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Una famosa massima Zen ammonisce: nell’istante in cui parli di una cosa, essa ti sfugge. Non esiste, a mio parere, sentenza più appropriata per indicare come, almeno in alcuni frangenti, soffermarsi criticamente su un

Una famosa massima Zen ammonisce: nell’istante in cui parli di una cosa, essa ti sfugge. Non esiste, a mio parere, sentenza più appropriata per indicare come, almeno in alcuni frangenti, soffermarsi criticamente su un testo si traduca nel mancarne l’essenza. Uno di questi casi è certamente quello del racconto breve. Esso trae molta della sua forza proprio dalla immediatezza e dalla freschezza; ingabbiarlo in schemi ermeneutici, o peggio ancora sviscerarne i meccanisimi narrativi e i tratti psicologici dei protagonisti, significherebbe renderlo poco fruibile e piacevole, sterilizzarlo. Farci sfuggire del tutto il godimento della lettura. Soave e invecchiato ricade in pieno nel campo di applicazione del citato insegnamento orientale. Totalizza soltanto 32 pagine; per giunta esse sono arricchite dalle illustrazioni del maestro orafo Paolo Penko, che col suo pregevole lavoro conferisce una dimensione ulteriore al testo - quindi il “conto netto” dello spazio di scrittura, se vogliamo, è ancora minore. Mi guarderei particolarmente bene dunque, per quanto possibile, dal disvelare anche in parte intrecci e personaggi di questo breve racconto. Valga, come dicevamo l’immediatezza, e valgano considerazioni del tutto generali quali quelle per cui il libro - classico “libro di una sera” – appare “confezionato” dall’Autore con eleganza stilistica ed equilibrio, semplicità lessicale (tratto comune anche alle sue produzioni stilisticamente più ardite), nonché con una sicurezza che permette a Michele Brancale non solo di far sorridere ma anche di stuzzicare la nostra fantasia con un accenno di suspense. Sicurezza che ha le sue radici nell’oggettivo, nella chiarezza del messaggio che Brancale vuole trasmetterci: il bisogno degli altri, la necessità - forte - di aprirsi all’esterno, alla concentricità degli affetti e delle amicizie; non a caso il richiamo al sentimento amicale campeggia già in quarta di copertina. Quanto accennato sarebbe da sé sufficiente ad “ingolosire” il lettore, lasciandogli il gusto della scoperta. Tuttavia il mio occhio, attento soprattutto alle poetiche cose, non si è fatto sfuggire il peso di un elemento, all’apparenza solo coloristico: la presenza, nella sezione centrale del racconto, di quattro quartine in endecasillabi sciolti. Ritengo che tale circostanza, lungi dall’essere mero espediente di rottura e variegatura, costituisca in realtà una dichiarazione importante da parte dell’Autore, una firma personale con la quale attestare il ruolo della poesia nella propria concezione del mondo. Incastonata nel racconto, la parola poetica brilla come il più autentico mezzo comunicativo: quello in grado di coinvolgere il cuore della persona e l’essenza delle cose. Capace di saldare le ferite del tempo, realizzando quel desiderio di armonia e ricongiungimento, nei due momenti di incontro, individuale e collettivo, che caratterizzano il finale. Nell’ottica della storia, la poesia si fa fulcro narrativo, ma soprattutto depositaria di ciò che l’Autore tiene particolarmente a suscitare in noi. Di più: presa come atto del disporsi allo scrivere in versi, a prescindere dalla qualità del loro contenuto (vista qui come un “gusto” necessario ma che si può acquisire col tempo), essa viene celebrata nella sua forza orfica, trascinatrice, psicagogica. Quella per cui personaggi ad essa non avvezzi [pag.18] “Poesie ti dico, non sto scherzando. Poesie, quartine in endecasillabi”. Dall’altra parte della cornetta prima silenzio e poi un risolutivo: “Embè”? “Antonio... questa storia... è una bella storia... C’è qualcuno che scrive poesie su...” “...E mi viene a scassare a me!” si mettono, tra umorismi, a comporre il distico che apre pagina 24; concretando così la trovata, l’esca narrativa. La fruizione della poesia, oltretutto, viene alla luce ad opera di gente comune e non da poeti laureati. Ciò senza scivolose tentazioni classiste o di semplificazione del prodotto artistico (che invece, nel Brancale direttamente impegnato in poesia, sottende sempre una raffinata ricerca); ma, all’opposto a sottolineare il carattere quanto più possibile inclusivo (quindi anti-classista) dell’arte, vista anche nella sua componente attiva e interattiva. Un atteggiamento, questo, pacatamente coraggioso, ostico erso ogni forma di concezione chiusa dell’arte e dell’artista da/verso l’esterno. Anche un racconto incentrato sulla brevità e sulla spontaneità dell’espressione può quindi – se bene architettato come questo Soave e invecchiato di Michele Brancale - essere letto a più livelli e ascondere suggestivi spunti di approfondimento.
Data recensione: 23/02/2008
Testata Giornalistica: Soave
Autore: Roberto R. Corsi