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Il Papa dell’“inutile strage”. Nell’agosto 1917 la famosa “nota” alle nazioni belligeranti di Benedetto XV – che fin dal’’inizio del pontificato, a pochi giorni dallo scoppio della Grande guerra, aveva condannato il conflitto

Il Papa dell’“inutile strage”. Nell’agosto 1917 la famosa “nota” alle nazioni belligeranti di Benedetto XV – che fin dal’’inizio del pontificato, a pochi giorni dallo scoppio della Grande guerra, aveva condannato il conflitto invitando i popoli “a entrare nelle vie della pace e a tendersi la mano” – fu il frutto di una consapevolezza diversa rispetto al passato.
Pur rapidamente accantonata da tutti – dai governi dell’Intesa, Francia Gran Bretagna e Italia in testa, che la considerarono favorevole agli imperi centrali (Austria, Ungheria e Germania), squilibrata e parziale – essa rispondeva alla “prima esperienza di tipo totalizzante” mondiale, sottolinea il ricercatore Gabriele Paolini. In realtà, anche se in un modo non esplicito, con Benedetto XV iniziava ad essere messo in discussione il principio della “guerra giusta”. Certo: il Papa, coadiuvato dal segretario di Stato cardinale Gasparri, affrontò la guerra con un impegno assistenziale ininterrotto a favore dei militari prigionieri, spesso feriti e malati (la tbc imperversava) e della popolazione civile vittima dei bombardamenti, del blocco dei rifornimenti, della deportazione in campi di concentramento con obbligo di lavoro forzato. Per cui, se la prima parte del volume ricostruisce cronologicamente gli interventi del Papa per evitare il “suicidio dell’Europa civile”, la seconda documenta l’azione della Santa Sede (per l’opere assistenziali uscirono dalle casse vaticane 82 milioni di lire-oro) anche con l’istituzione di un apposito ufficio per smistare corrispondenze “da e per i prigionieri”, e informa anche della collaborazione con la Svizzera nell’alleviare le condizioni di internati e civili. Intanto da una parte e dall’altra si moltiplicavano le accuse di crudeltà e violazione dei diritti umani (il Belgio neutrale e occupato dai tedeschi ne era il centro) e anche il Papa veniva accusato d’essere “di parte”. In questa situazione, la neutralità della Santa Sede era obbligata; un’imparzialità – nota Paolini – tanto più necessaria quanto più forte e dilacerante era la contrapposizione tra cattolici in armi. Ma rifacendosi ad una nutrita documentazione, sia edita sia soprattutto inedita, lo studioso sottolinea come l’imparzialità della Santa Sede fu effettiva. Nonostante tutti gli Stati in guerra li ritenessero schierati a favore del rispettivo nemico, Benedetto XV e Gasparri “portarono avanti con coraggio, fermezza ed abilità le loro scelte: imparzialità non significò astensione da interventi suscettibili da ricadute politiche; lo stesso impegno umanitario costituiva una prosecuzione logica e integrativa delle iniziative diplomatiche”.
La “nota” dell’agosto 1917 si colloca in questa linea. “Lo stallo prolungato nelle operazioni belliche, l’insoddisfazione crescente dei popoli e in alcuni rilevanti settori politici e perfino governativi dell’Intesa, uniti ai segnali incoraggianti provenienti dagli Imperi centrali, spinsero il Papa ad agire”. Senza risultati immediati. Anzi con decisi rifiuti e parecchio scetticismo, come quello del presidente americano Wilson. Ma la proposta di Benedetto XV, che riprendeva quasi alla lettera i “sette punti” indicati da Gasparri, non era – come pure s’affermò – “una pace bianca, cioè un ritorno allo status quo. La carta dell’Europa ne sarebbe uscita trasformata”. Lo si vide a guerra finita.
Data recensione: 27/12/2008
Testata Giornalistica: L’Avvenire
Autore: Antonio Airò