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A quattrocento anni dalla morte, Maria Maddalena de’ Pazzi (1566- 1607) è protagonista di una piccola ma istruttiva mostra nei locali del Seminario arcivescovile di Firenze, già sede dell’antico monastero di Santa Maria degli

A quattrocento anni dalla morte, Maria Maddalena de’ Pazzi (1566- 1607) è protagonista di una piccola ma istruttiva mostra nei locali del Seminario arcivescovile di Firenze, già sede dell’antico monastero di Santa Maria degli Angeli, che fu testimone della sua silenziosa vita claustrale, segnata da una straordinaria avventura mistica. Qui ancora oggi si trovano le reliquie più importanti della santa: il pozzo, il refettorio, la cella e la cappella dove si sono svolte le sue ripetute estasi, nonché la lapide che indica il luogo della sua sepoltura. Nel primo chiostro del monastero è, inoltre, ancora visibile la sua bella statua marmorea di Antonio Montauti (1726), restaurata in occasione della presente esposizione. La mostra, curata da Piero Pacini e illustrata dal bel catalogo di Mauro Pagliai (Polistampa), presenta un significativo nucleo di opere d’arte rimaste nascoste a lungo nell’ambito conventuale del monastero delle carmelitane di Careggi ed altre poco note, per lo più appartenenti a collezioni private, che illuminano sull’evoluzione della sua rappresentazione, da umile carmelitana a mistica appassionata. Al pittore fiorentino Francesco Curradi, che professò una particolare devozione per Maria Maddalena anche in seguito alle guarigioni miracolose di alcuni parenti, spettano una quantità infinita di testimonianze artistiche, a partire dalla celebre Vita della Santa madre, datata 1610, composta da ottantasette disegni a matita rossa in cui sono fissati i momenti salienti della sua vicenda terrena e dei miracoli post mortem. L’assenza di questi disegni in mostra, per ragioni di conservazione, è compensata da una serie esaustiva di opere di Curradi e della sua bottega, tra cui si segnalano il Paradiso e la tela ottagonale dove Maria Maddalena è ritratta in preghiera con gli occhi rivolti verso l’alto, in occasione della sua beatificazione (1626). Con queste opere inizia il processo di umanizzazione della santa, il cui sguardo non è più austero e severo, come nelle testimonianze più antiche dedicate dal pittore alla santa, ma esprime un senso di adorazione improntato ad una serenità maggiore. La mostra mette in evidenza, inoltre, l’importanza dei Barberini, la famiglia di Papa Urbano VIII, per le celebrazioni di Maria Maddalena. Nel 1637 Donna Costanza Barberini, cognata del Papa, in segno di riconoscenza al monastero che accolse le giovani figlie Camilla e Clarice, inviò alle Carmelitane, trasferitesi nel frattempo nel grande monastero di Borgo Pinti, regali preziosi, tra cui una serie di quadri dedicati alla santa. In mostra sono presenti le due grandi lunette superstiti: Cristo dona alla Beata Maria Maddalena la corona di spine, alla presenza della Madonna e dei santi Angelo carmelitano e Caterina da Siena di Andrea Sacchi e lo Sposalizio mistico della Beata alla presenza dei Santi Agostino e Caterina da Siena di Andrea Camassei. Entrambe le opere sono caratterizzate da un senso di umanità comunicativa, lontane dalle auto flagellazioni e dalle mortificazioni delle prime immagini curradiane. Nel 1669, in occasione della santificazione di Maria Maddalena, fu allestito un teatro sacro nello spazio reale della Cappella Maggiore, ancora più spettacolare di quello della Beatificazione, di cui purtroppo sono sopravvissuti solo i progetti grafici forniti da Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano. A questo punto il visitatore, per completare la conoscenza delle opere dedicate a Maria Maddalena, dovrebbe spostarsi nella chiesa di Borgo Pinti ed ammirare la volta con gli affreschi di Chiavistelli e Gori, la fascia sottostante decorata con dieci tele eseguite da vari pittori, sotto la guida del Volterrano, la straordinaria cappella reliquario di Ciro Ferri (1674-1685) con bassorilievi dell’allievo prediletto Carlo Marcellini, nonché le straordinarie tele della cappella maggiore, affrescata da Pier Dandini, ad opera di Luca Giordano dove la santa è mostrata in tutto il suo ardore mistico.  Una delle opere più interessanti della mostra, che compare anche nella copertina del catalogo, è Sant’Agostino che scrive sul cuore di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. Il bel dipinto spetta, a mio avviso, a Giovanni Camillo Sagrestani di cui costituisce forse la prima opera. La dipendenza dal tardo Simone Pignoni è talmente palese nella Vergine in alto e nel volto di Sant’Agostino, da pensare che Sagrestani l’abbia eseguito quando ancora frequentava la bottega dello stesso Pignoni, verosimilmente negli anni ottantanovanta. Lo stesso soggetto dipinto da Sagrestani nel 1702, conservato nella chiesa di San Frediano al Cestello, mostra l’avvenuta assimilazione della pittura chiara di Alessandro Gheradini, di Sebastiano Ricci e di Luca Giordano che furono i maestri fondamentali per lo sviluppo del suo stile originale e ricco di conseguenze per la pittura locale. L’influenza della pittura francese portò Sagrestani ad adottare una pittura sempre più chiara e leziosa, lontana dalle prime opere ancora legate all’ambiente fiorentino tardo-barocco.
Data recensione: 01/05/2007
Testata Giornalistica: Caffè Michelangiolo
Autore: Francesca Baldassarri