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Gli affetti, con audacia rappresentati nella loro purezza, senza concessioni ad una topica dell’inquietudine, sono al centro del libro di Francesca Romana de’Angelis, Con amorosa voce (Polistampa, Firenze 2008, intr. Di Nicola

Gli affetti, con audacia rappresentati nella loro purezza, senza concessioni ad una topica dell’inquietudine, sono al centro del libro di Francesca Romana de’Angelis, Con amorosa voce (Polistampa, Firenze 2008, intr. di Nicola Longo): l’amore di tutta una vita, ma anche i genitori, i nonni, gli alunni, il cane Sasha (l’unico del quale si riporta il nome). Con audacia altrettanto grande de’ Angelis sceglie di ambientare i suoi versi niente affatto cerebrali, anche se tenacemente lavorati, su di uno sfondo indeterminato: la maggior parte delle azioni si svolgono in riva di un mare descritto con pochi tocchi: gli oggetti non compaiono quasi mai, se non quando è necessario riportarne la sfocata sagoma, come nel caso delle tazzine da caffè (“Poi allungasti la mano / tra le due tazze di caffè / a cercare la mia”, p. 54); le ambientazioni indeterminate anche quando sono concrete (la “strada stretta / delle case rosa / dove abbracciati camminammo / verso una trattoria”, p. 70): dell’amato, che è il tu di quasi ogni componimento, non si descrive l’aspetto né si concede al lettore il nome. A differenza, ad esempio, di una poetessa come Gabriella Leto, che inserisce nella classica misura dei suoi versi un numero ingente di particolari realistici alla vita contemporanea, de’ Angelis sceglie di affidare i ricordi ad una selezione lessicale e tematica rigorosa. Nella sua densa introduzione Nicola Longo parla a ragione di un riuso dell’“archetipo trecentesco” che “è in grado di suscitare nel lettore un senso di meraviglioso stupore per la ricca invenzione delle differenze, degli scarti che si registrano rispetto alle regole offerte dalla storia della poesie amorose” (p. 10). Lo scarto consiste nell’adozione di un punto di vista squisitamente femminile: l’amore, come nel petrarchismo, è indagato nella sua essenza, ma ricercato nei gesti, nei momenti di condivisione con l’amato, non nel desiderio e nella lontananza. L’amore è celebrato come scambio reciproco dei doni. Della passione viene mostrato il prima e il dopo: il corteggiamento e la tenerezza che segue.L’amorosa voce è ottenuta per distillazione, con un paziente lavoro sui versi e sui temi, un labor limæ che, classicamente, lavora sul togliere. Anche se la metrica è novecentesca – i modelli sono quelli del trobar leu del nostro Novecento (il primo Caproni, evocato in Ricordando un poeta, Bertolucci, Sereni) – molti dei componenti, levigati compatti, incentrati su di un’immagine o una pointe, possono essere considerati dei sonetti. A Roma può essere definita con Longo un’ode, il controcanto delicato, sognante, antiretorico della celebre ode carducciana. Nonostante la “classicità” della loro struttura, però, i componimenti non appaiono manierati: la forma è la necessaria veste che assume la sensibilità dell’autrice.Se questo libro è un felice esordio dal punto di vista editoriale, il lettore intuisce che i cinquanta componenti [sic] qui raccolti sono una selezione severa di una produzione molto più ampia, un mazzetto raccolto in un giardino protetto dalle intemperie della pubblicazione.I versi, d’altronde, nonostante l’apparente immediatezza, rivelano un lavoro paziente soprattutto sulla sintassi. Le figure retoriche sono utilizzate con severa misura, spicca la quasi totale assenza di enjambement, mentre il ritmo è pacato, ma conosce accelerazioni, sia  pure non brusche, e momenti di stasi. Come notato da Longo, la metafora della pittura è al centro dei componenti metapoetici: l’io poetante dipinge i ricordi e le emozioni. Ricorrendo a questa metafora possiamo affermare che i versi sono per de’ Angelis delle pennellate da distendere una per una, senza perdere di vista l’insieme, ma godendo di ogni singolo gesto sulla tela, di ogni pigmento.
Data recensione: 01/02/2009
Testata Giornalistica: Studium
Autore: Lorenzo Geri