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Il dizionario “Universale” sanfredianino-italiano e ritorno riporta a pagina uno il lemma “abburracciugagnene”: esortazione popolare all’indirizzo di Marlon Brando impegnato ad imburrare Maria Schneider sul finale di

Dopo il successo fiorentino, il film sulla sala di San FredianoIl dizionario “Universale” sanfredianino-italiano e ritorno riporta a pagina uno il lemma “abburracciugagnene”: esortazione popolare all’indirizzo di Marlon Brando impegnato ad imburrare Maria Schneider sul finale di “Ultimo tango a Parigi”. Non è solo una battuta, è la filosofia del film nel film: anni Ottanta al cinema Universale, rione del Pignone, dove la parte “povera” di san Frediano intasava la sala più che per vedere i film, per fare “casino”, salotto, società, vita di quartiere, passione di popolo. Là dove il cinema lo facevano gli spettatori, partecipando alla proiezione e “dialogando” con lo schermo (“ L’è inutile che tu la baci, bischero, tanto i tedeschi t’ammazzano!”) o fra loro (coro di andata: “Com’è la cassiera?” e coro di ritorno “Zoccola!”)portando nella realtà ciò che Woody Allen aveva realizzato su pellicola con “La rosa purpurea del Cairo”.
Vent’anni dopo l’Universale torna in vita: al cinema, in dvd, e ora anche a giro per l’Italia (è come immaginare una piccola semovente San Frediano che si fa “nomade” in ogni città italiana). E diventa un “caso” culturale e sociologico. Vent’anni di ricordi: in concomitanza con la caduta del Muro di Berlino, cade anche il cinema Universale, schiacciato sotto il peso di un degrado condito di pesante traffico di eroina. E un pezzo di Firenze pianse, inconsolabile: “Non sono più andato al cinema da allora, se non per i film del Benigni” racconta uno degli avventori di allora intervistato dal filmaker fiorentino Federico Micali per “Cinema Universale d’essai”, il documentario che ha creato il caso. Perché c’è chi, come Matteo Poggi, ha trasformato queste lacrime in passione, carta e inchiostro: nel 2003 va alle stampe “Breve storia del cinema Universale” (Edizioni Polistampa) e diviene un piccolo caso editoriale. Micali, apprezzato autore di “Firenze città aperta”, “Nunca Mais” e “99 Amaranto”, ha raccolto quel testimone realizzando il film prodotto da Navicellai (società creata ad hoc): una raccolta di ricordi, emozioni, interviste, situazioni, come la mitica vespa che entrò di soppiatto in sala mettendosi a girare tra le poltrone, le esternazioni della cassiera bersagliata da insulti, o il buttafuori “Romanone” che rincorre due goliardi che facevano suonare un campanaccio.
Lo spirito popolare fiorentino non conosce degrado e, infatti, ecco che il film di Micali riesce a operare un’inaspettata magia: riportare il vecchio Universale (oggi diventato una discoteca alla moda) e il suo pubblico in giro per la provincia fiorentina, sala dopo sala (sempre piene), ovunque venisse proiettato. A cominciare dal 12 novembre al Teatro Verdi, dove è stato presentato come “anteprima non ufficiale” del Festival dei Popoli. Doveva essere l’unica proiezione per un film “di nicchia” e che, si pensava, nessuno avrebbe considerato. E invece boom: una settimana dopo l’altra, dal Puccini (dove si è replicato più volte) al Fulgor, dal Garibaldi di Scarperia al La Perla di Empoli, fino addirittura a Bari dove, senza sottotitoli, sarà stato difficile comprenderer il sanfredianino doc, ma si è comunque aggiudicato il Premio della giuria del Levante Film Festival. Poi è approdato nelle edicole e nelle librerie in dvd: e in due settimane ha già venduto diverse migliaia di copie. La Flog gli ha pure dedicato una serata cine-musicale, “Once upon a time in San Frediano: Universale Party”: un altro successo. Esaurito il discorso fiorentino, tra pochi giorni inizia il tour nazionale: in un paio di mesi saranno toccate le principali città, Torino, Milano, Bolona, Genova, Roma, Napoli. Perché l’anima dell’Universale ha un carattere esplosivo-come la sua gente e, rotti gli argin di San Frediano, sembra un inarrestabile fiume in piena. Il film ha messo in moto un fenomeno di riappropriazione di identità e memoria del quartiere rimasto sopito per due decenni, riportando al cinema gli stessi che frequentavano l’Universale negli anni d’oro. E ricreando quelle stesse atmosfere, commenti, goliardate e “giochi di società” che resero unica quella sala. Spesso, infatti, a vedere il documentario ci sono tornate le stesse persone , per vederlo e vederlo ancora, come accadeva all’Universale, dove i film erano spesso gli stessi e il quartiere si ritrovava come una processione. E quelli che ci sono cresciuiti, da Piero Pelù a Marco Baldini, da Francesco Magnelli a Pieraccioni, da Gorgio Von Straten a Giovanni Gozzini, dalla Banadbardò ad Alessandro Paci, fino anche a Roberto Benigli, hanno partecipato alla realizzazione o si sono accomodati sulle poltrone degli spettatori. Tanto, all’Universale, i due ruoli erano e sono perfettamente interscambiabili.
Data recensione: 30/12/2008
Testata Giornalistica: Corriere Fiorentino
Autore: Edoardo Semmola