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“Carissimo Pier Paolo, ho avuto la tua lettera e ti abbraccio subito con tutto il mio affetto. Capisco la tua solitudine e il tuo dolore [.]. Si perdono anche i figli e anche con essi si resta con un amore

FIRENZE aise - “Carissimo Pier Paolo, ho avuto la tua lettera e ti abbraccio subito con tutto il mio affetto. Capisco la tua solitudine e il tuo dolore [.]. Si perdono anche i figli e anche con essi si resta con un amore inappagato. Siccome ho letto e travasato bene il tuo ultimo libro so quanto contasse Ninetto per te e so anche che solo un dio potrebbe fartene trovare un altro altrettanto caro e splendente. Posso solo sperare che succeda proprio questo: che si accenda una sera in modo diverso una faccia del gruppo di Canto Civile, che ti chiami un accento che tu possa riconoscere [.]”. Attacca così una toccante lettera spedita da Ivrea il 26 agosto 1971 e indirizzata dallo scrittore Paolo Volponi (1924-1994) a Pier Paolo Pasolini (1922-1975). È una delle 81 importanti missive inedite raccolte in volume dal professor Daniele Fioretti dell’Università del Winsconsin-Madison e pubblicate oggi da Polistampa col titolo “Scrivo a te come guardandomi allo specchio” (Diaspro Epistolari 12, pp.216, euro 18). Pasolini è afflitto per la fine della lunga relazione con Ninetto Davoli. Scrive nella precedente lettera: “[.] sono quasi pazzo di dolore. Ninetto è finito. Dopo quasi nove anni Ninetto non c’è più. Ho perso il senso della vita. Penso solo a morire o a cose simili. Tutto mi è crollato intorno: Ninetto con la sua ragazza, disposto a tutto, anche a tornare a fare il falegname (senza battere ciglio) pur di stare con lei [.]”. Consolare Pasolini non è facile nemmeno per un confidente come Volponi. Eterosessuale, questi ha tuttavia compreso il dramma dell’amico e cita “Canto Civile”, poesia sugli adolescenti dalle “guancie fresche e tenere” da lui amati. Sono pagine intense di uno scambio epistolare fra due grandi figure della cultura italiana del secolo scorso. Da un lato Paolo Volponi, poeta e narratore romano, autore di capolavori come “Le porte dell’Appennino” (Premio Viareggio 1960) e “La macchina mondiale” (Premio Strega 1965), dall’altro Pier Paolo Pasolini, uno tra i più originali e controversi intellettuali del Novecento. La loro corrispondenza copre un periodo di oltre vent’anni, dal 1954 al 1975, e tocca vari argomenti, dalla sfera privata alla discussione sulla letteratura e sul mondo politico-culturale del tempo. Oltre che mediatore con l’ambiente romano (Bertolucci, Bassani, Moravia, Morante, Gadda) Pasolini è in questi anni una figura centrale per Volponi, che gli comunica i propri stati d’animo e gli sottopone le proprie poesie. Ci troviamo così di fronte a stesure provvisorie di alcuni dei componimenti che formeranno le sue più famose sillogi. Notevole l’influenza di Pasolini anche sulla nascita e sullo sviluppo della narrativa volponiana, a partire da “Memoriale” (1962) fino al dissidio con la pubblicazione di “Corporale” (1974), la cui torrenziale e sperimentalissima prosa invaderà anche il campo epistolare, soprattutto a partire dal 1972.
Emerge una profonda specularità fra le due figure. La vita di Volponi pare un film: comunista, lavora vent’anni in Olivetti anche come capo delle relazioni umane. Nominato Amministratore Delegato, darà subito le proprie dimissioni. Poi la fulminea carriera nella Fondazione Agnelli: da collaboratore esterno a presidente e successiva rottura, tutto in tre anni. Nelle lettere a Pasolini parla di sé, della originale esperienza lavorativa che lo porta lontano da casa, delle soddisfazioni in campo familiare e letterario, ma più ancora delle amarezze e delle difficoltà. Un profondo dialogo che solo la morte di Pasolini potrà interrompere. (a.p.aise)
Data recensione: 20/01/2009
Testata Giornalistica: Aise
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