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Conosco bene l’autrice di questa raccolta poetica dal titolo così accattivante (Per mano), da poco edita dalla Polistampa nella nuova collana “Corymbos”, e so quanta forza nasconda la sua figura minuta e apparentemente

Conosco bene l’autrice di questa raccolta poetica dal titolo così accattivante (Per mano), da poco edita dalla Polistampa nella nuova collana “Corymbos”, e so quanta forza nasconda la sua figura minuta e apparentemente fragile. Esiste in lei una specie di fuoco interiore. Lo stesso che da sempre abita tutte le sue poesie riscaldando il lettore con il fervore della speranza e della fede — cosa sempre più rara nell’odierno panorama poetico — e che, in questa sua recente prova, non senza stupore, ho trovato addirittura rinvigorito. Il nuovo libro di un autore, infatti, offre sempre a chiunque, inclusi gli amici più intimi, l’opportunità di riuscire a cogliere quanto ancora si cela nelle pieghe più recondite della sua personalità, riserbando talvolta al lettore imprevedibili e piacevoli sorprese. Il profilo di questa autrice è sintetizzato da alcune note essenziali alla fine della raccolta, ma la sua poesia è forse più facilmente individuabile con l’aiuto delle parole di Franco Manescalchi, sapienti nel tracciare in quarta di copertina un efficace e nitido ritratto della sua poetica: “Lucia Visconti può essere inserita, per l’evidenza della scrittura, nel novero di chi alla poesia giunge partendo dalla vita. Questo suo lavoro, come gli altri editi e inediti, s’inserisce nel solco di quel cattolicesimo fiorentino per cui il verso e il racconto sono imparentati da una necessità di dire, umile e illuminante, che va oltre la letteratura, rigenerandola con una visione del mondo che dà un senso d’eterno al quotidiano, restituendo dignità di parola anche ai moti più franti dell’anima, o forse partendo proprio da quelli”. Dalla lettura dei brevi ma intensi componimenti di Per mano risulta chiaro che la poesia di Lucia, prima di potersi librare in cieli alti, ha bisogno di attingere a piene mani dalle esperienze che hanno caratterizzato e segnato la sua vita. Le sue prime pubblicazioni sono (ambedue nei tipi della Chirico Editore di Napoli) la raccolta poetica Orme di Signoria, risalente al 2003, e Grazie, Disma, testo in prosa del 2004 nato da un viaggio che fece scattare in lei la voglia di approfondire ulteriormente il mistero del senso della sofferenza e della misericordia divina. Nel 2007 sarà pubblicato dalle Edizioni Cantagalli di Siena un lungo racconto (Con il volto di terra), dotato di una pregevole ed ampia postfazione di Plinio Perilli. Un racconto legato alla terra d’origine di Lucia, il Monte Amiata (accenni a queste radici amiatine si ritrovano anche nelle poesie), a cui non sono mancati ampi e importanti consensi di critica, come del resto sempre è accaduto per ogni suo lavoro. Nel corso degli anni si sono interessati a lei Giorgio Bàrberi Squarotti, Franco Manescalchi, Plinio Perilli, Carmelo Mezzasalma, Mario Sodi, Alberta Bigagli, Mariella Bettarini, Antonio Spagnuolo, Letizia Lanza, Vittorio Messori, Giulio Panzani, Giuliano Ladolfi, Vittoriano Esposito, Pasquale Defelice, Pietro Pancamo. Non si pensi che, tra un’opera e l’altra, questa dolce signora si sia riposata. Per Lucia la scrittura è una necessità, anzi una missione, come lei stessa la definisce, e non si risparmia. Insegnante elementare per vocazione, per lungo tempo ha curato numerosi laboratori linguistici nella sua scuola senza mai dimenticare di arricchirli con la poesia, proponendola e facendola scoprire ai piccoli. Quando non si è più potuta dedicare a questi progetti personalmente, ha continuato a farlo in maniera indiretta, mettendo generosamente a disposizione dell’amato mondo scolastico la sua vasta esperienza. Inoltre sono fluite dalle sue mani recensioni, note critiche, collaborazioni, andate ad arricchire riviste e siti internet di ottimo livello ed altri progetti di scrittura sono nel cassetto. Se a tutto ciò si aggiunge che è madre di cinque figli e deve quotidianamente conciliare le sue attività con l’onerosa famiglia, il quadro di questa autrice comincia a diventare davvero interessante e non si fatica a immaginare quanto sia stata forte la spinta che l’ha avvicinata alla scrittura e che tuttora continua a premere. Molti dei suoi testi, sia in prosa che in poesia, hanno collezionato una teoria di premi in vari concorsi e suoi lavori sono stati inseriti in numerose antologie. Questo piccolo volume, Per mano, è in gran parte composto da poesie lungamente covate, spietatamente tagliate, limate finché non si sono ridotte alla pura essenza del loro significato. Una volta arrivate alla versione ritenuta definitiva, sembra quasi assumano l’aspetto di frecce. Frecce infuocate e saettanti che in un attimo colpiscono e bruciano. Fortunatamente non uccidono, però scuotono con forza il lettore annunciandogli la sconvolgente Verità da cui l’autrice è animata. Ogni suo verso, infatti, aderisce totalmente a quel messaggio cristiano che, nonostante sia vecchio di duemila anni, rispetto alle egocentriche tendenze della società odierna, appare rivoluzionario, perfino folle tanto è distante dalla comune mentalità. E Lucia è così “imbevuta” del mistero di Dio da non poter fare a meno di comunicarlo ed estenderlo agli altri. Come si legge nella bella introduzione di Carmelo Mezzasalma, si tratta di una scrittura “[...] mistica e poetica al contempo”. Un messaggio straordinariamente semplice, ma tanto difficile da accogliere, perché si cala nella realtà attuale e si nutre di sentimenti e di drammi umani comuni a tutti noi mortali. Superare le nostre miserie è sempre un’impresa ardua. L’animo di Lucia, invece, non si dà mai per vinto. Il linguaggio si adegua alla passione che è in lei e, poesia dopo poesia, continua a plasmarsi a questa sua Verità; si fa denso, ricco di riferimenti e allusioni pur nella estrema sintesi della forma, colto e semplice, potente ed intriso di sentimenti autentici in cui chiunque si riconosce facilmente, proprio perché succhiano linfa dalla vita usuale. Soprattutto è un linguaggio teso a trovare le formule giuste per essere consegnato ad altri. La poesia di questa autrice nasce dall’inesauribile e costante desiderio di rendere accessibile al lettore la bellezza della sua fede. Impresa veramente difficoltosa. Alla misteriosa Poesia (misteriosa perché indefinibile, ma non per questo non riconoscibile) viene affidato il compito di esprimere ciò che, per la sua complessità, risulta impossibile esprimere in altro modo. Stranamente, spesso, la Musa assolve a questa sua immensa funzione riuscendo ad occupare spazi incredibilmente esigui. Una Musa ben nota a Lucia, colpita piuttosto frequentemente da quelle che generalmente vengono definite “folgoranti intuizioni poetiche” (in realtà frutto di lunghi e tormentosi periodi di interna macerazione) in cui il suo pensiero e il suo cuore riescono a manifestarsi completamente con poche, e del resto le uniche possibili, parole necessarie. C’è un bellissimo distico tra le sue poesie, mirabile per intensità e armonia: “Eco rossa ~ Sirena — spada trafigge la notte./ Padrona dei miei sogni, l’eco rossa”. Sono due soli musicalissimi endecasillabi, ma, leggendoli o ascoltandoli, quante porte aprono. Tra i lavori di Lucia, con identico titolo e nato da identica fonte d’ispirazione, esiste anche un lungo racconto, inedito per ora. Un’opera pregevole sulla quale Bàrberi Squarotti, interpellato per un’opinione, nell’arco di pochissimi giorni, si è espresso con accenti estremamente lusinghieri. Eppure questo distico, in due soli versi, riesce a concentrare il significato e l’emozione dell’intera storia. Un’uguale capacità sintetica e la stessa potenza espressiva si trovavano già nella precedente raccolta poetica Orme di Signoria, che Mario Sodi, cogliendo il mistico profumo di quei testi, nella sua introduzione aveva avvicinato al Cantico dei Cantici. Sono infatti versi pervasi da un particolare afflato amoroso, un insieme di voci, echi, ritmi e musiche ancestrali e l’accostamento non è certo azzardato. Tuttavia, rispetto al suo esordio, già di notevole livello formale e stilistico, i versi di Lucia si sono ancor più affinati, allineati su un invisibile filo guida che rende questo ultimo libro più compatto, meno dispersivo, più vicino alla meta a cui aspira. “Con urlo muto/ Ti chiamo./ Il cuore scoppia [...]”, recitava una poesia (Passione) di questa prima raccolta. L’urlo muto ora si è tradotto in parola. In Per mano il tema del mistero della sofferenza ancora abita le pagine, ma, affiancata, sembra ci sia anche la forza per superarlo. In momenti di estatico abbandono ci viene perfino additata la strada da seguire. Nell’unica maniera possibile per l’autrice: affidandosi alla mano del Cristo, lasciandosi guidare anche là dove mai vorremmo andare. “[...] dobbiamo osare [...]” — sottolinea nella prefazione Carmelo Mezzasalma — “ecco il messaggio profondo della poesia di Lucia Visconti”. Un titolo forte dunque questo Per mano che, se compreso in tutto il suo significato, mette quasi paura per la totalità dell’adesione che richiede. Tuttavia suona anche dolcissimo. Richiama alla mente l’immagine di un bambino che, per attraversare la strada, prende “per mano” la mano familiare o amica con totale fiducia, mentre le macchine sfrecciano dietro e davanti a lui. All’inizio del libro, prima della presentazione dell’autrice, appare una brevissima poesia, densa di significato, ma non di immediata comprensione. Afferrarla appieno fornisce però la chiave per accedere a tutte le altre: “Go’el ~ Mio Go’el,/ in me/ docta ignorantia/ — assenzio/ d’athanasía. —”. “Go’el” (il “Riscattatore”, colui che prefigura Cristo) è dall’ebraico. “Assenzio d’athanasía”, ovvero “profumo d’intimità”: la traduzione è ripresa da La Bibbia di Gerusalemme e non è riconducibile all’accezione di immortalità come un’affrettata traduzione dal greco della parola “athanasía” potrebbe far pensare. E la “docta ignorantia”? Seguendo le parole dell’autrice “[...] è il principio socratico, ribadito da Cusano, secondo cui l’esperienza rende coscienti del limite del pensiero soprattutto di fronte al dolore, ma proprio per questo spinge alla ricerca del senso della vita, della morte. L’alito di vita seminato nell’umanità cerca una risposta”. Una conferma a quanto sopra accennato la ritroviamo nella lettera enciclica Spe salvi di Benedetto XVI. Anche S. Agostino, riprendendo il principio socratico, dibattendosi tra i tormenti del sapere e del non sapere, insiste su questa “docta ignorantia”. Non sappiamo che cosa vorremmo veramente; non conosciamo questa “vera vita”; e tuttavia sappiamo che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti. È la situazione essenziale dell’uomo, quella da cui provengono tutte le sue contraddizioni e le sue speranze. Questa “cosa” ignota è la vera “speranza” che ci spinge anche se non conosciamo quel punto verso il quale ci sentiamo spinti. Al contempo, il fatto di essere ignota è causa di disperazione. Tutti i nostri slanci, positivi o distruttivi, sono tesi verso l’autenticità. Cioè verso cosa? La vita eterna? Una parola insufficiente. Ci suggerisce immagini contrastanti di vita e di eterno, quasi un ossimoro; la parola “eterno” all’uomo ha sempre fatto paura. Per aspirare a comprendere un po’ di più questo concetto sarebbe meglio, si legge nell’enciclica, “cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire [...] l’eternità [...] come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo — il prima e il dopo — non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia”. Credo che il messaggio di Lucia voglia soprattutto comunicare questo: la speranza, la certezza di una gioia futura; futura, ma già presente nei suoi versi.
Data recensione: 24/01/2008
Testata Giornalistica: L(’)abile traccia
Autore: Annalisa Macchia