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Viene da Parigi una curiosa e intelligente ricerca, coordinata da François Livi, italianista alla Sorbona, sulla nevrosi nella narrativa italiana dal 1865 al 1922. Ne è Autrice Edwige Comoy fusaro e il grosso volume che ne ha ricavato si intitola...

Viene da Parigi una curiosa e intelligente ricerca, coordinata da François Livi, italianista della Sorbona, sulla nevrosi nella narrativa italiana dal 1865 al 1922. Ne è autrice Edwige Comoy Fusaro, e il grosso volume che ne ha ricavato si intitola La nevrosi tra medicina e letteratura, ed è pubblicato nella «Biblioteca di Medicina & Storia» curata da Enrico Ghidetti e Marco Geddes da Filicaia (Edizioni Polistampa, pagine 464, euro 22).
È del 1887 il libro di Paolo Mantegazza, dal titolo emblematico: Il secolo nevrosico, in cui, come scrive Livi, «il superbo Ottocento deve confessare la sua infelicità». Scriveva infatti il Mantegazza: «Il nostro secolo può vantarsi della locomotiva e del telegrafo, può insuperbirsi del telefono e della luce elettrica; ma noi, tastandogli il polso, possiamo domandargli: O superbo secolo XIX, sei tu più felice degli altri? E se il secolo superbo fosse sincero, dovrebbe rispondere: No. Un no senza reticenze e senza dubbiezze». E la sintomatologia dell’infelicità del secolo era data dal crescente numero di suicidi e delle «alienazioni mentali». Strano personaggio, il Mantegazza. Già ordinario di patologia generale all’Università di Pavia, fu eclettico poligrafo, autore, fra l’altro di un manuale per giovanetti intitolato Testa, in polemica risposta al Cuore di De Amicis. In quelle pagine, Mantegazza esponeva una pedagogia basata sul convinto positivismo darwinistico teorizzato da Cesare Lombroso. Nella sua opera Genio e follia, più volte ristampata e rielaborata a partire dal 1864, Lombroso esponeva infatti la teoria organicista del «delinquente nato», appaiando l’artista al delinquente. Nella categoria dei «mattoidi letterari», Lombroso iscriveva fra gli artisti «degenerati e decadenti», e anche i mistici cristiani, da San Paolo a Dostoevskij.
Accanto agli organicisti, pian piano si fecero strada i sostenitori delle teorie psicologiche, e i letterati, in gara con i medici, provocarono una «letterizzazione della medicina», in risposta alla «medicalizzazione della letteratura».
Di fatto, il nevrotico diventa il protagonista della narrativa del periodo considerato, ed Edwige Comoy Fusaro è abilissima nell’esplorare i romanzi di Tarchetti, Tozzi, De Roberto, ma anche di Verga, D’Annunzio, Fogazzaro, Pirandello, sotto l’angolatura della nevrosi a volte colpevolizzante, a volte aristocraticamente esibita, a volte subita come punizione. «La ferita nevrotica», osserva l’autrice, «è dovuta soprattutto al conflitto psicologico che oppone il libero arbitrio alla determinazione genetica», particolarmente nei personaggi femminili anche di Fogazzaro (Daniele Cortis, 1885).
Sullo sfondo, ma con progressiva conquista di campo, vi è, naturalmente, la psicoanalisi di Freud (il vocabolo fu introdotto nel 1896), che in Italia fu inizialmente accolta con riserve e sospetti. Bisogna infatti arrivare fino al 1910, con il saggio di Roberto Greco Assagioli, pubblicato su ‘La Voce’ col titolo «Le idee di Sigmund Freud sulla sessualità», perché la psicoanalisi acquisti cittadinanza anche al di fuori dei circoli medici. L’autrice si addentra con pertinenti citazioni letterarie nelle «nevrosi psicologiche», nelle «nevrosi dissociative» e analizza i rapporti tra nevrosi e responsabilità, assegnando il giusto posto anche a Italo Svevo. Il periodo scelto dalla Comoy arriva fino all’avvento del fascismo, nel 1922. La coscienza di Zeno, che è del 1923, è dunque esclusa dall’analisi e forse richiederà all’autrice una specifica trattazione futura.
Data recensione: 14/05/2008
Testata Giornalistica: Avvenire
Autore: Cesare Cavalleri