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Il lavoro per l’edizione del corpus valliano sta procedendo con frutto. L’Encomion è fra le opere di Valla che ebbero poca fortuna (tre manoscritti) e rimaste escluse dall’edizione degli opera omnia, Basilea 1540: fu pubblicato la prima volta da J. Vahlen

Il lavoro per l’edizione del corpus valliano sta procedendo con frutto. L’Encomion è fra le opere di Valla che ebbero poca fortuna (tre manoscritti) e rimaste escluse dall’edizione degli opera omnia, Basilea 1540: fu pubblicato la prima volta da J. Vahlen nel 1886, sulla base di un codice solo. Qui ora se ne dà l’edizione critica fondata su tutti i testimoni. Si tratta del panegirico per s. Tommaso, effettivamente pronunciato dall’umanista in S. Maria sopra Minerva, il 7 marzo 1457, giorno della festa liturgica del santo. Il volumetto ripropone all’inizio (pp. 11-30) le considerazioni di Salvatore I. Camporeale, Alle origini della ’teologia umanistica’ nel primo ’400. L’Encomion s. Thomae di Lorenzo Valla. Nato come lezione nel 1994 e di tono quindi utilmente piano e didascalico, il contributo serve bene per introdurre ai problemi teorici complessi sottostanti all’idea di teologia enunciata brevemente dal Valla nell’Encomion, ma da lui discussa in altre opere: il Dialogo del libero arbitrio, il prologo al De professione religiosorum, il proemio al IV libro delle Elegantie. Lì la Scolastica, che propone una sintesi fra cultura classica (filosofica) e pensiero biblico (teologico), è definita come una fase storica specifica della teologia cristiana, sviluppatasi da Boezio alle Università, che non può perciò essere ritenuta perennemente valida. Ad essa Valla contrappone una nuova rilettura dei Padri greci e latini (gli ’antichi’), che non mescolavano affatto filosofia e spiegazione della Sacra Scrittura, seguivano invece s. Paolo; della teologia basata sulla esegesi filologica e storico-critica del testo biblico s. Girolamo fu il massimo esponente. La svolta propugnata “conduceva direttamente ad assumere nella ricerca e speculazione teologiche la retorica in sostituzione della filosofia (la philosophia, secondo l’espressa denominazione ed il senso di tale denominazione presso il Valla), desunte sia l’una che l’altra dalla tradizione classica ed ellenistico-romana” (p.20). Seguendo Quintiliano, Valla riteneva che l’ars grammatica fosse la “disciplina storico-teorica del sapere linguistico”(p. 27), base della comprensione dei testi, fondamento della retorica, la quale “include in sé... tutte le altre scienze”, poiché “ogni spaere [è] espresso in linguaggio” (p.28). Camporeale spiega bene come ne derivi il rigetto della concezione ’ontologica’ del linguaggio, che sta alla base dell’aristotelismo e della scolastica, e infine “rifiuto radicale dell’antologia classica” e del “paradigma fondante quella metafisica, cioè l’analogia entis” (p.25); e a questo connette il passaggio dalla teologia filosofica alla teologia retorica. Cartei nell’Introduzione descrive i tre codici, tutti e tre della seconda metà del sec. XV (pp. 47-56), il Modenese, Estense lat. 151 (α. T.6.15)(M) con la data fasulla 1460 e di orgine romana, il Par. lat. 7811 A (P), centro italiano, e il ms. Roma, Angelica 1500 (R), di difficile localizzazione; ne ricostruisce i rapporti, tracciando infine uno stemma che vede legati MR, mentre P da solo sembra rispecchiare un archetipo che aveva acquisito alcune revisioni d’autore: le varianti addotte sembrano perfettamente convincenti. Il testo si fonda dunque su P, salvo un caso specificamente discusso (p. 66) dove l’usus scribendi di Valla fa preferire MR. Vengono poi elencati i casi in cui alla lezione proposta dal Vahlen va preferita quella offerta dai codici e quelli in cui l’emendamento proposto da Vahlen sembra inutile o contrario all’usus valliano. Tra le lezioni P derivate da un ripensamento dell’autore, in particolare la cancellazione in due punti del verbo esse sembra interessante come scelta stilistica, non solo per “quella certa asprezza e difficoltà ricercata dal valla nelle parti più polemiche dell’oratio” (p. 63), ma direi anche forse per l’imitazione dello stile di s. Paolo, il quale come ben si sa frequentemente usa lunghi periodi ellittici del verbo esse. I ricordi stilistici dell’Apostolo nell’Encomium sono anche altri: non solo la citazione esplicita di Col 2, 8 a IV.7, rilevata dall’editore, ma l’eco di I Cor 3, 6 (“ego plantavi, Apollo rigavit”) a III.2 “Dominicus plantavit, Thomas irrigavit”; di II Cor 12, 2 (“sive in corpore nescio, sive extra corpus nescio”, ripetuto a 12, 3) a III.3 “sive in corpore sive extra corpus”. Altri rinvii alla Bibbia nell’Encomion sono: parafrasi di Ioh 1, 6-8 dove si parla di s. Giovanni battista a II.3 “ad perhibendum testimonium de lumine... missus...”; di Apoc 14, 13 (“beai mortui qui in Domino moriuntur”) nella frase incipitaria “Etsi omnes qui in Domino moriuntur beati sunt et sancti...”; ripresa, con equilibrio retorico, ancora di Apocalisse (4, 4.10; 5, 8) alla fine dell’Encomion (IV.13): “ante thronum Dei... cum viginti quattuor illis senioribus (canunt enim...)”. Con Apoc 5, 8-9 (“viginti quatuor seniores ceciderunt coram Agno, habentes singuli citharas, et phialas aureas plenas odoramentorum, quae sunt orationes sanctorum: et caqntabant canticum novum”) sembrerebbe anche connessa l’intera figurazione dei paragrafi finali: le cinque coppie di dottori della Chiesa (“theologie principum”), ognuna composta da un greco e un latino e cantante con il proprio strumento musicale davanti al trono di Dio. Citharae sono lo strumento dei seniores apocalittici: Valla propone la serie lyra, cithara, psalterium, tibia, cymbalum, tutti strumenti fra i molti citati nella Bibbia, ma mai questi cinque insieme. Lambiccata, ma motivata con un paragone tratto dalle arti liberali antiche, è la giustificazione al numero cinque delle coppie di teologi (di contro alla quaterna tradizionale): cinque come i tetracordi della musica greca. Le cinque coppie sono interessanti. Scontate le prime tre: Basilio / Ambrogio, Gregorio di Nazianzo / Girolamo, Giovannni Crisostomo / Agostino. Bella la scelta di Dionigi l’Areopagita / Gregorio Magno, in quanto Gregorio Magno, proprio come Valla stesso ha accertato, è il primo, sia fra i latini che fra i greci, a citare Dionigi (Greg. Hom. In Ev. II, 34, 12: CC SL, 141, p. 312). Da questo l’umanista ricava l’elemento fondamentale per supporre che Dionigi venga ben dopo l’età apostolica e per scardinare così la identificazione dell’autore del Corpus Dionysianum con il Dionigi l’Areopagita incontrato da s. Paolo; discusse il problema un po’ meno stringatamente nello stesso 1457, nelle Annotationes in Novum Testamentum, in Act. Apost. Cap. XVII. Anche se preceduto nel dubbio da Abelardo, rimane comunque l’iniziatore della critica moderna. Giovanni Damasceno, che dalla sua specola del VII secolo è in bilico fra antichità e Medio Evo ed è anche certo più filosofo degli altri Padri, va bene da ultimo insieme a Tommaso d’Aquino. Un tributo al genere letterario ’vita di santo’, è pagato dal Valla a III.1, dove riferisce la profezia rivolta alla madre di Tommaso prima della nascita del figlio e la visione avuta dalla madre del fondatore dell’ordine, s. Domenico: profezia e visione riprese alla lettera dalle biografie più diffuse dei due (Guglielmo di Tocco, cap. I.2: AASS Mart., I, 657 per Tommaso; Giordano di Sassonia, cap. I.6: AASS Aug., I, 542 per Domenico). E ancora rispetta quell’altro topos, ben canonizzato dal domenicano Jacopo da Varazze, di dare una interpretazione moralmente valida del nome del santo: così a Tommaso il nome viene divinutus, perché “Thomas hebraice tum abyssum tum geminus transfertur, qulis vere Thomas Aquinas fuit: vel abyssus quedam scientie, vel geminus ob scientiam et virutem” (II.). La legenda aurea, cap. V, per s. Tommaso apostolo iniziava: “Thomas interpretantur abyssus vel genimus, quod et grece Didimus”; lo steswso significato era fornito da Uguccione e altre fonti medievali; all’origine di tutti era, non citato, s. Girolamo, Interpretationes hebraicorum nominum, 63.10 (CC SL, 72, p. 138): “Thomas abyssus vel geminus unde et graece Δίδυμος adpellatur”. Invece la specificazione hebraice, data da Valla soltanto, sembra richiamare direttamente il titolo dell’opera di Girolamo. E così Valla riusciva a tirare in campo il più filologo dei Padri. Però, argomenta Cartei, la contrapposizione fra i Padri e i moderni teologi-filosofi a tutto vantaggio dei Padri non dovette piacere molto all’epoca sua, in cui la Scolastyica era dominante: non fu forse isolata l’opinione del card. Guglielmo d’Estoutville, che “illum insanire iudicavit”, come riferisce Gaspare da Verona; anche se nella scarsa fortuna dell’Encomion giocarono probabilmente diversi fattori, come il suo carattere di scritto occasionale o la morte dell’autore, di lì a poco sopraggiunta (p.79). Leggendolo adesso, nel XXI secolo, con nuove opinioni – anche se per altri motivi – sull’importanza dei Padri nella teologia della Chiesa, colpisce per l’efficacia potente dello stile e per la sua nettezza di esposizione, dove concetti profondi sono trattati con chiara e semplice brevità.
Data recensione: 01/09/2009
Testata Giornalistica: Aevum
Autore: Mirella Ferrari