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Che cosa c’entra il maiale con l’ottava rima? Oppure con l’arte del contado? Col teatro e la poesia in vernacolo fiorentino? L’autore di solito si occupa di questi argomenti ma ci è piaciuto subito il testo che ci veniva

Che cosa c’entra il maiale con l’ottava rima? Oppure con l’arte del contado? Col teatro e la poesia in vernacolo fiorentino? L’autore di solito si occupa di questi argomenti ma ci è piaciuto subito il testo che ci veniva proposto, un libro anomalo che giaceva almeno da una decina d’anni nel cassetto e che va ad arricchire la nostra recente collana dedicata al recupero delle tradizioni toscane. È questo sapore d’antico della campagna toscana, sapore di terra e di prodotti ruspanti che ci ha interessato, di poesia popolare e di storie veriste; una mescolanza di temi che andrebbero proposti uno alla volta tanto vasta è la materia; ma c’è il punto di convergenza che accomuna tale varietà ed è lui, il protagonista, il divo: il maiale appunto. E divo significa divino, come la dea Maia, la più bella delle sette Pleiadi, le figlie del titano Atlante, che amata da Zeus generò Ermes. I romani le consacrarono il mese di maggio, le sacrificavano dei suini che da lei furono detti anche maiali. E del maiale c’è tutto: le razze, la macellazione, i tagli, gli insaccati, le ricette più popolari, da quelle del romano Apicio fino al Pagni di Greve, passando attraverso Franco Sacchetti e Luigi Pulci. Ovviamente la tradizione fiorentina prevale in quasi tutte le pagine, specialmente le variazioni sul tema in poesia, quasi sempre giocosa, su cui si sono cimentati i letterati della “piccola antologia porchesca” che è una delle parti più godibili: Anton Francesco Grazzini, Domenico Somigli, Pirro Giacchi; antologia chiusa da “Canituccia”, lo struggente racconto verista di Matilde Serao. Il lavoro è completato con un altro gioiello della letteratura popolare: la versione integrale de “L’eccellenza et trionfo del porco”, discorso piacevole di Giulio Cesare Croce (il cantastorie bolognese conosciuto soprattutto per “Le sottilissime astuzie di Bertoldo”); un testo pochissimo stampato e quasi mai in edizioni popolari come questa pubblicato nel 1594 a Ferrara. Si tratta di una gustosa e divertente opera, “discorso piacevole” come scrive l’autore nel sottotitolo, in prosa e versi, nella quale si imita con sottile e garbata ironia lo stile pedante e retorico degli eruditi del tempo, con le loro accademie, le disquisizioni ampollose sugli argomenti più strani e desueti. Il cantastorie bolognese utilizza al meglio la tradizione popolare della poesia giocosa e carnascialesca che spazia dai cantàri ai poemi in ottava rima, dalla novella dialettale alle storie dei canterini di piazza. La sua cospicua opera venne divulgata nelle piazze e nei mercati in libretti e fogli volantiche l’autore stampava a sue spese.
Data recensione: 01/03/2008
Testata Giornalistica: Toscana Folk
Autore: ––