chiudi

Quando sul finire del 1815 gran parte delle opere d’arte toscane confiscate durante l’occupazione francese fecero il loro rientro a Firenze, l’avvenimento venne celebrato con grande soddisfazione della cittadinanza. Si

Quando sul finire del 1815 gran parte delle opere d’arte toscane confiscate durante l’occupazione francese fecero il loro rientro a Firenze, l’avvenimento venne celebrato con grande soddisfazione della cittadinanza. Si organizzò per l’occasione una «solenne esposizione» nella Sala delle Adunanze dell’Accademia di Belle Arti che vide uno straordinario afflusso di pubblico. Furono anche stesi componimenti poetici per celebrare quei «simulacri spiranti, imagin vive», che ritornavano in patria. Proprio da questi versi dell’Abate Pietro Bagnoli prende il titolo l’ultimo lavoro di Gabriele Paolini, uno studio attento e appassionante che ricostruisce, sulla scorta di abbondanti testimonianze d’archivio, le vicende internazionali e le trattative diplomatiche che portarono alla restituzione delle opere d’arte toscane saccheggiate da Napoleone.Se è vero che la storia ebbe un esito fausto, il processo di recupero risultò assai più complesso ed irto di difficoltà di quanto ci si possa aspettare e il destino dei nostri capolavori (una novantina tra tavole lavorate in pietre dure e quadri), tra cui spiccavano la statua della Venere dei Medici, importanti dipinti di Raffaello, Tiziano, Parmigianino, Rubens, Van Dyck, per non parlare del prezioso codice virgiliano della Biblioteca Laurenziana, sembrò in più occasioni appeso ad un filo sottile ed incerto.Dopo la caduta di Napoleone, il principe Rospigliosi che prese possesso della Toscana in attesa del ritorno del Granduca Ferdinando III, affidò immediatamente a Giovanni Degli Alessandri, direttore della Galleria e presidente dell’Accademia delle Belle Arti, il compito di raccogliere la documentazione utile per porgere le richieste alla Francia, al fine di recuperare i numerosi capolavori artistici. Il destino di questi era però legato, come si capirà subito, al più ampio contesto internazionale.Le potenze vincitrici di Napoleone, infatti, affrontarono tale questione con una certa prudenza: il «re cristianissimo» rirpistinato in Francia, Luigi XVIII, con i trattati di pace del 1814, sembrava fermamente intenzionato a trattenere in patria il patrimonio artistico frutto della gloria del suo predecessore. Le potenze europee non intendevano contrastare la restaurata dinastia borbonica per non renderne vacillante l’autorità agli occhi dei francesi. Il 25 luglio 1814 venne addirittura organizzata al Louvre, ex Musée Napoleon, una esposizione di artisti italiani del Trecento e del Quattrocento di fronte all’ammirazione dello zar e del re di Prussia. Anche con il Congresso di Vienna le speranz per la Toscana di recuperare il proprio patrimonio furono disattese.Solo dopo la fuga di Napoleone dall’Isola d’Elba e la successiva sconfitta di Waterloo si riaprì un nuovo tavolo di pace e trattative tra la Francia e le potenze vincitrici. In tale circostanza il generale prussiano Blucher rivendicò con forza il diritto sulle centinaia opere d’arte sottratte alla Prussia e reclamate dal suo re, ed agì con una posizion oltranzista fino a giungere alla minaccia delle armi. Sul versante opposto la Russia non voleva infierire eccessivamente sulla Francia, contrappeso utile tra Austria e Gran Bretagna. Anche l’Austria, rappresentata dal cancelliere Metternich e la Gran Bretagna con il Castelreagh agirono, in un primo momento, con prudenza, perseguendo l’obiettivo della sicurezza europea.La situazione rimase in sospeso fino a quando i generali prussiani entrati a Parigi decisero di muoversi in modo autonomo. Il Capo di Stato maggiore Von Ribbentrop, con i suoi soldati, obbligò il direttore del Louvre, Denon, a riconsegnare gli oggetti d’arte prelevati alla Prussia. L’imperatore austriaco ed il Metternich, invece, intavolarono trattative dirette ed amichevoli con Luigi XVIII, fino ad ottenere una parziale restituzione delle opere saccheggiate a Vienna. Quelle del Lombardo-Veneto e degli Stati satelliti dell’Austria, tra cui la Toscana, sembravano destinate ad una inevitabile permanenza francese.Ferdinando III inviò un proprio rappresentante, Thomas Henry Karcher, allo scopo di far valere le ragioni della piccola Toscana, accanto a quelle austriache. Non ricevette, però, inizialmente, l’appoggio del Metternich, che prefeiva attendere tempi migliori per esercitare pressioni sulla Francia e porre sul tavolo la questione del Granducato.Nel mese successivo partiranno alla volta di Parigi per volontà del Governo anche i due esperti d’arte fiorentini Giovanni degli Alessandri e Pietro Benvenuti, l’uno presidente dell’Accademia di Belle Arti nonché senatore e consigliere di Stato, l’altro direttore della Scuola di Pittura della stessa Accademia. Ai due, «muniti di lettere credenziali per Metternich e Castelreagh», era affidata la sorte dei capolavori reclamati dai «voti ardenti» di tutta la popolazione toscana. Di fronte alle enormi difficoltà diplomatiche con i ministri francesi si sperava almeno di ottenere una parte delle opere, quelle saccheggiate prima dell’annessione all’impero francese nel 1808, sacrificando, eventualmente, quelle prelevate nel 1812-13. Se è vero che i rappresentanti di Ferdinando III giunsero a Parigi con tutte le buone intenzioni e svolsero un’opera diplomatica laboriosa e meritoria, è altrettanto innegabile che lo stimolo decisivo ad una svolta nelle trattative, arrivò solo attraverso la presa di posizione significativa dell’Inghilterra.Castelreagh, fino ad allora disinteressato alla restituzione delle opere, fu indotto ad agire in seguito alle spinte del Primo ministro Lord Liverpool, che evidenziava il malcontento generale dell’opinione pubblica inglese di fronte alla volontà francese di trattenere le opere d’arte straniere. Ciò avrebbe, infatti, alimentato il ricordo delle passate glorie napoleoniche. Al contempo si assistette ad un altro avvenimento imprevisto: nel mese di agosto del 1815, infatti, la maggior parte dei delegati belgi riuniti in assemblea aveva votato contro l’ipotesi di una costituzione che sancisse un’unione politica con l’Olanda, sottolineando le differenze religiose e culturali tra i due Stati. I Paesi Bassi erano visti dall’Inghilterra come un alleato fondamentale ed un antemurale efficace per scoraggiare in futuro un eventuale espansionismo francese. Il ministro inglese divenne all’improvviso «il più acceso paladino dei diritti degli Stati che reclamavano i loro capolavori», molti dei quali di origine fiamminga, pensando in questo modo di convincere i delegati del Belgio a ritirare il voto di contrarietà all’unione. Di fronte al diniego di Talleyrand che cercò fino alla fine di legittimarne giuridicamente il possesso francese, l’Inghilterra intervenne con l’esercito al recupero delle opere d’arte dei Paesi Bassi conservate al Louvre. Questo gesto «aprì la breccia decisiva» –  come scrive Paolini –  «da cui passavano e sarebbero passate tutte le altre restituzioni».Finalmente, pochi giorni dopo, i commissari del Granduca, appoggiati dalle autorità austriache e dai soldati anglo-prussiani, riuscirono ad entrare nell’ex Musée Napoleon e ad avviare le operazioni di recupero delle meravigliose opere toscane: tutto questo «sotto gli occhi sdegnati e sbigottiti dei parigini».Le vicende storiche narrate nel libro sono accompagnate da un’appendice sostanziosa e ricca di documenti inediti, composta in special modo dalla fitta corrispondenza tenuta dai protagonisti «toscani» nelle tortuose trattative diplomatiche. Le carte fedelmente riportate dall’autore evidenziano l’impegno dei tecnici granducali inviati a Parigi che – come sottolinea Antonio Paolucci nella brillante Prefazione – «svolsero il loro compito con efficacia ammirevole oltre che con scrupolosa correttezza amministrativa». Sono altresì riportati gli elenchi completi con la descrizione delle opere prelevate dai palazzi fiorentini e dalla biblioteca laurenziana nelle varie fasi dell’occupazione francese. Un’ultima parte della raccolta documentaria è dedicata ai vari componimenti poetici scritti per celebrare il lieto evento, a testimonanza dell’amore profondo per l’arte che accomunava tutti i toscani.
Data recensione: 01/01/2007
Testata Giornalistica: Rassegna storica toscana
Autore: Andrea Becherucci