chiudi

Qualcuno dice: Renzo Bagnoli. E lo associ immediatamente a un altro nome: Sammontana. Non può essere diversamente. Anche se i fratelli erano tre. Accade perché era il primogenito

Qualcuno dice: Renzo Bagnoli. E lo associ immediatamente a un altro nome: Sammontana. Non può essere diversamente. Anche se i fratelli erano tre. Accade perché era il primogenito, ma anche quello che aveva in mano le redini dell’azienda, fin dall’inizio. Eppoi lo abbini alla squadra ciclistica di professionisti, che andò per la maggiore, e alle fortune della squadra di calcio dell’Empoli.  E’ una di quelle figure che - ti accorgi - mancano. Perché sapevano dare, quasi senza apparire, qualcosa di più, anche nei contatti normali.  E’ un lustro che manca, Renzo Bagnoli. Per ricordarlo ci si è messo d’impegno uno scrittore toscano, uno dei più noti e apprezzati, che sa guardare alle tradizioni e ai protagonisti della Toscana con acume. Carlo Lapucci ha scritto “Renzo Bagnoli. Fondatore della Sammontana” (Polistampa, pagg. 232, euro 14).  Lapucci ricostruisce l’itinerario di Bagnoli. Partenza dal nulla. O meglio: dai campi approda a una gelateria nel centro di Empoli. E da lì arriva a un’industria, che attualmente è terza nella graduatoria italiana del settore. Però, con una particolarità non secondaria rispetto alla concorrenza: la conduzione familiare. Nulla ha a che vedere con le multinazionali e la loro logica. Tanto è vero che Bagnoli ottiene un risultato neanche immaginato dagli altri: fa diventare il gelato un bene di uso comune, fino a raggiungere la grande distribuzione e approdare, con la pubblicità, nei media nazionali. Renzo Bagnoli - si fa notare - si è trovato nel secondo dopoguerra a mediare tra due realtà in trasformazione: l’agricoltura e l’industrializzazione, facilitata dal cosiddetto “miracolo italiano”. Sicché dall’azienda agricola prende la materia prima (il latte) e lo trasforma in gelato, avvalendosi della tecnologia più avanzata. Si sostiene anche che il suo successo stia tutto nel contatto col mondo rurale, dov’è vissuto da giovane e ha condiviso i problemi e le tribolazioni con la gente, con quella che lascia i campi e scopre il mondo della fabbrica - rappresentazione di un grande dramma sociale e culturale, che trasforma l’Italia.  Lapucci, col suo linguaggio chiaro, racconta nulla trascurando: dai primi passi fino al grande successo. Il tutto vissuto da Renzo Bagnoli senza mai dimenticare le origini, con una buona dose di umiltà.  Nel panorama letterario toscano, Carlo Lapucci (Vicchio 1940, fiorentino d’adozione), spicca per il suo estro. Abbiamo imparato a conoscerlo, e ad apprezzarlo, quale cultore del folclore toscano, e non solo.  Lapucci muove i primi passi - appena ventenne - nel mondo delle lettere con la poesia. Nicola Lisi gliene pubblica alcune sul prestigioso “L’approdo letterario”. Nel 1965, Mario Luzi gli apre le porte della rivista “Letteratura”.  Non ha difficoltà a passare, dieci anni dopo, alla narrativa con il romanzo “Itinerario a Vega”, seguito da “L’uomo di vetro” e dalla raccolta di racconti “La pianura”.  Del 1982, è la raccolta di poesie “L’erba inutile”. Ma sa anche destreggiarsi nelle parodie, tanto è vero che con “Oibò!” ha un grande successo. Nel 2002, ottiene il Premio Giusti per la satira. Nel 2004, è la volta del teatro, del suo teatro. Lo raccoglie in “Teatro popolare minimo”.  Nel suo carnet troviamo anche il romanzo “Viaggio nell’antimateria” e il recentissimo “Dizionario dei proverbi italiani”, pubblicato da Le Monnier.
Data recensione: 29/03/2008
Testata Giornalistica: Il Tirreno
Autore: Riccardo Cardellicchio