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Parte da lontano, l’autore, da un paese adagiato sulla riva destra dell’Agri, di cui molti ignorano il nome, un arroccato di case tutte uguali, Migalli, di poche anime, ma di natali illustri, settemila abitanti, discendenti dai Greci e conterranei

Parte da lontano, l’autore, da un paese adagiato sulla riva destra dell’Agri, di cui molti ignorano il nome, un arroccato di case tutte uguali, Migalli, di poche anime, ma di natali illustri, settemila abitanti, discendenti dai Greci e conterranei di un popolo dai crespi capelli, i Mauri, di cui ricalcano usi e tradizioni e con cui divisero aspre battaglie per difendersi dai briganti. Un paese che Brancale rivive attraverso ricordi tramandati da racconti popolari o rivissuti attraverso l’excursus di una storiografia personale, che risale gli anni delle imprese garibaldine, del dominio piemontese, i nuovi padroni che agivano con la logica pseudo liberal-democratica del conte Camillo Benso di Cavour, il Tessitore, che ardiva pensare a un’Italia unita, passando sull’idea libertaria e democratica di coloro che avevano combattuto e dato la vita per questo ideale.
Tenere in conto differenti realtà sociali e antropologiche, significava, secondo l’autore, riconoscere il tessuto sociale di un Sud precario e sconosciuto che non aveva ancora risolto il problema del latifondo, che si ostinava a coltivare terre sterili e avare, da cui non ricavava che il minimo per sopravvivere, impegnato a difendere la vita e le misere cose dai predoni che infestavano il territorio. Una terra priva di ogni cosa, dove civiltà mal si coniugava col tenore di vita obbligatorio in cui ci si doveva confrontare. Povera gente, senza la speranza di quel futuro che l’Unità faceva balenare, nonostante lo stillicidio di uomini chiamati a combattere e per Garibaldi e contro di questi.
Se è vero che gli ideali sono destinati a scontrarsi con la realtà, a Migalli, quest’ultima significò cimiteri, lutti e carcere. Il Risorgimento è lontano dalle terre del Sud, non ha significato per la maggior parte di queste popolazioni la liberazione da un’atavica maledizione che le voleva ostaggio della sottomissione alle dure regole della povertà e dell’abbandono. I Migallesi, tanto vicini all’Africa e tanto lontani da Roma, lasciati orfani del sogno garibaldino non divenuto realtà e del tentativo di Cavour di addivenire a una ricucitura di un Nord e un Sud divisi non solo da differenti sistemi di vita, ma anche dal linguaggio, chiedono invano che Roma si avvicini ad essi. A cosa valgono le ribellioni, la disperazione, se tutto si trascina nella vergogna della disuguaglianza sociale?Giuseppe Brancale, ricorda così la sua terra, sente e racconta i rintocchi del campanile che saluta i vivi ed i morti, vede le sue terre percorse da tutti coloro che, per un verso o per l’altro l’hanno depredata, racconta la migrazione verso lidi più propizi, vede i giovani morire
per un ideale che li ha traditi, e la nostalgia per  quello che doveva essere e non è stato, si fa grido di dolore.

Una vita vissuta in trincea
Giuseppe Brancale nasce l’8 gennaio 1925 a Sant’Arcangelo. A 15 anni si arruola nella Marina Militare, a Napoli, in modo da mantenersi agli studi. Scelta scellerata, l’Italia entra in guerra. Giuseppe si ritrova imbarcato come radiotelegrafista. Al termine della guerra, dopo un periodo di studi a Firenze, torna in Basilicata. Comincia a insegnare nelle scuole elementari.
Nel frattempo pubblica un libro di poesie che considererà più avanti "un errore di gioventù". Si esercita continuamente nella scrittura narrativa. Il riferimento è Carlo Levi. Nel dopoguerra non manca la volontà di migliorare anche se sempre più spesso si prende il treno per emigrare. Sono gli anni dell’occupazione delle terre, dell’esperimento di Rocco Scotellaro a Tricarico,
della costruzione degli ospedali e di alcune grandi opere. Alle lotte sociali partecipa anche Giuseppe Brancale. Gli anni Sessanta sono la camera di gestazione in cui vengono concepiti quasi tutti gli spunti narrativi che porterà a maturazione negli  anni Settanta (compreso il tormentato Rinnegato, cominciato a Firenze nel secondo dopoguerra). In questi anni incontra più volte Carlo Levi. Nel gennaio del ’72 gli sottopone i propri scritti. Nel 1973 di trasferisce a Firenze. Mentre stringe amicizia con lo scrittore Pier Angelo Soldini e il Rinnegato vive una tormentata vicenda editoriale con la casa editrice Palazzi, pubblica con l’editore Pellegrini di Cosenza il romanzo Echi nella valle (1974), per il quale Carlo Levi realizza la copertina. Il libro ottiene il Premio di Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Riesce a condurre in porto un progetto narrativo e a pubblicare un ulteriore romanzo, Lettere a Michele, nel giugno 1977. Si ammala gravemente nel 1978. Mette mano nuovamente a un altro romanzo, Fantasmi che tornano. Muore il 15 maggio del 1979.
Data recensione: 03/01/2008
Testata Giornalistica: La Nuova
Autore: Rosanna Auletta Colella