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«Avviene d’ordinario che a’ secoli delle lunghe istorie succeda poi il secolo de’ compendî»:torna in mente una delle massime di Luigi Lanzi quando si riflette sulla pressoché contemporanea pubblicazione dell’Indice approntato da Francesca Baldassari e del

«Avviene d’ordinario che a’ secoli delle lunghe istorie succeda poi il secolo de’ compendî»: torna in mente una delle massime di Luigi Lanzi quando si riflette sulla pressoché contemporanea pubblicazione dell’Indice approntato da Francesca Baldassari e del Catalogo offerto da Sandro Bellesi, solo che, questa volta, i «compendî» sono arrivati prima delle «lunghe istorie».
Di quella che per gli specialisti dell’età moderna, è la più ardua stagione dell’arte italiana, tanto è vero che non si dànno in natura (come l’ovvia eccezione di Mina Gregori) connazionali, per nascita o per studi, non toscani che osino affrontarla (per molti stranieri, esclusa Catherine Goguel, ci appelliamo ai trattati internazionali) disponiamo adesso di due repertori, strutturati entrambi come «Abbecedari pittorici» e ambedue frutto di fatiche annose, ma assai differenti e dunque da valutare separatamente.
Il Catalogo di Bellesi inizia con «Allori Alessandro» e termina con «Zocchi Giuseppe»: in questo caso, ai suoi estremi, l’alfabeto riproduce, grosso modo, i termini cronologici fissati, cioè, con un occhio alle date di nascita del primo e di morte dell’ultimo, dal 1535 al 1767. È dunque quella «Florence in the forgotten centuries», come Eric Cochrane l’aveva ribattezzata nel libro omonimo (e isolatissimo nel 1973), ma che proprio la storia dell’arte e dello spettacolo tardo-novecentesche hanno saputo richiamare dall’oblio facendo da apripista alla stessa storiografia e ancor più alla storia letteraria.
Com’è chiarito nella nota introduttiva, l’autore ha voluto ripercorrere la vicenda della «pittura fiorentina tra gli epigono del tardo Manierismo e i primi germi del Neoclassicismo», anche in virtù della sorprendente quantità di artisti (circa 340 i censiti) che «trova, in effetti, un corrispettivo solo a Roma». Se un tale criterio numerico è certamente giustificato, si sarebbe voluto sapere di più sulle ragioni di un taglio periodizzante per nulla ovvio tanto da evocare la «crise de la conscience européenne» che Paul Hazard, già nel 1935, poneva tra il 1680 e il 1715, dunque in decenni cruciali anche per il Granducato e il suo segnato futuro. Più che condivisibile è, in ogni modo, l’altro parametro unificante, ovvero la fortuna extrafiorentina degli artisti, per tutto l’arco temporale considerato, infatti: «La notorietà dei maestri (...) è attestata anche dalla richiesta pressante di opere realizzate nel capoluogo toscano per essere destinate a località italiane e straniere, più o meno importanti».
Francesca Baldassari sceglie una più compatta strutturazione che si riflette in un unico seppur corposo volume: il suo abbecedario parte con Cristofano Allori e termina con Jacopo Vignali, restando compreso il lasso temporale tra la generazione dei pittori nati negli anni Cinquanta del XVI secolo (Cigoli, Empoli, Pagani, Passignano, Salvestrini) e quella degli artisti venuti al mondo al più tardi negli anni Settanta del Seicento.
Negli elenchi compaiono finalmente le misure delle opere, fondamentali soprattutto per i quadri inediti che, in numero cospicuo, accanto ai più noti, restituiscono lo spirito di questa pittura, nella comune considerazione fin troppo umbratile e crepuscolare o peggio ancora espressione di una devozione stucchevolmente penitenziale, nell’un caso o nell’altro fatalmente epigonica. Ma «i pittori fiorentini dettero il meglio quando trasposero in grandi tele pittoriche i soggetti d’amore e di morte tratti dalle favole dell’Ariosto e del Tasso o da altre rare fonti mitologiche», sottolinea la studiosa che, opportunamente, ribadisce il proprio debito di formazione con il magistero di Piero Bigongiari.
Ora, è altrettanto vero che un tale repertorio tematico si manifestò per lo più, in un conveniente registro stilistico «fiorito» o notturno, cosicché dovremmo sentirci non meno debitori agli studi di Carlo Del Bravo e di Paola Barocchi che hanno incrociato sempre le dinamiche espressive e critiche di quel secolo pittoresco e ricordare come su questi medesimi accordi tutta la mostra recente dedicata a Francesco Furini fosse intonata.
Data recensione: 01/01/2010
Testata Giornalistica: Il Giornale dell’Arte
Autore: Massimiliano Rossi