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Del copioso materiale documentario relativo all’epoca risorgimentale custodito nell’Archivio diaristico nazionale di Pieve S. Stefano, fa parte anche questo memoriale scritto da Augusto e Alceste Trionfi – padre

Del copioso materiale documentario relativo all’epoca risorgimentale custodito nell’Archivio diaristico nazionale di Pieve S. Stefano, fa parte anche questo memoriale scritto da Augusto e Alceste Trionfi – padre e figlio – entrambi testimoni di un’epoca e ferventi garibaldini. L’interesse storico del libro, che raccoglie memorie secolari (1840-1946) è dato da molteplici fattori, il primo dei quali è il carattere autobiografico. Questo, se da un alto può essere considerato un limite perché può peccare di troppa soggettività, dall’altro può costituire un pregio in quanto gli autori cosiddetti “minori”sanno spesso cogliere aspetti meno riconosciuti, ma non secondari, del proprio tempo.
In questo caso, i toni spesso enfatici della rievocazione, così come la passionalità nell’esprimere valutazioni o giudizi, o lo spirito dissacrante dei detti popolari, sono tutti elementi che concorrono a delineare la cultura popolare dell’epoca.
Il raccontino si snoda essenzialmente in due parti: la prima più corposa, consiste nella narrazione dei primi trent’anni di vita di Augusto Trionfi – dal 1840 al 1870, anno della liberazione di Roma – la seconda ne è la prosecuzione ad opera del figlio Alceste destinatario non passivo delle memorie paterne che, attingendo ai propri ricordi, narra, spiega, integra procedendo in una continuità storica e ideale col padre fino al 1946, anno della proclamazione della Repubblica.  E proprio questa continuità ideale segna il superamento del limite autobiografico per proiettare il racconto nella dimensione più ampia di una testimonianza storico-pedagogica da lasciare alle future generazioni chiamate a riconoscersi nel valore del coraggio, della fedeltà agli ideali, della modestia e del disinteresse, che Garibaldi incarnava così bene.
Nella prima parte si possono individuare i momenti più significativi della formazione umana e politica dell’autore intrecciati agli eventi bellici fino alla sua definitiva adesione al gruppo dei volontari garibaldini. Augusto vive la sua infanzia a Roma presso una famiglia adottiva benestante e incline al fanatismo religioso in seno alla quale egli matura gradatamente una coscienza ribelle e anticlericale che sconta con l’isolamento e l’espulsione dalla scuola dei Gesuiti. Il tutto sullo sfondo del dominio temporale e culturale dello Stato Pontificio. Si alternano eventi collettivi ed esperienze personali: l’acclamatissima elezione di Papa Pio IX, la caduta della Repubblica romana, le prime esperienze di lavoro come decoratore, la partenza per Napoli, in seguito alla sconfitta borbonica, l’arruolamento nell’esercito regio...
La narrazione procede tra toni ironici – a commento delle vicende papaline- enfatici ed appassionati riferimenti a Garibaldi e alle sue imprese, soprattutto dopo la trionfale spedizione dei Mille. La lettura è piacevole e a tratti avvincente come un romanzo di avventure. Due comunque sono gli eventi a cui Augusto dedica un grande spazio, sia per la loro valenza storico-politica, sia per il ruolo attivo che egli vi ebbe: il fenomeno del brigantaggio e la gloriosa e  sfortunata spedizione garibaldina a Mentana a cui l’autore partecipò personalmente come volontario.
Per quanto riguarda il brigantaggio, la durezza (che anche Augusto, come soldato, esercitò) con cui lo stato italiano cercò di stroncarlo, si spiega in gran parte con la necessità di far fronte alla minaccia costituita dai Borboni sconfitti ma non annientanti e soprattutto sostenuti dall’aristocrazia nera che, desiderosa di riconquistare il potere e i privilegi perduti, finanziava i briganti.
L’antistatalismo che tuttora sopravvive in molte parti dell’Italia nasce da qui.
Infine Mentana. Augusto narra con toni accorati il fallimento dell’impresa, ma nel contempo ne celebra il valore esaltando l’eroismo di Garibaldi e dei suoi volontari pubblicando dati sulle effettive perdite dei vari schieramenti che ridimensionano sensibilmente la portata della sconfitta subita. La confutazione dei dati fatta dai portavoce di area cattolica non sortì gli effetti sperati perché essi furono confermati in pieno. Alceste ne dà conto pubblicando la smentita fatta da Augusto Elia.Tuttavia la questione del valore militare e legale da attribuire alla spedizione restò aperta anche per l’ambiguità e la complicità dello stato italiano timoroso di una deriva incontrollabile ad opera dei volontari e sostanzialmente succube della Chiesa.
Spostandoci ai nostri giorni e constatando come l’annoso problema della laicità dello Stato sia ancora irrisolto, non ci resta  che riconoscere a questo memoriale dell’Ottocento il pregio di una grande attualità.
Data recensione: 01/10/2008
Testata Giornalistica: Camicia Rossa
Autore: ––