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Impossibile oggi immaginare un quotidiano con cinque direttori, ciascuno in rappresentanza dei principali partiti. Eppure un miracoloso precedente c’è stato: quello della «Nazione del Popolo» di Firenze, organo

La «Nazione del Popolo» di Firenze, dal 1944 al 1946, rappresentò la voce libera della città, insorta prima dell’arrivo degli Alleati. Ebbe un quintetto di direttori, tra cui Vittore Branca e Carlo Levi.Impossibile oggi immaginare un quotidiano con cinque direttori, ciascuno in rappresentanza dei principali partiti. Eppure un miracoloso precedente c’è stato: quello della «Nazione del Popolo» di Firenze, organo del Comitato toscano di liberazione nazionale (Ctln) dall’11 agosto 1944 al 3 luglio 1946. Nell’agosto ‘45, Carlo Levi – primus inter pares dei cinque direttori – lasciava Firenze alla volta di Roma, pieno di nostalgia per una città in cui «tutti parevano ancora vivere nell’atmosfera vivificante della Resistenza», senza distinzione fra politici e gente comune. Levi aveva lavorato in un giornale povero di mezzi e notizie – con due sole pagine di norma e una diffusione media di 45mila copie – ma «fatto di collaborazione spontanea e immediata, di chiarezza di idee e di comunanza di volontà». Era stato coadiuvato da redattori quali Carlo Cassola, Sergio Lepri, Ettore Bernabei, e da una spalla di prim’ordine: l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli. «Tutto andava a meraviglia e senza difficoltà, come in un ordine naturale» (Levi, L’orologio). Così alla «Nazione del Popolo». Forse un po’ meno idilliache le prospettive di un Paese tutto da ricostruire, mentre cominciavano già a trapelare i primi segni del ritorno a uno Stato centralizzatore, con la nomina a Firenze, fin dall’autunno ’44, del contestatissimo prefetto Paternò. Ma nell’estate del ‘45 – con l’Italia faticosamente riunificata e Parri presidente del Consiglio – era legittimo respirare un’aura di speranza. Tanto più in una Firenze che poteva vantarsi, rispetto alla Roma “attendista”, di essere insorta un anno prima, senza aspettare gli alleati. Dopodiché il Ctln – presieduto dallo storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti – aveva posto le basi per il primo effettivo esperimento di autogoverno in una città italiana. Tra le molteplici iniziative del Comitato, la pubblicazione di un quotidiano portavoce di tutti i partiti, in un’inedita concordia discors. Ecco dunque le ragioni del pentadirettorio alla «Nazione del Popolo», con Carlo Levi per il PdA; Vittore Branca per la Dc; Bruno Sanguinetti (poi Luigi Sacconi) per il Pci; Alberto Albertoni per il Psi e Vittorio Santolli per il Pli. A testimoniare il fervore creativo di quel biennio, esce ora un’antologia in due volumi del foglio fiorentino, curata dallo storico Pier Luigi Ballini (la cui dotta prefazione è dedicata soprattutto alle complesse vicende del Ctln e al fiorire di case editrici e riviste d’ogni genere, letterarie e politico–economiche, da «Belfagor» di Luigi Russo al «Ponte» di Piero Calamandrei). Fu un’esplosione della “nuova Italia”, della sua futura classe dirigente, la cui ansia progettuale sbocciava dalla lunga e sofferta repressione fascista. Così sulla «Nazione del Popolo» si dibatterono i grandi temi della nuova organizzazione dello Stato (regionalismo) e dell’economia (su cui interviene talvolta Guido Carli), quelli della cultura, della scuola e dell’università, dell’epurazione, dei sistemi elettorali, della politica estera e via dicendo. Con una partecipazione di firme, giovani o affermate, che diedero al giornale un respiro nazionale: i già ricordati Levi, Branca, Calamandrei, Cassola; e poi, Montale, Saba, Romano Bilenchi (caporedattore dall’autunno ‘45), Pietro Pancrazi, Attilio Piccioni, Manlio Cancogni, Eugenio Garin, Francesco Calasso (padre dell’adelphiano Roberto), Manlio Brosio, Paolo Barile, Giorgio Spini, don Sturzo, il laburista inglese Harold Laski, un imberbe Giovanni Sartori, eccetera. Difficle, fra tanto ben di Dio, isolare qualche articolo. Da menzionare per lo meno un contributo di Calamandrei (Prepararsi alla Costituente), uno di Barile sul problema delle autonomie (Stato, regione, provincia e comune), uno di Piccioni – di lì a poco segretario della Dc – sull’importanza di ridare speranze all’afflitto medio ceto (come lo chiama), le inchieste sulla Toscana, opera soprattutto di Cassola (Massa e La Spezia), Giovanni Pieraccini (Lucca e Versilia) e Cancogni (S.Anna di Stazzema). Sarà proprio Cancogni, in un suo vivace libro di ricordi (Gli scervellati, Diabasis, 2003), a dare un’idea della goliardica vita di redazione: «I direttori si riunivano verso sera in una sala semibuia, intorno a un tavolo, alla luce, spesso, di una candela: per ascoltarlo noi redattori, con Bilenchi caporedattore, si sedeva intorno, nella penombra. Venivano anche ospiti illustri, Saba, Loria, Montale. In quell’occasione il poeta di Ossi di Seppia rivelò la sua vocazione, non solo orale, per l’umorismo. I suoi articoli facevano ridere. Era Vittore Branca a leggerli con un’intonazione di voce un po’ nasale molto adatta».
E il lavoro vero e proprio? Fra le due e le tre del mattino.
Data recensione: 15/02/2009
Testata Giornalistica: Il Sole 24 Ore
Autore: Sandro Gerbi