chiudi

Non potenza in guerra, ma Stato pienamente immerso nella realtà del primo conflitto mondiale, la Santa Sede svolse un compito oscuro ma non insignificante fino dalle fasi iniziali seguite all’ultimatum austriaco che aprì

Non potenza in guerra, ma Stato pienamente immerso nella realtà del primo conflitto mondiale, la Santa Sede svolse un compito oscuro ma non insignificante fino dalle fasi iniziali seguite all’ultimatum austriaco che aprì le ostilità. In quella vicenda la Chiesa del neo eletto Benedetto XV entrò denunciando l’inciviltà della guerra, ma conservando uno stretto rapporto con l’Impero asburgico, il suo ultimo vero baluardo politico. “Orrore e angoscia inesprimibile” – disse il Papa a pochi giorni dal suo insediamento, con una condanna senza riserve della carneficina, preludio ai toni dell’enciclica Ad beatissimi, ma la questione andava oltre l’immediatezza dei sentimenti. Non v’era di per sé alternativa all’imparzialità, in un conflitto già tanto esteso che divideva in due mondi fieramente avversi i cattolici, come accadeva del resto per i socialisti, ma la propensione della Chiesa alla causa austro-tedesca non poteva nascondersi, agli esperti sguardi delle diplomazie dell’Intesa, specialmente nei primi tempi del prevalere degli Imperi. Fu dunque teso il rapporto con la Francia, deluso per il mancato intervento contro la sopraffazione tedesca del Belgio che l’aveva messa a rischio, ma il rapporto si ricostituì gradualmente, mercé anche lo stabilirsi di rapporti tra il Vaticano e l’Inghilterra. Fu una difficile realizzazione dell’imparzialità su cui andò attestandosi la personale posizione di Benedetto XV, ma occorse prima superare la fase della dialettica sull’intervento italiano che, per la Chiesa, si risolse nell’opzione neutralista una volta abbandonata dal Governo di Roma la prospettiva triplicista. Il consolidarsi dei fronti, il declinare della Russia, l’alternarsi delle situazioni favorirono il consolidarsi di un’equidistanza più nitida che finì per essere interpretata da ognuno dei contendenti come ostilità della Chiesa. Parallelamente andò la Santa Sede si inserì sempre più nel conflitto come potenza umanitaria con un proprio ruolo diplomatico. Svolse così sempre più un ruolo assistenziale per tutte le vittime svolto in modo abbastanza universale e intraprese un percorso davvero nuovo rispetto alla forte impronta temporale ottocentesca. Non fu posizione asettica politicamente perché la diplomazia vaticana ebbe idee e preferenze, interessata com’era ad un certo equilibrio delle potenze nel dopoguerra, così che intervento umanitario e iniziativa diplomatica orientata ad affermare un ruolo attivo nella politica internazionale non furono slegati. La grande guerra sorprendeva governi e popoli e li consegnava ad un tempo radicalmente diverso e perfino la Chiesa non poteva sottrarsi al rivolgimento che era insieme politico, culturale e sociale. Benedetto XV si trovò in tal modo a rappresentare il primo pontificato di una modernità sofferta, il cui primo presupposto doveva essere la chiusura della questione romana che pure avrebbe avuto ancora tempi abbastanza lunghi. La natura della guerra metteva in gioco quel ruolo super partes che la natura dell’istituzione spirituale avrebbe di per sé implicato, ma la restituiva in parte attraverso la dimensione dell’impegno umanitario che finì per costituire la cartina di tornasole di un’identità rinnovata. L’insieme di politica e di solidarietà identificava una diplomazia diversa dalle altre, ma contemporaneamente esposta al misurarsi con quella degli stati in conflitto come una tessera del gioco. Lo snodo di quella diplomazia consisteva nel gestire il passaggio dal tempo dei grandi stati dominanti a quello dei tanti paesi emergenti dal nuovo ordine mondiale, recante ciascuno una grande fragilità. La guerra determinava un cambiamento epocale, specialmente un Europa e, come tutti, la Santa Sede dovette faticare a comprenderne la portata. Se il compito era arduo, Benedetto XV si rese conto della transizione che obbligava la Santa Sede ad assumersi esplicitamente parte delle responsabilità diplomatiche. L’autore compie la sua densa ricognizione intorno a questi temi, fondando una puntuale ricostruzione, ricca di riferimenti in larga parte originali, su documenti di prima mano, molti dei quali tratti dagli Archivi Vaticani. Lo fa padroneggiando la materia e dando ordine ad una ricostruzione complessa che illustra bene i tratti dei protagonisti, a cominciare da Benedetto XV. Ne emerge la figura di un pontefice sollecitato dalla storia a sviluppare l’opera che Leone XIII aveva avviato ma che rimaneva per larga parte in fieri. Nella sua prefazione Francesco Margiotta Broglio inquadra problematicamente il divenire dell’organizzazione ecclesiastica, mettendo a fuoco il problema della trasformazione della Chiesa e inquadrandolo nel dibattito storiografico. Il volume dunque offre largamente spunti e materia alla ricostruzione di un periodo che va man mano rivelando la sua grande complessità e articolazione tematica.
Data recensione: 01/05/2008
Testata Giornalistica: Ricerche storiche
Autore: Fabio Bertini