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Il libro di Franco Bellato sembra, o forse è davvero, un atto d’amore verso Firenze. Si scorrono le foto che formano il volume, e si coglie via via un percorso di affetti e memorie, a cui l’autore accenna nell’Introduzione

Il libro di Franco Bellato sembra, o forse è davvero, un atto d’amore verso Firenze. Si scorrono le foto che formano il volume, e si coglie via via un percorso di affetti e memorie, a cui l’autore accenna nell’Introduzione. E perlustrando le immagini, introducendo lentamente le visioni nei meandri della memoria, si riscoprono momenti e incanti che le architetture, le atmosfere, le luci hanno saputo in ogni tempo suscitare, e che sono poi quelle che definiscono il profilo e lo spirito della città.
Il libro è introdotto da uno scritto di Antonio Paolucci, che riprende, tra i tanti, alcuni giudizi espressi da scrittori e storici dell’arte su Firenze: necessariamente elogiativi, perché non si può averla conosciuta anche soltanto per pochi giorni in una vita, e non esserne rimasti affascinati, esteticamente coinvolti, ma anche intimamente turbati e commossi per certi particolari soprattutto, per certe luci e scorci di paesaggio, e certi angoli dove ancora si respira la storia e dove nasceva la grande arte dello spirito italiano più alto e geniale.
Lo stesso Bellato, fotografando questi luoghi dell’anima con un’interpretazione affettiva che si è tradotta pure in abilità professionale, ne ha ravvivato con nostalgia il ricordo: “Quando andavo verso San Salvi, specie d’estate, - egli scrive nell’Introduzione - la città era deserta e la sera, insopportabile la calura, si dispiegava in tutta la sua bellezza sospesa. In autunno e in inverno, pochi i turisti, la città sferzata dal vento di tramontana…era come sotto una volta di cristallo sulla quale dominava la cupola brunelleschiana e il fiume scorreva lento e rifletteva il cielo terso”.
È, quella che si rappresenta in queste memorie e in queste immagini, una città di vento, di luce, di calura pesante e di freddi algidi, sempre intensa di ricordi nelle sue vie e nelle sue piazze, dal centro storico alle colline armoniosamente aggraziate come in un abbraccio che distesamente si abbandona alle estenuate lontananze della pianura. Tutto ciò avvertito dall’autore fin dall’infanzia e la prima giovinezza.

Egli fu infatti uno degli ‘angeli di Firenze’, quei giovani che accorsero dopo la tragica alluvione del novembre 1966, per salvare ciò che fosse ancora possibile: i tesori d’arte sommersi dal fango, il grande Crocifisso di Cimabue scrostato dalla furia dell’acqua sudicia di fango e bitume, i preziosi volumi della Biblioteca Nazionale sfigurati dalle onde nerastre e spesso ridotti pressoché in poltiglia; giovani che, con grande sorpresa allora di tutti, si impegnarono per recuperare lo spirito, l’essenza di Firenze, che è la sua storia, la sua cultura, il suo essere città di bellezza e di stupore. E così ha poi, nel tempo, concretizzato il suo amore con questo libro: un atto di dedizione ai monumenti, ai palazzi, alle opere d’arte che in questa città sono conservate, ma anche ai vicoli, ai ponti sull’Arno, alle memorie, alle presenze antiche, di cui permane l’eco ancora testimoniato dalle tante, moltissime opere: quelle, per esempio, di Andrea Del Sarto che si avviava verso San Salvi per completarvi la sua mirabile ‘Ultima Cena’ mentre si avvicinava il barbaro esercito straniero che avrebbe cinto d’assedio la città; oppure quello di Rosai, che aveva un piccolo atelier in via San Leonardo, nei pressi della villa abitata da Ciaikovskij, luoghi che pure l’autore ricorda, insieme a tanti altri.
Un libro di immagini che sarebbe piaciuto anche ad Oriana Fallaci, la scrittrice da poco scomparsa, che amava Firenze di un amore quasi viscerale, o a Carlo Coccioli, scrittore pure fiorentino ed anch’egli scomparso alcuni anni fa, che viveva in Messico, ma che aveva tenuto un appartamento in Sdrucciolo de’ Pitti per andarvi di tanto in tanto a fare un bagno di ‘fiorentinità’; e a Piero Bargellini, l’innamorato di Firenze, e senza dubbio a Vasco Pratolini, a Mario Luzi e a tanti, tanti altri; fino all’estensore di queste modeste righe, che – pur non essendo né fiorentino né toscano – ha lungamente ammirato queste immagini, la loro inquadratura, le abili angolazioni, e ne ha apprezzato la qualità e l’amore con cui sono state riprese, che è poi quello che tutti noi non possiamo non avere per Firenze.
Data recensione: 22/11/2008
Testata Giornalistica: Arte e Arti
Autore: Gian Luigi Zucchini