chiudi

Giovanni Spadolini si vantava spesso dei suoi primati anagrafici: primo in questo, primo in quello. Era una vanteria non infondata, ma che, lungi dal dare fastidio, accresceva la simpatia per lui. Vi si coglieva, fra l’altro,

Il suo «Corriere» difese le istituzioni e aprì ai cambiamenti della societàGiovanni Spadolini si vantava spesso dei suoi primati anagrafici: primo in questo, primo in quello. Era una vanteria non infondata, ma che, lungi dal dare fastidio, accresceva la simpatia per lui. Vi si coglieva, fra l’altro, la trasparenza, in fondo gioiosa e candida, di uno spirito dalla contagiosa vitalità ed esuberanza nella sua vita intellettuale e sociale. Il che non ne faceva, peraltro, e per nulla, un ingenuo Candide nel mondo delle meraviglie. Al contrario. Accanto a una grande carica ideale e culturale, etica e politica, e accanto a sofferenze, tristezze, travagli, pene e, ahimè, debolezze che non mancano mai in nessuno, l’uomo aveva la sua peau de serpent, il suo realismo, le sue tenacie, e anche certe flessibilità e sotterfugi. Né, senza di ciò, se ne spiegherebbe il grande e precoce successo accademico, giornalistico, politico.
Tra i primati di cui si vantava, quello della direzione del Corriere della Sera a soli 43 anni era per lui uno dei più cari. E, per la verità, ne aveva tutte le ragioni, e non solo sul piano dell’anagrafe. La direzione del Corriere fu, infatti, tenuta da lui in un periodo di grandi difficoltà sia del Paese (erano gli anni della contestazione) sia del giornale, messo alla prova da una vicenda di una gravità fuori del comune su ogni piano, da quello culturale e politico a quello sociale in tutti i suoi più vari aspetti. Il Corriere è da oltre un secolo, come tutti sanno e riconoscono, un grande polo di orientamento dell’opinione pubblica italiana, ed è una testimonianza autorevole di quel che pensa e di quel che è l’Italia agli occhi degli stranieri. Spadolini lo diresse con grande equilibrio e senza faziosità,ma anche con una chiarezza di indirizzo non comune, nel segno di valori come la libertà, il progresso civile, il rinnovamento materiale e morale del Paese e della sua vita politica e civile, il ruolo della cultura umanistica (per la quale erano tutte le sue propensioni) e della cultura scientifica. Questo egli portò a incremento di un’idea alta del ruolo indipendente e strategico della libera informazione (innanzitutto giornalistica) in un grande Paese moderno, ma, insieme, della responsabilità (e del connesso senso della misura e della discrezione che ogni responsabilità esige, e che non si può varcare se non per ragioni davvero superiori).
Il successo non poteva non arridergli, e se ne ebbe la piena riprova quando nel 1972 Ugo La Malfa lo invitò a candidarsi al Senato, nella Milano del Corriere, per il Partito repubblicano (il più consono alle sue convinzioni liberal-democratiche e riformistiche, di forte ascendenza risorgimentale), e le urne gli furono favorevoli al di là di ogni speranza o previsione; e favorevoli gli rimasero finché fu nominato, nel 1991, senatore a vita.
Al Corriere Spadolini fu di quei direttori che mantengono un’intensa presenza pubblicistica. Lo attestano quasi 500 fra note e articoli, in cui si ritrova appieno il filo della vita e delle vicende italiane nel quadriennio, 1968-1972, della sua direzione. Più che lodevole e opportuna è, perciò, la pubblicazione, negli Scritti giornalistici di Spadolini, del volume V, dedicato al Corriere della Sera. 1968-1972 (a cura di Paolo Bagnoli, con prefazione di Piergaetano Marchetti, presidente di Rcs MediaGroup e introduzione di Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini- Nuova Antologia, Edizioni Polistampa e Fondazione Spadolini Nuova Antologia, 2 tomi per 722 pagine, e 60). E, peraltro, come nota Bagnoli, «per una cognizione precisa» della direzione di Spadolini vi è ancora da ricordare l’inchiesta Italia Settanta, che egli promosse e curò tra il 1970 e il 1971, quando si avviò l’esperienza regionalistica in Italia, nonché due interviste, non firmate, l’una a Nenni e l’altra a Moro.
Per i temi sviluppati da Spadolini in quegli anni, per lo più politica interna, non c’è che da leggere la prefazione di Marchetti e l’introduzione di Ceccuti, in cui essi sono indicati in modo succinto, ma chiaro e compiuto, a partire dall’intransigente difesa delle istituzioni rappresentative dinanzi alle forti spinte antiparlamentari e movimentistiche dei tanti contestatori di allora. Punto, questo, tanto più da notare in quanto il Corriere di Spadolini, come dice Ceccuti, fu «un giornale davvero aperto», pur nella chiarezza della sua linea politica e dei suoi principi. Lo si vide, fra l’altro, anche con l’introduzione nel giornale della «formula dei dibattiti e delle tavole rotonde, che tanti consensi raccolse» e con il reclutamento di molti nuovi collaboratori accanto ai vecchi, da cui derivò un più alto livello intellettuale in un giornale anche su questo piano di grandi tradizioni.
Sia la diffusione (600.000 copie vendute al giorno), sia la qualità del giornale poterono così mantenersi a uno dei livelli più alti nella lunga storia del Corriere,malgrado gli aumenti di prezzo di allora. Nacque un nuovo tipo di giornale? Ceccuti dice a ragione che di ciò è da trattare in altra sede. Ma già si può dire (credo) che nel Corriere di Spadolini si sperimentò una fase di transizione del giornalismo italiano (e non solo), i cui esiti ancora oggi non si vedono con tutta chiarezza.
Data recensione: 22/01/2009
Testata Giornalistica: Corriere della Sera
Autore: Giuseppe Galasso