chiudi

Un’oscura epigrafe latina illumina di mistero il pavimento di marmo della basilica di San Miniato a Firenze, appena poco dopo l’ingresso. Una sua frase in particolare soggioga l’esegeta e lo precipita nell’enigma: 1207

Un’oscura epigrafe latina illumina di mistero il pavimento di marmo della basilica di San Miniato a Firenze, appena poco dopo l’ingresso. Una sua frase in particolare soggioga l’esegeta e lo precipita nell’enigma: 1207. retinent de tempore et morte, “Anno 1207. Queste cose preservano dal tempo e dalla morte”. “Dal tempo e dalla morte”. Chissà quante volte queste parole saranno risuonate nella mente del loro traduttore, Renzo Manetti. Architetto e storico dell’architettura, da anni occupato a svelare l’intima verità di questa iscrizione e della complessa costruzione simbolica della basilica, ha pubblicato in questi giorni il suo terzo libro sull’argomento, Lingua degli angeli (Edizioni Polistampa, 88 pagine, € 12), ormai dieci anni dopo il primo volume Le Porte Celesti. Segreti dell’Architettura Sacra. Chi o cosa impedisce alla morte e al tempo di seguire il loro corso? È la domanda iniziale di questo nuovo saggio che offre un quadro aggiornato delle ricerche dell’autore sulla complessa macchina simbolica di San Miniato. Il viaggio esegetico di Manetti principia indagando la visione del mondo nella religiosità antica, alla cui base stava il concetto di corrispondenza fra cielo e terra. Si riteneva che tra cielo e terra esistessero correnti invisibili e passaggi sempre aperti. Uno dei simboli più diffusi per indicare questi passaggi era l’Albero cosmico o l’Albero della Vita che, comune a tutte le culture pur con immagini diverse, raffigurava il rapporto fra il cielo e la terra, fra Dio e l’uomo. Quest’albero era posto nel mitico “ombelico” del mondo, il centro del cosmo, riconoscibile in ogni luogo che una comunità individuasse come carico di una particolare sacralità, vera e propria porta aperta sul cielo, come la scala che Giacobbe vide nel sogno scaturire dalla pietra di Betel, lungo la quale salivano e scendevano gli Angeli. La Scala di Giacobbe è il simbolo più usato nella mistica antica per indicare la Porta del Cielo. Come la pietra di Betel poteva diventare una Casa di Dio perché il luogo dove si trovava era già stato riconosciuto da Giacobbe come una porta del cielo, cioè sacro per sua natura, cosi l’edificio sacro doveva collocarsi alla confluenza delle opposte correnti invisibili, la cui armonica combinazione ed esaltazione sembra rendere più facile al corpo l’ascensione alla terra celeste, cioè la salita lungo la scala di Giacobbe fino alla visione di Dio. Era dunque opportuno che, come in un’alchimia spirituale, un tempio fosse edificato in luoghi speciali dove le vibrazioni della terra emergono con più intensità, e che la sua architettura rispondesse alle leggi del cosmo, ovvero ne rispettasse i rapporti matematico-musicali con cui l’universo è stato costruito dalla Sapienza Primigenia. Infine doveva possedere un orientamento che lo ponesse in diretta relazione con il cielo. L’autore indaga separatamente queste tre punti per esporre come la basilica sia stata costruita rispettando appunto i dettami dell’ «alchimia spirituale». Tralasciando il primo nel quale Manetti documenta l’antica tradizione sapienziale in merito ai crismi della collocazione dell’edificio sacro, il suo discorso interpretativo diviene assolutamente avvincente e carico di suggestioni negli altri due punti ed in particolare nell’analisi della simbologia cosmica che la basilica – secondo l’autore – possiederebbe. Qui l’esposizione dell’autore ci introduce ad un’ampia dimensione iconologica che affascina ed impressiona il lettore ad ogni pagina per la sua ricchezza di riferimenti a tradizioni, concetti filosofici e visioni cosmologiche. I numerosi simboli rintracciati sono sviscerati nelle loro infinite relazioni, contaminazioni storiche e sincretismi culturali. Colpisce in particolare l’analisi della dimensione numerologica che sembra governare l’intero disegno della basilica, tanto della facciata geometrica quanto delle proporzioni dell’architettura interna in ossequio ai principi dell’architettura sacra, che hanno le loro profonde radici nella cosmologia pitagorica. La teoria pitagorica dell’armonia universale, regolata da rapporti matematici che si ritrovano nella natura e nella musica, tramandata da Platone nel Timeo, influenzò grandemente gli artisti tardo medievali e rinascimentali che ritenevano che le nostre anime stesse dovessero conformarsi a questa armonia. Perciò anche una chiesa doveva essere, secondo loro, costruita secondo queste armonie matematiche essenziali perché partecipasse della forza vitale che è celata dietro ogni materia e lega insieme tutto l’universo. Senza una tale simpatia tra il microcosmo dell’uomo e il macrocosmo di Dio, la stessa preghiera non sarebbe stata efficacia. Anzi alcuni autori si spinsero ad affermare che le funzioni sacre non avrebbero avuto valore se la chiesa non fosse stata costruita con debita proporzione. Cioè la chiesa non avrebbe funzionato come Scala di Giacobbe, porta sul cielo in grado di mettere in comunicazione i fedeli con Dio. L’autore al termine del suo percorso interpretativo dimostra come la struttura della chiesa di San Miniato sia conforme a queste prescrizioni, decodificandone la complessa geometria sacra fino a sciogliere l’arcano dell’epigrafe sul pavimento marmoreo, chiudendo il cerchio della sua indagine che trova conferma proprio nel senso dell’iscrizione. Il libro di Manetti costituisce un viaggio difficile maaffascinante nella storia della basilica e nella tradizione sapienziale che l’ha prodotta. Un viaggio capace di restituirci una concezione completamente inusitata dell’edificio sacro e della sua dimensione simbolica il cui funzionamento, la lingua degli angeli, ci appare adesso meno oscura.
Data recensione: 24/03/2009
Testata Giornalistica: Metropoli
Autore: Jacopo Nesti