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Nella liscia, verde pianura lombarda, tra le foschie dei più bei boschi cedui della terra, la pittura non poteva che essere realistica. E con tutto il suo praticismo, o senso di lealismo civico e professionale, trattare alla pari madame e servi.

Nella liscia, verde pianura lombarda, tra le foschie dei più bei boschi cedui della terra, la pittura non poteva che essere realistica. E con tutto il suo praticismo, o senso di lealismo civico e professionale, trattare alla pari madame e servi. Attenta, più che altrove, all’essenza dell’uomo, alla sua natura nobile o borghese, povera o contadina, ai suoi caratteri fondamentali, ufficiali o intimistici. La selezione dei «Sette ritratti lombardi», presentati nella nuova collana Note Libere delle Edizioni Polistampa, con testi di Marco Tanzi e Massimo Vezzosi, documenta il perdurare dell’atteggiamento mentale anche in questi ritrattisti un po’ misteriosi, cosiddetti «minori», attribuendo loro l’esecuzione di soggetti che è invece più difficile far uscire dall’anonimato. Comunque, i loro volti e il loro look raccontano un’evoluzione estetica, almeno nella moda. Dalla nobildonna di Gervasio Gatti, alla giovinetta di Giambattista Gigola. Dalla «virtuosistica definizione dell’abito» della vedova, alla tunica di bianca mussola fine che, da una spalla, morbidamente cade lungo il braccio disteso andando, distrattamente (o volutamente?), «quasi a scoprir l’acerbo seno». Dal tardo Cinquecento all’alba dell’Ottocento, le lombarde sembrano emanciparsi. Dalla penombra densa del secolo di Caravaggio, emerge il volto di un’aristocratica in nero, presunta cremonese, il collo chiuso nell’impeccabile gorgiera. Unica civetteria il pizzo del polsino, e gli anelli. Al mignolo, la croce dei Cavalieri di Malta. Lo stato vedovile è delicatamente sottolineato dal velo. Deve essere il pittore Gatti (1550-1630), autore a Cremona, piccola ricca Anversa padana, di «infiniti ritratti di Signori, Prencipi e gentiluomini & altre tante Signore e gentildonne», colui che ha saputo cogliere nello sguardo fiero della signora l’inequivocabile indizio di una condizione nobile, e di un animo che dovrebbe esserlo altrettanto. Al più, si può obiettare che l’incarnato del volto non sia abbastanza pallido per esprimere la tristezza di chi ha perso il marito. Ma solo nel 1649 Cartesio, con «Les passions de l’âme», avrebbe introdotto nella fisiognomica indicazioni scientifiche. Indiscutibilmente abile, dunque, il ritrattista, che Tanzi identifica con Gervasio, nipote del più celebre Bernardino. Giusto rivalutare tutti i protagonisti della cultura figurativa, comunque dotati di una magistrale perizia acquisita anche con il lungo tirocinio nella bottega di famiglia. In questa piccola galleria ora pubblicata, il generoso tentativo di rendere merito a certi pezzi di straordinaria bravura pittorica è messo alla prova da uno stupefacente «Ritratto di gentiluomo con cappello» (circa 1830), e con bottone ciondolante a un filo allentato: Massimo Vezzosi azzarda sia stato eseguito dal bergamasco Francesco Coghetti. Anonima ancora la giovinetta che alla fine del Settecento compare abbigliata all’antica, scialle blu frangiato e ricamato di fiori ai bordi, quattro fili di corallo al collo, un’aria di cipria dappertutto, in una tempera su avorio (15x12 centimetri). Ancora Vezzosi propende per attribuirla al pennello sentimentale del bresciano Giambattista Gigola, il più amato miniaturista dell’epoca, conteso dalle famiglie lombarde Trivulzio, Archinto, Visconti, Verri. Nel recuperare una tecnica quasi dimenticata, il maestro ottenne straordinari risultati anche con le miniature su pergamena: «Estrosissima declinazione del genere storico», commenta lo studioso. Ma, appunto, siamo nella fertile Lombardia.
Data recensione: 11/11/2009
Testata Giornalistica: Il Giorno
Autore: Anna Mangiarotti