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Sembra una fantasiosa turcheria, eppure ancora una volta, almeno in parte, è una storia vera. Rosalba Magini, una costumista fiorentina particolarmente interessata alla Commedia dell’Arte, ha costruito con La Califfa

Sembra una fantasiosa turcheria, eppure ancora una volta, almeno in parte, è una storia vera. Rosalba Magini, una costumista fiorentina particolarmente interessata alla Commedia dell’Arte, ha costruito con La Califfa Veneziana (Polistampa Editore) una vicenda che sembra riecheggiare il celebre capolavoro comico di Rossini, L’Italiana in Algeri, dove una donna rapita dai corsari turchi riesce a rovesciare a suo favore una situazione poco invidiabile; e anche in questo caso la trama dell’opera si ispira ad un episodio realmente avvenuto.
La nostra califfa, la giovane Michela divenuta poi nei fasti dell’harem Sulamina, non è un personaggio drammatico; l’autrice ha definito la su opera una tragicommedia, ma in fondo sembra aver voluto costruire, e con molta abilità, una favola a lieto fine, rispecchiando del resto, almeno si suppone, la realtà storica. Anzitutto, il mestiere di costumista si è felicemente attaccato alla penna della Magini; ambientando la prima parte del suo romanzo nella Venezia del 1782, l’autrice ci presenta in modo estremamente “scenico” il tramonto dorato e un po’ incosciente della Serenissima; e per meglio rendere questa atmosfera sfarzosa e festaiola, ha scelto di rievocare la visita a Venezia dei granduchi ereditari al trono di Russi, giunti nella laguna nel gennaio 1782 per godersi il carnevale. Proprio questo evento mette in moto la vicenda di Michela e della sua serva Franceschina; essendo il padre russo, Michela, simpatica e spigliata giovane della scaltra e avveduta borghesia veneziana (in perfetto stile goldoniano, si trova pure uno zio locandiere, che avrà l’onore di accogliere gli ospiti eccellenti nel suo rinomato albergo) viene così proiettata in una girandola di feste e di intrighi, che le fruttano pure l’amore appassionato e ardente del nobile Filippo Michiel, pronto a donarle non solo il cuore, ma anche l’anello nuziale. E così, partita felice e contenta la coppia granducale di Russia, la protagonista sta per coronare il suo sogno, che però l’autrice, con un abile colpo di scena, trasforma in un incubo. Michela e Franceschina vengono infatti rapite in piena città da un gruppo di spie arabe, e portate nel califfato di Suriman nel remoto Oriente. Però, come dice la protagonista dell’Italiana di Rossini: «Tutti la chiedono, tutti la bramano, da vaga femminea felicità» e le due scaltre veneziane riescono a trasformarsi da schiave in padrone; ma le sorprese non sono finite qui...
Si tratta di un romanzo godibile e ben costruito, con un ritmo piacevolmente teatrale e una protagonista simpatica e astuta; Michela sa servirsi di quell’arma micidiale che è la femminilità con grande abilità e disinvoltura, senza però scadere nell’opportunismo e mantenendosi fedele ai suoi reali sentimenti. Il libro scorre con la piacevolezza di una favola, tanto che è difficile pensare che si tratti di una storia vera: la Magini racconta di essersi imbattuta nella sua protagonista durante una ricerca iconografica per una rappresentazione teatrale. Ha così ripercorso le non molte tracce di questa giovane veneziana rapita in Oriente e diventata califfa, integrando poi, s’intende, la storia con l’invenzione, con risultato positivo.
Data recensione: 03/02/2008
Testata Giornalistica: Il Giornale della Toscana
Autore: Domenico del Nero