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Il cronista allor giovane lo conobbe vent’anni fa o giù di lì. Era il vescovo della chiesa rossa, del tempio di Sant’Agostino dove tutto si faceva e da dove tutto passava . Il centro del potere, reale o immaginario

Tito Barbini, ex politico e uomo nuovo. Un libro, l’Antartide, un rapporto diverso con il mondoIl cronista allor giovane lo conobbe vent’anni fa o giù di lì. Era il vescovo della chiesa rossa, del tempio di Sant’Agostino dove tutto si faceva e da dove tutto passava . Il centro del potere, reale o immaginario. Il vescovo si chiamava Tito Barbini, era già stato sindaco nella sua Cortona e in quel momento faceva il segretario provinciale della falce e del martello, del granitico partito comunista italiano. Barbini pareva scolpito nel marmo dell’ortodossia. Serio, anzi accigliato. Sbrigativo, aria di superiorità. Fu lui, il comunista ortodosso, che assestò la prima spallata al segretario nazionale, Alessandro Natta reduce da una sconfitta elettorale. Da lì in poi accadde di tutto: crollò il Muro, arrivò la Bolognina, la falce e il martello si persero per strada. Lui, Tito, la strada non la perse. Imboccò deciso quella per Firenze dove lo aspettavano cariche e onori: consigliere regionale, assessore per quindici anni, gli mancava il laticlavio e poi sarebbe andato a dama. Per la verità a dama ci voleva comunque andare, ma da sindaco di Arezzo. Ricorderete tutti l’epica battaglia che l’inossidabile ingaggiò per farsi candidare, per diventare sindaco come fosse un atto dovuto al più bravo di tutti, al politico più intelligente, all’amministratore più capace. «Non mi accorgevo – commentò più tardi Tito – di essere caduto nell’autoreferenzialità». Barbini perse la battaglia, poco prima gli era venuto anche un infarto, il politico a tutto tondo si accorse che qualcosa non tornava.«Nasce da qui l’uomo nuovo» dice oggi l’ex politico che firma il suo secondo libro di viaggi («Antartide», edizioni Polistampa), frutto di un paio di mesi al Polo Sud, nel continente estremo «dove tutto è rimasto uguale a se stesso, dove l’uomo non ha potuto fare danni». Una terra incontaminata che si riflette nella purezza di  linguaggio e sentimenti che Barbini sfodera, finalmente liberato dal fardello della delusione politica che ancora oggi permeava il primo libro, quello del viaggio in America Latina. «Le scorie che avevo seminate tutte lì, dopo aver capito che davvero quella mancata candidatura nel 2004 era stata manna dal cielo». Ora Barbini affonda il bisturi nella carne viva: la sua. «Entro dentro i problemi esistenziali miei e di tutti con l’aiuto straordinario di un viaggio in un luogo incognito. L’Antartide spinge a scoprire te stesso, il paesaggio e i silenzi portano a riflettere sulle cose che hanno importanza». Non dunque una fuga, ma un riavvicinarsi alle persone care e un rieleggere l’esperienza personale alla luce di un luogo, fisico e dell’anima, che tutto relativizza e tutto ridimensiona. «Sono andato a cercare anche le radici del mio fare politica, dei miei tanti anni da comunista a cui guardo con infinita nostalgia e non già per l’adesione a un credo che ha fallito. Ma perché era una comunione irripetibile, il senso di appartenenza a un’idea condivisa da milioni di persone. C’era un’etica, una passione onesta, non come oggi dove contano l’arrivismo, la carriera, il tornaconto. Ho visto amici insospettabili cadere in questa trappola, io stesso sono stato vittima di un meccanismo che ora rifiuto anche se il morso della politica non mi abbandona».
Bisogna andare ognuno nella sua Antartide, fa capire Barbini, per ritrovare il senso dell’esistenza. Anche se poi, gratta gratta, l’ombelico del mondo non è Ushuaia ma il luogo dove sei nato. Per Tito è Cortona, «sono alcune figure come don Antonio Mencarini, sono i miei anni dell’oratorio, il rapporto con la religione. Sono i miei cari, il babbo, la mamma, la sorella Gimma chiamarono così perché mio padre aveva combattuto in Etiopia in un posto che aveva quel nome». Sono le figlie «verso le quali provo un enorme senso di colpa per averle lasciate sole dopo la separazione da mia moglie». Dall’Antartide, dove il tempo e luogo sono assenti, torna «un uomo sereno, con tanta voglia di scoprire il mondo, di analizzare la misura interiore che c’è in me». Un uomo pronto a ripartire. E a dare alle stampe un terzo libro: il viaggio nei luoghi dove il comunismo ha fallito.
Data recensione: 24/02/2008
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: Sergio Rossi