimenti […] In quell’epoca ero ministro della Difesa. Lo sono stato per più di tre anni. Un ministro longevo, se si pensa che durante la Prima Repubblica i governi avevano vita breve e il ricambio dei ministri era assai rapido. Come segretario di Stato per la Difesa, ero una novità e una sorpresa. Fu una novità la designazione. Fece qualche rumore e sulle prime generò addirittura qualche apprensione. Nella storia italiana, infatti, la Difesa non era mai stata affidata a un socialista ed io ero il primo militante del Psi - partito storico della opposizione popolare in Italia - ad assumere la guida delle forze armate". Il volume è suddiviso in tre parti, con numerosi argomenti ognuno di due-tre pagine. Nei primi due capitoli, si va da "una novità alla Difesa" fino a "Il Paese che cambia". Il terzo invece è ricco di foto e illustrazioni di un periodo in cui le cose, in realtà, erano ben più complicate e profonde di quello che ancor oggi qualcuno pensa di poter ridurre ad un periodo da sottovalutare della nostra storia, se non addirittura da cancellare. In gioco, se non lo si è capito, c’era la democrazia, la difesa della libertà, non la riverita memoria di qualcosa o qualcuno. Per questo, come per tanti altri motivi, c’è da essere grati a Lelio Lagorio per il suo libro. E c’è da essergli ancora più grati per il modo in cui l’ha scritto, ricostruendo in modo sintetico, episodio per episodio, quanto avvenuto in quel periodo, come nella parte dedicata ai rapporti con gli Stati Uniti o con gli alleati europei. "Alla fine del 1980 - racconta l’autore - gli americani cambiarono presidente. Il presidente in carica, il democratico James (Jimmy) Carter, non riuscì nell’impresa di farsi rieleggere, come invece fino ad allora, da Roosevelt in poi, era sempre capitato a tutti i presidenti in servizio, salvo i morti ovviamente e quelli che avevano rinunciato. Al suo posto entrò alla Casa Bianca il repubblicano Ronald Reagan. Non ho incontrato né l’uno né l’altro ma ho conosciuto alcuni uomini dei loro governi […] L’America, in quegli anni, non era l’impero che siamo abituati a conoscere oggi. Erano ancora fresche le ferite del Vietnam che ne avevano scosso il prestigio. Carter era inciampato nella rivoluzione di Khomeini in Iran e ci aveva lasciato molte penne. Una gigantesca potenza militare - l’Urss - contendeva agli Stati Uniti il primato della forza e della influenza nel mondo. L’America, tuttavia, in seno alla alleanza occidentale - prosegue Lagorio - era di gran lunga più che un primus inter pares ed era difficile immaginare, ideare, progettare di fare qualcosa senza l’avallo di Washington. In questo quadro si cimentò la nostra politica che mirava alla indipendenza del Paese, a iniziative nostre nella regione mediterranea-africana". Così scrivendo, Lelio Lagorio stimola il lettore a divorare pagina dopo pagina, convinto che, come disse Charles Augustin de Sainte-Beuve, "Non dobbiamo aver paura di chiamare le cose e le epoche col loro nome". Insomma, nell’era della memorialistica, dei diari, delle indiscrezioni carpite ai testimoni del passato, Lagorio ci mostra il suo cuore, il suo cervello, la sua serenità in forma di libro. In attesa magari che, di qui a cinquant’anni, la revisione di questo periodo storico sarà stata avviata se non addirittura completata e cose molto utili sugli anni Ottanta del Ventesimo secolo saranno state dette e rivalutate. Già, in quanto si può immaginare che, a volte, gli uomini abbiano qualche soprassalto di dignità. Qualche punto di riferimento morale e civile.
Data recensione: 03/11/2005
Testata Giornalistica: Avanti!
Autore: Valter Lavitola