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Meglio la cucina italiana o la francese? Bernardo Pianetti della Stufa risponde con un excursus storico presso la Società del Casino, fondata nel 1836 dall’aristocrazia genovese e presto aperta alla borghesia colta

Meglio la cucina italiana o la francese? Bernardo Pianetti della Stufa risponde con un excursus storico presso la Società del Casino, fondata nel 1836 dall’aristocrazia genovese e presto aperta alla borghesia colta ed imprenditrice: «Piatti medicei alla corte francese». «Non è una questione di supremazia - precisa il marchese -, per i francesi la cucina fa parte della grandeur, ma i maestri vennero da Firenze al seguito di Caterina e Maria dei Medici, regine di Francia. Al mondo non c’è allievo senza maestro e i grandi cuochi francesi impararono». L’attualità della ricerca è stata stimolata dalla Mostra dei mesi scorsi a Palazzo Strozzi: «Caterina e Maria de’ Medici: donne al potere». Pianetti ha messo in evidenza novità ed elementi di civiltà portati dalle due regine. Nella Corte di Francia nel ’500 si mangiava molta carne inframmezzata da piccole quantità di verdure; una cucina grassa per cui spesso la nobiltà soffriva di gotta e renella. Con Caterina de’ Medici, sposa di Enrico II, arrivano i suoi cuochi e gli ortolani; arrivano i limoni sconosciuti Oltralpe, il prezzemolo (detto persil d’Italie), asparagi bianchi appena importati dall’America, tartufi bianchi che non sfondarono rispetto ai neri del Périgord. Caterina introduce il gelato, il mangiare frutta a fine pasto, e la forchetta quando Oltralpe lo si faceva ancora con le mani. Maria portò la pâte brisée, base della pasticceria francese, e raffinatezza.
Nell’approfondire, come fa Pianetti, con verve di toscano «doc» piatti francesi, già inventati molto prima dai fiorentini, sono emersi nomi noti: la fricassée, il vol-au-vent, le canard à l’orange, conosciuto in Toscana nel 1380 come papero alla melarancia. La stessa besciamella prende nome da Béchamel, maestro di cucina alla Corte di Francia, che ingentilì la fiorentina «salsa colla», sostituendo alla farina di grana grossolana un’altra più fine e il burro all’olio toscano. L’olio era tipico condimento italiano e, a conferma, ha ritrovato una nota di servizio di Cesare ai suoi soldati di guarnigione nel Nord Europa. Secoli dopo, una testimonianza del cucinare fiorentino, povero di condimenti grassi, viene da Prezzolini: «È una cucina leggera, magra, saporita, piena di spirito e di profumo, fatta per chi ha l’intelligenza sveglia e non vuole un ventre da sedentario». Infine una conclusione personale: «Quanto erano più belli i legami (oggi direttive comunitarie e rapporti politici difficili), quando una frittata legava due Paesi»! La frittata è l’omelette, che vien da dire un piatto tutto francese, da gustarsi calda e quanto più «baveuse», ma nel Cinquecento Grazzini, detto il Lasca, le dedica già una poesia, chiamandola «pesceduovo» e ne insegna la ricetta, puntualmente riproposta da Pianetti. Brillante ricercatore per inclinazione personale, ma anche perché il mestiere di giornalista gli fu insegnato da Italo Zingarelli figlio dell’autore del Dizionario e direttore de «Il Globo», prestigiosa testata economica romana. A giorni, il nuovo libro «Il Ritorno. Colloqui con il mio Angelo Custode» (Edizioni Polistampa). Certo tante le riflessioni sulle moderne magagne. Suo un accostamento: «Aglio e Sindacati. Entrambi deprimono».
Data recensione: 22/06/2009
Testata Giornalistica: Il Giornale.it
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