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La lezione di Innocenza Scerrotta Samà è contenuta nella fermezza del suo sguardo sulle cose, nella nobiltà di quella che si potrebbe anche chiamare la sua lucida disperazione. La sua è la poesia del silenzio, silenzio

La lezione di Innocenza Scerrotta Samà è contenuta nella fermezza del suo sguardo sulle cose, nella nobiltà di quella che si potrebbe anche chiamare la sua lucida disperazione. La sua è la poesia del silenzio, silenzio sfiorato, ‘rischiato’; o poesia dei pensieri non declamati, non esplicitati, solo accennati, suggeriti, allusi, quelli che il lettore può sviluppare, proseguire in una messa in comune d’anime. Anche il ricordo, il passato, è sfiorato dalla scrittrice quasi in totale silenzio, senza peso di nostalgie morbose. Come a p. 40, nel «Natale solitario». L’afa del titolo ricorre sei volte, in questi pochi testi, ed è evidente metafora di oppressione, di ciò che nel vivere è sentito dalla poetessa come una sorta di soffocante prigione. L’afa è quel che sopravviene quando qualcosa che stavamo afferrando ci sfugge, ci lascia nella desolazione. Ma la parola si ferma, per dir così, prima del lamento: constata e subito tace. In questa poesia la vita, il dolore, non sono rinnegati, tutto vi è accettato, gli opposti convivono, si fondono. La vita – dice Scerrotta intervistata - non è una festa patronale, con fanfare e luminarie; è quando ci appare tale che arriva il male. Di nulla poi si deve inorridire: ci sono abissi più neri, più fondi del nostro. Come è detto anche a p. 43 e completato a p. 44. Adamo cioè ha peccato due volte, avrebbe dovuto mangiare dell’albero della vita, anteriore a quello della conoscenza. Ci ha tolto invece la visione dell’albero «col frutto della vita», e a noi rimane per sempre presente quest’ombra: non abbiamo conosciuto l’albero della vita, che pure viviamo. E di cui la poetessa canta anche la passione sensuale, la luce, che «sul buio del letto/ è danza d’amore» nell’«infuocato universo/ mai sazio di vita»(p. 23). Amore nudo, bello e pure nostro, dice: non rinnegando il dolore, tutto accettando, dalla giungla della vita nasce l’armonia, che c’è. Nella sezione del volumetto Il giardino dei ribes - dove l’autrice ha avuto l’affettuosa generosità di ospitare la ‘poesia’ di una Giulia allora tredicenne – l’uomo che «legge il giornale» è Francesco Samà, ormai scomparso. Il giardinetto è quello della casa di vacanze in Sila, Giulia giungeva golosa del ribes, e il benevolo vecchio signore le diceva lieto di salire (nella casa dalla porta già aperta) per prendere il cestino bianco da riempire dei frutti che «Come coralli/ a grappoli sanguigni/ affollano la siepe». È forse questo l’esplicito-segreto omaggio reso dalla poetessa alla memoria del marito, e probabilmente l’unico. Un segno di più del limpido riserbo della sua parola, disposta talora a sfiorare o a sfidare l’oscurità pur di non tracimare nel troppo detto, nel sentimentale, o ancora nel lamento egoistico su se stessa. Tacere sapendo, accettando della vita luci ed ombre: ancora i contrari, che sempre ricorrono in questa poesia, tesa quasi in dialettico sforzo di conoscenza.
Data recensione: 01/01/2009
Testata Giornalistica: Novecentopoesia
Autore: ––