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Confesso che ho affrontato con un certo scetticismo la lettura de Il nudo in scena di Roberto Giovannelli, studio centrato sulle vicende dell’Accademia fiorentina nell’Ottocento e, in parte, anche nel Novecento. Forse perché

Confesso che ho affrontato con un certo scetticismo la lettura de Il nudo in scena di Roberto Giovannelli, studio centrato sulle vicende dell’Accademia fiorentina nell’Ottocento e, in parte, anche nel Novecento. Forse perché il testo è preceduto da un dialoghetto, tra l’autore ed un amico, che costituisce la cornice teorica dei saggi successivi e nel quale si conduce un processo un po’ sommario e discutibile sulle esperienze dell’arte contemporanea. Sulla quale certamente è lecito nutrire più di una perplessità qualora non si rinunci a fare critica. In breve: qualora non ci si limiti a quel “descrivere” nel quale Dorfles nel lontano 1956 indicava una possibile via d’uscita di fronte a opere difficilmente inquadrabili. Tuttavia, dopo tale inizio vagamente stizzoso, il testo vero e proprio sin dalle prime pagine ha cominciato ad affascinarmi e il piacere della lettura andava di pari passo con l’ammirazione per una ricostruzione filologicamente precisa e vivace della vita dell’Accademia di un tempo. Una vita operosa e costruttiva, stando al Giovannelli, sostenuta da quella tensione dialettica, che giustamente l’autore riconosce come fondante, tra neoclassicismo e naturalismo. Il cambiamento di rotta sarebbe venuto nei tempi lunghi, con le conseguenze innescate dalla ventata romantica che demolì le regole, tutte le regole, e poi con quell’eccesso di teoria che sarebbe diventato determinante soprattutto nel Novecento.Il libro è la puntuale e precisa ricostruzione di un luogo, l’Accademia fiorentina, ricco di memorie troppo spesso dimenticate o volutamente ignorate. È presente nel testo una mappatura vorrei dire del décor, dell’architettura dei luoghi, del ricco patrimonio di opere plastiche e pittoriche come dei disegni e di mille altri reperti lasciati nel dimenticatoio. Giovannelli riscopre, individua e classifica con un impegno certosino che risulterebbe monotono se non fosse riscaldato da un sentimento di forte adesione ad un modelle e ad una tradizione che l’autore sente in buona parte come tuttora vivi, se non preferibili ai bizantinismi concettuali del momento. Certo, l’Accademia di cui Giovannelli parla è un’Accademia di nicchia, certo non in grado di soddisfare una domanda di massa. Ma può l’Accademia rinchiudersi nella difesa di un passato glorioso che oggi sembra non avere nessi con il presente? O deve allargare il suo campo d’azione a tutte quelle pratiche genericamente collegabili all’universo delle pratiche visive? L’iconosfera attuale e la globalizzazione dell’esperienza visiva pongono problemi tutt’altro che scontati e comunque non facili da risolvere. Ma può anche darsi che un modello custode dei valori della tradizione possa comunque avere una sua ragione d’essere accanto ad altre proposte didattiche e che sia giusto che il fare pittura e scultura mantengano la loro importanza. Tra l’altro bisogna anche riconoscere che l’organigramma didattico confuso e velleitario che sta venendo fuori con l’attuale riforma (tra l’altro affidata nei casi migliori a politici, burocrati, sindacalisti ecc.) rende ancor oggi appetibile l’Accademia di ieri che, almeno in un settore, quello delle arti figurative, nel bene o nel male, qualcosa produceva. Il testo ricostruisce in maniera molto partecipata il clima della scuola del nudo, della scuola di pittura, ritrae le figure degli insegnanti che si avvicendarono allora fino alla seconda metà del Novecento, ne “fotografa” le modelle, analizza gli strumenti e certi manuali di allora (penso a quelli di disegno anatomico a petto dei quali impallidiscono molte recenti pubblicazioni nate all’insegna di un millantato rinnovamento). Il tutto sotteso da un monito (senza la conoscenza del passato non si crea nessun futuro) e da un invito a riflettere sulle implicazioni dell’arte attuale. La quale, insofferente di regole e desiderosa di annullare lo scarto tra arte e vita in nome dell’impegno politico, approda sovente al bel risultato che, mancando del cosiddetto “intervallo”, non è più distinguibile da altre pratiche conoscitive!
Data recensione: 01/10/2008
Testata Giornalistica: Erba d’Arno
Autore: Luigi Bernardi