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Nel suo primo libro di viaggio, “Anche le nuvole chiedono il permesso”, Tito Barbini raccontava l’attraversamento delle Americhe da sud a nord, una sorta di pellegrinaggio solitario in bilico fra i sogni di ieri e la realtà

Nel  suo primo libro di viaggio, “Anche le nuvole chiedono il permesso”, Tito Barbini  raccontava l’attraversamento delle Americhe da sud a nord, una sorta di pellegrinaggio solitario in bilico fra i sogni di ieri e la realtà dell’oggi.  In questo secondo viaggio, che del precedente è l’ideale continuazione, si muove invece verso l’estremo sud, l’Antartide, quel continente disabitato capace di sorprendere, stupire e sedurre gli ancora scarsi viaggiatori che affrontano la difficile traversata del Passaggio di Drake. In questo libro, più ancora che nel precedente, le lunghe giornate luminose dell’estate australe unite ai silenzi, alla solitudine e alla rarefazione assoluta dei paesaggi antartici, offrono all’autore l’occasione di un viaggio interiore, oltre che nei luoghi attraversati. La navigazione verso sud a bordo di un rompighiaccio dell’ex marina sovietica, diventa così un viaggio di ricerca dentro se stesso, in un fitto dialogo con autori e i libri amati.
Tito Barbini guarda indietro al naufragio delle utopie politiche in cui tanto impegno aveva investito: con loro se ne è andata non solo la speranza, ma anche la passione e l’intensità di quegli anni e solo rimangono un pugno di amicizie. Ripensa all’amore che la vita gli ha regalato e tolto, perché “il tempo… conduce, quasi sempre, all’incontro con la felicità nel momento sbagliato”. Riflette sulla religione, che per lui si identifica soprattutto con il senso del sacro: nulla meglio di questi grandiosi paesaggi antartici, apparentemente indifferenti ed estranei all’intervento dell’uomo, per fare vibrare le corde dello spirito e avvicinare all’assoluto, o forse meglio alla profondità del proprio io. Guarda indietro ai sogni del bambino che era, anche a quelli che sogni sono rimasti, perché, scrive, “Sono convinto che il viaggio c’entri qualcosa pure con il rimpianto delle tante vite che non abbiamo vissuto”.
Insomma un viaggio dell’anima, in cui l’autore scava in quella parte di sé che è ancora ‘terra incognita’, come lo è stato l’Antartide fino a poco più di un secolo fa, visto che fu solo il ‘900 a scrivere le grandi pagine dell’avventura verso il polo sud.
La conclusione è però un appassionato atto d’amore per la natura: “Stringi stringi ciò che mi ha sedotto, ciò che mi porto indietro, sono le bianchi visioni di ghiaccio… l’Antartide, lo so, continuerà ad abitarmi dentro”. L’ultima pagina non può allora che essere una promessa. L’Antartide vive oggi il momento più difficile della sua esistenza. Riserve petrolifere, giacimenti di metalli preziosi, riscaldamento globale e, non ultimo, un turismo invadente, possono cambiare in un breve arco di tempo ciò che è rimasto inalterato nei millenni. La promessa è allora quella di diventare testimone attivo perché l’incantesimo del continente bianco non si rompa, di contribuire a salvare questo luogo che è il “più freddo, più lontano, più ostile e inaccessibile alla vita di tutta la terra ma anche il più indifeso, il più disarmato, il più pacifico”.
Data recensione: 01/04/2008
Testata Giornalistica: A come avventura
Autore: Anna Maspero