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Isolato nella campagna di San Piero a Sieve è il complesso, chiesa e convento, di Bosco ai Frati dedicato a San Bonaventura, uno dei più antichi della Toscana, ora con i francescani dell’Immacolata. Nel

 Il ritratto di Giovanni dalle Bande NereMUGELLO - Isolato nella campagna di San Piero a Sieve è il complesso, chiesa e convento, di Bosco ai Frati dedicato a San Bonaventura, uno dei più antichi della Toscana, ora con i francescani dell’Immacolata. Nel Quattrocento, Cosimo dè Medici "vi lasciò ampio segno della sua devozione e magnificenza". A cominciare da chi riedificò il complesso: Michelozzo, architetto di fiducia della famiglia.
Dalla penombra di una sala dalle volte a crociera del convento emerge un Golgota anomalo, tre grandi Cristi lignei in Croce (168 circa per 170 circa). Qui è la sezione a cura di Paolucci e Anna Bisceglia "Donatello, Brunelleschi e l’Uomo in Croce" che è l’emozione più forte dell’intera quadruplice mostra (vai ai servizi). Al centro il Crocifisso del 1460 circa, attribuito al vecchio Donatello, ma in catalogo a "intagliatore prossimo al vecchio Donatello" (che morì nel 1466) "e a Desiderio da Settignano". A destra il Crocifisso di un Donatello "molto giovanile", del 1406-1408 circa, dalla basilica di Santa Croce. Di fronte, il Cristo di Filippo Brunelleschi del 1410-1415 circa, da Santa Maria Novella, forse donato dallo stesso artista alla basilica. Secondo un famoso aneddoto del Vasari, rifiutato dalla critica, il Brunelleschi lo avrebbe scolpito come sfida al Crocifisso di Donatello che è anche l’unico che si copre con un perizoma (una tela imbevuta nel gesso o nella colla, che veniva aggiunto).

La galleria
Sul corpo lucido del primo Crocifisso il restauro ha fatto risaltare la policromia antica, i segni brevi e obliqui dei colpi di frusta. La scultura fu scoperta per caso nella cripta, nel 1953, da Alessandro Parronchi, in condizioni disastrose. I guai erano cominciati da lontano, dal 12 giugno 1542, quando sulle braccia si abbatterono due travi del soffitto cadute per quello spaventoso terremoto. Non tutto il Cristo è di legno: in alcune zone, soprattutto del capo, lo stucco arriva a due centimetri di spessore.
Sostenitore dell’autografia di Donatello, Parronchi non convinse tutta la critica. Per Cristina Acidini "tuttavia le forme energiche e tormentate" e "l’espressione di tragico pathos della testa spiovente nell’agonia estrema possono ben giustificare" l’ipotesi. Altri ritengono che un Donatello anziano si sia limitato a dirigere il lavoro. Il "partito più affollato" respinge l’accostamento senza dare nomi. Sullo sfondo rimangono Michelozzo e Desiderio da Settignano che però, "supremo virtuoso dell’intaglio", non avrebbe usato tanto stucco. Due i punti sicuri: il Cristo è collegato al convento "dall’epoca della realizzazione nel Quattrocento"; è stato commissionato dai Medici. Francesco Caglioti suggerisce di esplorare il filone di giovani artisti intagliatori, allievi ed aiuti del vecchio Donatello, vicini a Desiderio. Va anche considerato che il Cristo doveva essere degno dei Medici, di una chiesa che riceverà la pala dell’Angelico, il trittico di Froment, un "San Bernardino" di Sano di Pietro.
Il Cristo di Donatello "con i ritmi sinuosi e falcati" rivela, in particolare nel lungo perizoma che copre un ginocchio, il debito del giovane scultore nei confronti del Ghiberti col quale ha lavorato alla porta Nord del Battistero. Per Laura Cavazzini, il naturalismo è tutto epidermico e interno al mondo tardo gotico. Nel restauro è stato ripristinato il meccanismo che fa muovere alla statua le braccia. Uno stratagemma di grande effetto, molto usato nelle processioni del Venerdì Santo.
Nel Crocefisso del Brunelleschi, Bellosi vede "la più assoluta naturalezza" che "l’abilità inarrivabile del suo intagliatore, sfocia in una compostezza sublime". Non c’è concessione "all’espressività e al dramma, ma il corpo di un uomo, con i tendini, i muscoli, i nervi e tutti gli accidenti della sua carne vera", evidenziati, ma controllati. Un corpo asciutto e longilineo, "completamente libero" dalle stilizzazioni della scultura gotica, dopo aver imparato "dalla statuaria degli antichi la grande lezione della naturalezza, della verità e della maestà dell’uomo". "Cristo crocifisso come un uomo morto per un ideale alto e sacro". Per Bellosi "probabilmente, la prima opera rinascimentale della storia dell’arte". E l’anatomia così vera fa supporre che Brunelleschi abbia usato un "modello vivo".
Il tema della mostra a Scarperia era fissato da cinque secoli. Dal 1530 infatti Scarperia cominciò a farsi conoscere per la produzione di coltellini e fino al Settecento era vastissima la produzione di "ferri taglienti": pugnali, spade, lance, forchette e punteruoli, roncole, cesoie. Nel 1906 c’erano ancora 46 botteghe di "coltellinai e forbiciai" con 300 dipendenti. Oggi quattro ditte e il Museo dei ferri taglienti. Dunque l’ultima sezione è "Medici in armi" a cura di Mario Scalini. Nel trecentesco Palazzo dei Vicari dall’alta torre. La facciata è ricoperta dagli stemmi in pietra e maiolica dei Medici e delle famiglie amiche che furono vicari.
Alla fine del Cinquecento tre sale degli Uffizi ospitavano la "stanza delle meraviglie" delle armi che è stata dispersa, perduta. Un piccolo nucleo è al Bargello. A Scarperia è stato rievocato l’arsenale mediceo con una selezione delle armi e le immagini dei Medici combattenti. Pugnali in acciaio e bronzo dorato e da duello. Spada da "a cavallo". Elmetti con celata alla borgognona della cavalleria tedesca, e per la cavalleria pesante con una strettissima fessura per gli occhi (ma quando arrivava qui il colpo di lancia il cavaliere era spacciato come accadde a Enrico II di Valois nel 1559 in una giostra). Spiedi, ma per infilzare le persone, "ad ali di pipistrello" o "brandistocco" (da guardie da palazzo). Armature.
Il primo ritratto non è di un personaggio fra i più esaltanti: Alessandro, che impose al popolo fiorentino balzelli e violenze. Signore nel 1532, fu ucciso nel 1537. Il ritratto a figura intera in una luminosa armatura, con aspetto ieratico e bastone d’oro del comando, è espressione del "sentimento cortigiano" di Giorgio Vasari. Cosimo I, figlio del celebre Giovanni delle Bande Nere, a 17 anni fu fregiato del titolo. In mostra c’è il più noto ritratto, del Bronzino, con un raffinato corsaletto da guerra inciso. Del corsaletto in acciaio, di un famoso corazzaio di Innnsbuck, Jörg Seusenhofer, sono in mostra le parti superstiti, schiena, due coscali e lama di falda.
Giovanni delle Bande Nere (Giovanni dè Medici) è il più presente in mostra. Un busto in marmo (di 76 centimetri) dal Bargello, opera di Francesco da Sangallo, ultimo discendente della dinastia di scultori e architetti fiorentini. Un’opera dall’"intensità e naturalezza" nella semplice armatura. "Volto severo e accigliato, caratterizzato dal mento sfuggente"; lo "sguardo penetrante racchiude lo spirito determinato ed energico del condottiero". Le "Bande nere" sono le insegne fatte annerire da Giovanni in segno di lutto per la morte nel 1520 di papa Leone X Medici.
Un ritratto a tre quarti, in lucente armatura nera, dipinto da un allievo del Tiziano, Gian Paolo Pace, che riporta "in vita l’aspro vigore e la vivida forza del condottiero". Il ritratto nacque per iniziativa di Pietro Aretino, il famoso poeta, scrittore, polemista, che era al servizio di Giovanni quando nel 1526 morì a Mantova per una ferita ad una gamba nello scontro di Borgoforte contro gli imperiali. Volendo fare dono del ritratto al figlio Cosimo, Pietro Aretino fece prendere la maschera mortuaria a Giulio Romano e chiese il ritratto al Tiziano. Ma il maestro non riuscì a svincolarsi dagli impegni fino a quando l’Aretino ripiegò su Pace, con grande soddisfazione come si espresse in una lettera al pittore: "Avete renduto i colori della vita, tal che egli è non meno simile a sé stesso in la pittura di voi, che si sia conforme a se medesimo ne le rimembranze del cor mio". Come beffa, il ritratto fu esposto agli Uffizi per tutto l’Ottocento col nome di Tiziano.
Un ritratto del fiorentino Giovan Battista Naldini, in armatura e bastone di comando, ma postumo accanto alla moglie Maria Salviati con il velo del lutto che sembra chiudere il volto ad occhi bassi.
Fra gli strumenti di difesa, ecco una anticipazione quattrocentesca dei giubbotti antiproiettile. La schiena di "corazzina" o "brigantina" del 1450-1470 formata da lamelle di acciaio fissate alla canapa, che veniva indossata sotto corsetti o giubboni, non solo in battaglia, ma ogni giorno. I cospiratori della congiura dei Pazzi abbracciarono Giuliano, fratello di Lorenzo, per scoprire se indossasse una "corazzina", prima di accompagnarlo in cattedrale e ucciderlo a colpi di pugnale.
Raro, un "Guanto ’da presa’", formato da anelli e maglia di ferro cucita su tela nuova di lino. Armava la mano sinistra nei duelli e serviva per afferrare la lama dell’avversario. 
Data recensione: 06/06/2008
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Goffredo Silvestri