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Conoscevamo bene il carteggio di Antonio Pizzuto con il suo più assiduo e costante editore, l’avventuroso Vanni Scheiwiller, e ora, col titolo L’ultima è sempre la migliore, appare quello con Alberto Mondadori, certo il suo

Carteggio Mondadori-PizzutoConoscevamo bene il carteggio di Antonio Pizzuto con il suo più assiduo e costante editore, l’avventuroso Vanni Scheiwiller, e ora, col titolo L’ultima è sempre la migliore, appare quello con Alberto Mondadori, certo il suo editore più generoso e appassionato, cui s’aggiunge lo scambio epistolare con la traduttrice in francese Madeline Santschi e suo marito Pierre Graff, perché negli anni Settanta i libri di Pizzuto vennero pubblicati da Saggiatore tutti con versione francese a fronte e note, pure in francese, in coda, tutte, appunto, della scrittrice svizzera. Rispetto al colloquio con Vanni, improntato da una complice solidarietà che scavalcava di slancio le distanze generazionali, il dialogo con Alberto Mondadori inizia eccitato dall’entità delle percentuali conquistate e dell’anticipo ricevuto – ben dieci milioni del ’67 – che diventarono per lo scrittore inequivocabile misura del valore di “ogni sua pagina” presente e futura; e il tema del compenso resterà comunque al centro della relazione quasi decennale, nonostante alla fin fine si realizzassero soltanto tre smilzi volumi della collana “Scritture”, rispettivamente nel ’69, nel ’73 e nel ’75, perché intanto, mentre Pizzuto a Natale del ’67 gli augurava un prossimo «anno splendente per la tua Casa», precipitava, tra i convulsi marosi della contestazione del Movimento, una drammatica crisi aziendale che nel ’69 condusse alla definitiva separazione dall’azienda paterna e, quindi, a un’affannata ripresa in autonomia. D’altronde nessuno s’era mai illuso - neppure l’autore - che i libri di Pizzuto vendessero abbastanza da ripagare l’anticipo, quel che contava era la gloria imperitura che a tutti ne sarebbe venuta, perché essi - parola di scrittore - «sopravviveranno, e non per qualche tempo, ma permanentemente in avvenire», cosicché per far fronte all’indigenza di un vecchio questore in quiescenza non c’era altra strada che quella degli anticipi, i quali Pizzuto s’ingegna di moltiplicare, ricordando al suo interlocutore che «si riferiscono ognuno a un libro differente, tu me lo insegni», o, in alternativa, chiedendo libertà per trattare con altri. Ora il “mito” di Pizzuto s’è molto appannato, ma proprio perciò è più agevolmente possibile confrontarsi con la sua scrittura e la sua poetica riconoscendone l’indubbia carica di novità e insieme l’intellettualismo. Pizzuto nello stesso momento in cui ostentava fermissima sicurezza sul valore di quanto scriveva, per un verso fino all’ultimo si impegnava a superare se stesso e per l’altro si arrendeva rassegnato all’insoddisfazione dei lettori che, si augurava, preferiranno alla “sostanza forma” delle sue “meditazioni” la leggibilità dello stile epistolare: «Chi vorrà un Pizzuto accessibile avrà poi l’epistolario».  L’idea poi di pubblicare i suoi testi con traduzione francese affiancata nacque forse dalla fascinazione che il vecchio Pizzuto subì dalla Santschi e dal desiderio di coinvolgerla in un’avventura comune, che se non è mai esplicitamente amorosa non è priva di maliziose allusioni: «Lavora dunque a più non posso, butta gli sci, le vesti eleganti, le trine intime ...», chiedendo più attenzione per sé.
Data recensione: 20/01/2008
Testata Giornalistica: Il Sole 24 Ore
Autore: Cesare De Michelis