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Queste Nuove archeologie riprendono le linee di ricerca delle precedenti Archeologie pirandelliane, edite nel 1990. Providenti lavora su affioramenti talvolta minimi come una dedica di Pirandello su un manoscritto o la lettera,

Queste Nuove archeologie riprendono le linee di ricerca delle precedenti Archeologie pirandelliane, edite nel 1990. Providenti lavora su affioramenti talvolta minimi come una dedica di Pirandello su un manoscritto o la lettera, ritrovata dopo più di un secolo, di Jenny Schulz Lander, la fidanzata tedesca di Bonn. Ad offrire spunti di analisi sono ancora 16 lettere a Pietro Mastri, o i rapporti, suggeriti da tracce epistolari, con i due amici ebrei Angelo Fortunato Formiggini e Felice Momigliano. A stimolare la ricerca sul milieu familiare pirandelliano è il ritrovamento, nell’antiquariato librario, dell’orazione funebre dello zio canonico, detta nella cattedrale di Girgenti nel 1863. Infine alcune riflessioni di Norberto Bobbio, in un saggio su senso del mistero e religiosità, guidano l’intuizione di Providenti a ritrovarvi una sorprendente consonanza con la discussa religiosità pirandelliana.
Un filo d’ansia percorre l’unica lettera superstite di Jenny Schulz Lander, datata Bonn, 13. 6. 1891, ritrovata fra le carte di Anna, la sorella di Pirandello. Un’ansia suscitata dallo stato di salute di Luigi, tornato in Sicilia dopo la laurea nell’Università renana, ma anche dal presentimento della fine del rapporto. Pirandello, preso unicamente dal dominio oscuro e noumenico dell’arte, vissuto come una devianza amorosa (p. 11), troncherà anche l’altro legame girgentino con la cugina Lina. E, nell’inverno 1923-24, ormai famoso drammaturgo, durante un viaggio americano, rifiuterà di incontrare Jenny da tempo emigrata negli Stati Uniti, per non scalfire il ricordo della giovanile stagione renana.
I rapporti con Pietro Mastri si intrecciarono attorno alle riviste fiorentine fondate dai fratelli Adolfo e Angelo Orvieto nell’ultimo decennio dell’800: «Vita nuova» e «Il Marzocco». Su «Vita nuova» (5 ott. 1890) Pirandello, ancora studente a Bonn, aveva pubblicato l’articolo Prosa moderna a cui Pietro Mastri, sulla stessa rivista, aveva subito polemicamente replicato. Il tema del contendere era l’annosa questione della lingua. Pirandello deprecava la scarsa naturalezza e spontaneità della lingua degli scrittori e, schierato sulle posizioni antiletterarie di Graziadio Isaia Ascoli, declassava il fiorentino a semplice dialetto suscitando la reazione di Mastri che, manzonianamente, ne rivendicava invece la primogenitura sulla lingua italiana. (p. 21). Fra i due scrittori, malgrado la distanza sul problema della lingua, si stabilì in seguito un rapporto di stima e cordialità, testimoniato dalle sedici lettere inviate a Mastri fra il novembre 1900 e l’aprile 1903. Documento interessante la lettera del 15. 2. 1903 in cui Pirandello dà notizia all’amico del tentato suicidio di Luigi Capuana che, ridotto in miseria dagli usurai, aveva provato a lanciarsi sotto un treno alla stazione di Roma. Un gesto disperato dettato da un rovinoso amore senile per una donna stupidissima e vana di 25 anni. Che commediaccia buffa e atroce e questa vita nostra!, annotava a suo modo Pirandello.
Una dedica dell’autore su un manoscritto del Fu Mattia Pascal mette Providenti sulle tracce del dedicatario, l’uomo politico e commediografo Antonio Campanozzi. L’amicizia con Campanozzi, messinese, di militanza socialista, nasceva per i comuni interessi letterari e teatrali, ma anche per una tal quale attenzione di Pirandello per il nascente socialismo (p. 53). Un legame destinato a incrinarsi perciò con l’adesione di Pirandello al fascismo. La storia personale di Antonino Campanozzi interseca quella drammatica del partito socialista dilaniato dalle scissioni fra massimalisti e riformisti, moltiplicate dagli effetti della rivoluzione russa. Schierato sul fronte riformista di Matteotti, Turati e Treves, dopo l’assassinio di Matteotti, Campanozzi si trovò in prima linea come direttore del foglio «La Giustizia» sul quale si scatenò la violenza censoria del regime. Arrestato nel dicembre 1926 e assegnato al confino ad Orune in Sardegna per attività sovversiva, potrà recuperare la liberta solo due anni dopo. Restituito alla vita di ex uomo, come si definì, sopravvisse esercitando l’attivita di rappresentante di materiale elettrico e riprendendo a coltivare la vena di commediografo, che in occasione della ‘prima’ torinese della commedia Racanaca nel 1918 aveva ricevuto un riconoscimento di Gramsci. Per le opere di un ex confinato politico, la censura fascista ora si cautelava consentendone la pubblicazione, ma vietandone la rappresentazione. Una morte civile. Quella naturale doveva avvenire a Roma, dopo la caduta del fascismo e la liberazione della capitale, il 28 ottobre 1944. Campanozzi sopravvisse a Pirandello del quale aveva seguito i successi e l’assegnazione del Nobel. In quell’occasione gli invio i suoi rallegramenti: “Spero che ti giungeranno graditi, anche perchè ti ricordano i venti anni della nostra fraterna amicizia, che furono quelli della tua migliore creazione” (p. 74).
Dopo l’amico socialista Providenti rivolge la sua attenzione ai due amici ebrei di Pirandello: Angelo Fortunato Formiggini e Felice Momigliano. Formiggini, eccentrico editore modenese di collane di successo come i Classici del ridere pubblicò l’ultima raccolta poetica pirandelliana Fuori di chiave (1912) segnata da elementi umoristici, e la commedia Liolà (1917). A sollecitare la pubblicazione intervenne l’amico Felice Momigliano, piemontese, collega di Pirandello all’Istituto Superiore di Magistero dove insegnava Psicologia, Logica ed Etica. L’opera di Momigliano, mazziniano idealista, era caratterizzata da una singolare osmosi fra giudaismo e cristianesimo (p. 107). Sulla figura dell’amico ebreo, liberale ed antidogmatico, secondo Providenti, Pirandello avrebbe modellato il protagonista della novella Un goj, un ebreo che ha contratto un matrimonio misto con una donna cattolica. I rapporti con Momigliano si interruppero con l’abbandono dell’insegnamento da parte di Pirandello nel ’22. Due anni dopo, devastato dalla tisi, Momigliano si tolse la vita. In quell’occasione il padre francescano Agostino Gemelli sensibilmente commentò: “Ma se […] con il Momigliano morissero tutti i Giudei […] non è vero che al mondo si starebbe meglio?” (p. 115). La stessa fine si impose Formiggini. La personalità dell’editore intrisa di passione civile e di ideali umanitari massonici, nota Providenti, lo poneva irrimediabilmente al bando nell’avverso clima del dopoguerra e del fascismo (p. 120). Nel 1938 per sottrarre, con la sua scomparsa, i componenti ariani della famiglia alle vessazioni delle leggi razziali, Formiggini si lanciò dalla torre della Ghirlandina del duomo di Modena. Achille Starace cosi commentò il gesto: “È morto proprio come un ebreo: si è buttato da una torre per risparmiare un colpo di pistola”. Concorde sollecitudine di un gerarca fascista e di un padre francescano dinanzi alla morte di un uomo.
Una notazione in un tardo saggio di Norberto Bobbio spiega infine per Providenti la religiosità pirandelliana: Cosa sia l’oltre per Pirandello ce lo spiega bene Bobbio quando chiama “religiosità” il senso del mistero […] comune sia all’uomo di fede che all’uomo di ragione, senza che ciò comporti necessariamente una professione di fede per chi si affida alla sola ragione (p. 145).
Questi nuovi “scavi” pirandelliani, dopo il grande Epistolario familiare giovanile, confermano l’importante contributo di Providenti alla conoscenza di Pirandello, non solo sul piano biografico. L’affiorare nel corso della ricerca di personalità, anche minori, della vita culturale e politica italiana del primo trentennio del Novecento, sullo sfondo dei grandi eventi del tempo, aggiunge al libro una particolare suggestione fra vissuto e storia.
Data recensione: 01/03/2009
Testata Giornalistica: Pirandelliana. Rivista internazionale di studi e documenti, a. 3° (2009), p. 119-20
Autore: Luigi Sedita