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Nell’immediato dopoguerra (anni Cinquanta) la crisi finanziaria era forte, la moneta slittava, i disoccupati aumentavano. La Pira, sindaco di Firenze, fece i suoi noti interventi per le fabbriche e salvò ad esempio

Nell’immediato dopoguerra (anni Cinquanta) la crisi finanziaria era forte, la moneta slittava, i disoccupati aumentavano. La Pira, sindaco di Firenze, fece i suoi noti interventi per le fabbriche e salvò ad esempio la Pignone, tirandosi addosso non soltanto la polemica del presidente nazionale degli industriali, Angelo Costa, ma addirittura l’accusa di “statalista” da parte del vecchio fondatore del Partito Popolare Luigi Sturzo da poco rientrato in Italia: Sturzo gli scrisse una sostanziosa lettera, La Pira rispose, seguì un grosso dibattito che agitò il pensiero economico del paese allora guidato da De Gasperi e in cerca di soluzioni.Quelle lettere di Sturzo e La Pira e quel dibattito con tutti i documenti, la studiosa e ricercatrice fiorentina Letizia Pagliai ricostruisce in un libro di grande interesse proprio per la crisi economica attuale. Il libro è intitolato Per il bene comune: poteri pubblici ed economia nel pensiero di Giorgio La Pira e appare nella collana della Fondazione La Pira – i libri della Badia, edizioni Polistampa (Firenze febbraio 2009), e viene presentato in una chiarissima e bella introduzione dall’ordinario di storia del pensiero economico Piero Roggi, il quale ricostruisce i passaggi di quel dibattito e ne ricorda le conclusioni utili a conoscere oggi.Il 9 agosto 2007 infatti – egli ricorda – la Bce da Francoforte inondò il mercato con un finanziamento di 94,8 miliardi di euro. Era l’inizio della crisi finanziaria. A “New York le richieste di consegna dei depositi si fanno pressanti, le banche stanno soffocando, interviene il Tesoro e, di fatto, ne nazionalizza alcune. Le borse rovinano come quella di Wall Street. Lo sbigottimento si diffonde. Fare storia oggi – commenta Roggi – significa ripensare alla crisi delle crisi, a quella del Ventinove”, e “ricompaiono vecchie polemiche: Einaudi, De Gasperi, Pella da una parte, i dossettiani, Fanfani, La Pira dall’altra”. Ed ecco spiccare sullo sfondo lo scontro fra Sturzo e La Pira, il grande cattolico liberale in economia e l’interventista di ispirazione keynesiana che voleva estirpare la disoccupazione con grande rapidità.Così si leggono nel libro le lettere di Sturzo e La Pira riportate da Letizia Pagliai, ad esempio quella, analoga a un altra, che La Pira scrisse al conte De Micheli, presidente degli industriali fiorentini (e che io stesso ho riportato nei miei libri). Scriveva La Pira a Sturzo (dandogli del lei, mentre Sturzo usava il tu): “Rev. Don Sturzo, bisognerebbe che lei facesse l’esperienza – quella vera, che tocca fare al sindaco di una città di 400 mila abitanti avente la seguente ‛cartella clinica’”. Ed enumerava i disoccupati, i senza tetto, la chiusura delle altre fabbriche coi licenziamenti ulteriori che si profilavano, aggiungendo che “di tutti questi ‛feriti buttati a terra dai ladroni’ può lavarsene le mani il responsabile della famiglia cittadina dicendo ‛scusate non posso interessarmi di voi perché io non sono uno statalista? ‘(...) Sarei un ipocrita, un fariseo, come quello della parabola”.Fa impressione rileggere queste parole di La Pira, che così bene si applicano a situazioni di oggi.Ma Piero Roggi e Letizia Pagliai ripercorrono il dibattito anche sul piano teorico – aggiungendo che a maggior ragione la storia insegna (o dovrebbe). Scrive Roggi: “Il capitalismo liberale non era riuscito a mettere in salvo l’Occidente dalla catastrofe economica, il socialismo si era dimostrato farmaco difettoso per curare il primo. Fanfani non voleva mostrarsi come il demiurgo di un nuovo sistema (...). Si adeguò piuttosto all’esperienza di storico economico e avanzò un’idea suggeritagli dal buon senso: era giunto il momento di trarre dai due massimi sistemi il meglio. L’efficienza da una parte, lo spirito di giustizia dall’altra. Ma non tutti i cattolici furono unanimi nello sciogliere il dilemma Stato/Mercato. L’americano Michael Novak, economista e studioso di scienze sociali, ma anche teologo, “svela agli intossicati cattolici italiani” (bello quell’intossicati) che “la teologia della libertà può eccellentemente sorreggere l’economia della libertà, del libero mercato e della libera impresa. Invece la risposta cristiana consiste piuttosto nella partecipazione dei collaboratori alle sorti dell’azienda indirizzata dai promotori. Se della versione specifica del socialismo proposta dalla Rivoluzione del ‘17 si sarebbe potuto fare a meno benissimo, certamente non era possibile distogliere lo sguardo dallo spirito di giustizia sociale racchiuso nel Cristianesimo”.E così infine Roggi riassume per punti nella sintetica prefazione il percorso che la Pagliai ha documentato. Primo: il pensiero cattolico ha sempre intrecciato relazioni difficili con lo spirito del capitalismo. Secondo: i cattolici si sono spesso divisi riguardo ai rimedi da suggerire in situazioni di crisi. Il ruolo dello Stato è sempre stato un punto del tutto arduo all’interno del suo pensiero economico. Terzo: la polemica tra Sturzo e La Pira testimonia la persistenza di tale incertezza, quasi che la sottile, e per certi versi ambigua distinzione in profondità del “Date a Cesare...” (Mt 22,21) seguiti a tormentare le coscienze dei cattolici in economia (bello anche questo!).Ed esprime la sua conclusione con molto garbo: “Ve ne sarebbe una molto comoda, quasi scontata: la posizione di La Pira, potremmo dire, soprattutto ala luce di quanto sta ora accadendo nell’economia mondiale, appare più persuasiva di quella di Sturzo”. Ci accontentiamo allora di concludere con l’Ecclesiaste che nonc’è nulla di veramente nuovo sotto il sole e che la storia fornisce in ogni caso una pur povera palestra dove è possibile temprare le nostre umane difese, quando la lente dei teorici s’intorbida e quando la barra dei politici non indica più la rotta da seguire.
Data recensione: 04/03/2009
Testata Giornalistica: Europa
Autore: Rodolfo Doni