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Il tempo, i luoghi, la memoria, filtrati nella consapevolezza dell’estrema fragilità umana, sono i nuclei centrali da cui si dipana il “fare poesia” di Enzo Agostino

Il tempo, i luoghi, la memoria, filtrati nella consapevolezza dell’estrema fragilità umana, sono i nuclei centrali da cui si dipana il “fare poesia” di Enzo Agostino.
Su tutto incombente è il senso di “un’ombra quieta / che ci lambisce e in un trascorrere / lento e muto che sarà forse l’ultimo / e che induce alla perdita o alla resa” (Inganni del tempo, pag. 51); è la percezione di un tempo “fermo”, o in bilico tra l’essere e il non esssere più, di un momento perenne quasi fosse fissato in una meridiana o nell’eco di una voce “murata fra gli affreschi del Vignola / e intatti il senso e il suono d’un silenzio /fermato a mezzo d’una meridiana / che segna ora il ruotar d’altri pianeti” (Colazione ai Monti Cimini, pag. 16); è la "dolente consapevolezza" in “quel silenzio” duro che pare avvolgere in una nebbia o in un pulviscolo le cose, le creature viventi, la natura, i paesaggi lontani ed amati (la Versilia, Fiesole, l’Arno, i Monti Cimini…) e il suo profondo Sud, ossia la Magna Grecia, in contrasto con l’umile vita nel "paese di sughero".
È un paesaggio esteriore ben definito che diviene metafora di uno interiore, cui si associa l’idea della vita intesa come viaggio, dove le vicende personaloi, nel panico e nell’ansia di vivere, nel sortilegio e nel sogno, divengono punto di incontro con l’altro in un dialogo serrato, ininterrotto, volto a rintracciare una “partecipazione” al destino di ognuno con un sentimento di “pietas” concilia le illusioni , gli inganni, le sofferenze, in una visione mitica, classica, dove fanno da sfondo paesi “saraceni e magnogreci, lune arabe, arroventate scimitarre”, che riportano ad un’atmosfera decadente ed orientale, mentre si insinuano nelle crepe del tempo e del ricordo “licheni / e nuffe e muschi e sterpi…”, “seccume e rovi” (Dalla casa vuota, pag. 36), “i greti del Sagra / umidi di gelsomini…i palafreni bianchi dei Dioscuri” (La sera si smaglia lenta, pag. 43) e il contadino poeta “Giandò”, cantore d’amore che rammenta Omero, ma anche la ruvida bellezza della sua terra, confinata tra l’Aspromonte e lo Jonio.
Ed è il tempo “inflessibile” che scorre tra “storia e leggenda riportare la memoria di Ulisse, dei miti dai fondali del mare alle prode del Tirreno, dalla Sibilla di Cuma a Palinuro, a Cariddi, all’Aspromonte–Citeriore dove il poeta immagina che Edipo abbia vagato in fuga da Giocasta (Il mare d’Ulisse, pag. 28).
Ma quello del mito è un mare “perso”, è un abisso che diviene “madre, culla e tomba” (Il Mare d’Ulisse, pag. 28)
Ed è in questo percorso un avvicendarsi continuo di luci ed ombre, di passioni ed amori ed inevitabili lontananze, di distacco fortemente drammatico come quello dalla madre, rappresentato, a livello simbolico, dall’abbandono della casa, dall’incuria, dall’assenza.
La morte, avvertita imminente quasi in un presagio nei versi “l’eredità del tempoche rimane / da percorrere prinma di raggiungerti” (Dalla casa vuota, pag. 36), coincide con il tempo “fermo” in una “trama / sottile di fiducia e di speranza” (Anniversario, pag. 33) e il ricordo stesso acquista la consistenza del reale, degli oggetti che hanno dentro di sé la “traccia” delle persone care scomparse e che determinano un punto di contatto, una comunione tra vivi e morti, al di là e al di sopra del tempo tangibile e dello spazio.
Tutti questi elementi della poetica di Enzo Agostino sono inseriti, come tanti tasselli di mosaico, in un linguaggio nuovo, con riferimenti dialettali, fatto di suoni, colori percezioni, sensazioni, che, nel ritmo e nelle tematiche, riportano indubbiamente a Gabriele D’Annunzio, al suo immedesimarsi nella natura, nella metamorfosi in “creatura e spirito silvestre”, dove la parola è essenza, è musica.
Tuttavia mi preme sottolineare una fondamentale differenza tra i due poeti: dalla purezza assoluta della parola di D’Annunzio, che a volte suona artificiale e vuota, si passa in Agostino alla parola “densa di significato”, parola che racchiude – come il seme della vita – la forma e la sostanza, inscindibili l’una dall’altra.
Data recensione: 01/01/2005
Testata Giornalistica: Il Filo Rosso
Autore: Maria Modesti