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Fernando Schiavetti

Fernando Schiavetti

Nato nel 1892, Fernando Schiavetti è un esponente di quella “generazione del 1914” che, nel primo quindicennio del secolo, rappresentò se stessa come il volano di una profonda rigenerazione del paese, finendo poi per appuntare le proprie aspettative di rinnovamento sulla guerra. Ai suoi protagonisti, anche di diversa fede politica, si devono le prime interpretazioni dell’interventismo e della guerra come “rivoluzione generazionale”: la prova, cercata e superata, dell’esistenza di una nuova classe politica cosciente di sé e della propria missione di governo. Come molti repubblicani, nell’immediato dopoguerra anche Schiavetti – che prende la tessera del Partito nel 1910 sedotto dell’“intransigenza morale” di un partito reso per questo “simpatico alla gioventù borghese ‘antiborghese’” – nell’immediato dopoguerra vive una fascinazione per il fascismo. Sebbene diffidente verso Mussolini e l’interventismo rivoluzionario, a causa della loro alleanza contingente con la Monarchia, nel corso del conflitto Schiavetti matura quella visione politica incentrata sull’esaltazione della guerra, l’apologia dei combattenti e la necessità di terminare la “rivoluzione nazionale”, ormai frenata solo dai vecchi e antipatriottici partiti tradizionali, che, trovando voce nel primo fascismo, rende quest’ultimo capace di attrarre i reduci delle trincee. Il ritorno alla vita civile e le posizioni mussoliniane in politica estera, in contrasto con la mai perduta fede nel principio di nazionalità, spingono nuovamente Schiavetti alla militanza repubblicana, che rimarrà tuttavia, anche nella lotta antifascista, segnata dalla guerra, dalla convinzione che le forze politiche tradizionali non abbiano più ragione di esistere, che la vita politica italiana necessiti di movimenti nuovi radicati nell’esperienza bellica.
Nato nel 1892, Fernando Schiavetti è un esponente di quella “generazione del 1914” che, nel primo quindicennio del secolo, rappresentò se stessa come il volano di una profonda rigenerazione del paese, finendo poi per appuntare le proprie aspettative di rinnovamento sulla guerra. Ai suoi protagonisti, anche di diversa fede politica, si devono le prime interpretazioni dell’interventismo e della guerra come “rivoluzione generazionale”: la prova, cercata e superata, dell’esistenza di una nuova classe politica cosciente di sé e della propria missione di governo. Come molti repubblicani, nell’immediato dopoguerra anche Schiavetti – che prende la tessera del Partito nel 1910 sedotto dell’“intransigenza morale” di un partito reso per questo “simpatico alla gioventù borghese ‘antiborghese’” – nell’immediato dopoguerra vive una fascinazione per il fascismo. Sebbene diffidente verso Mussolini e l’interventismo rivoluzionario, a causa della loro alleanza contingente con la Monarchia, nel corso del conflitto Schiavetti matura quella visione politica incentrata sull’esaltazione della guerra, l’apologia dei combattenti e la necessità di terminare la “rivoluzione nazionale”, ormai frenata solo dai vecchi e antipatriottici partiti tradizionali, che, trovando voce nel primo fascismo, rende quest’ultimo capace di attrarre i reduci delle trincee. Il ritorno alla vita civile e le posizioni mussoliniane in politica estera, in contrasto con la mai perduta fede nel principio di nazionalità, spingono nuovamente Schiavetti alla militanza repubblicana, che rimarrà tuttavia, anche nella lotta antifascista, segnata dalla guerra, dalla convinzione che le forze politiche tradizionali non abbiano più ragione di esistere, che la vita politica italiana necessiti di movimenti nuovi radicati nell’esperienza bellica.

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