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Bronzo in movimento, la mostra di opere di Sauro Cavallini che l’associazione culturale San Giuseppe ospita nell’omonima chiesa albese, terminerà il 4 novembre. Rimane un fine settimana – da giovedì

Bronzo in movimento, la mostra di opere di Sauro Cavallini che l’associazione culturale San Giuseppe ospita nell’omonima chiesa albese, terminerà il 4 novembre. Rimane un fine settimana – da giovedì a domenica, dalle 16 alle 19 – per visitare la scelta di una ventina di opere in bronzo di uno dei più grandi scultori italiani. Vi sono sue opere in molti Paesi del mondo ed è apprezzato negli Stati Uniti, tanto che in seguito a un invito della fondazione Ford, fu sollecitato a restare a lavorare oltreoceano. La mostra albese, la prima in Piemonte dell’ottantenne artista di origini liguri – da sempre però vive in Toscana; la sua casa-studio è a Fiesole –, è illustrata da pannelli che riportano brani dei suoi scritti, i quali fanno capire abbastanza dell’autore da farne apprezzare la sensibilità. E anche in un dialogo a distanza emerge quella che il critico Andrea Berti chiama la «clarté», una delle doti principali di Cavallini, insieme alla sobrietà. Come nasce il Cavallini scultore? «Da autodidatta».Si legge nella sua biografia che lei in gioventù è stato giornalista. È appassionato di letteratura e compone versi. Nella sua esperienza che rapporto c’è tra l’arte della materia e le lettere? «Tra arte e lettere la differenza è questa: le lettere sono cominciate nell’infanzia, sfociate nel volume Cantici del Mare e della Vita (edizioni Polistampa). Attualmente ho terminato l’autobiografia. E questa passione è stata il desiderio dell’imparare, del sapere; una necessità, direi, spirituale. In quanto all’arte, cioè scultura, dopo le prime avvisaglie è sfociata con prepotenza, strappandomi da ogni altra pratica. Un esercizio dominante e senza indecisioni».
Sauro Cavallini e il "suo" mare.Il bronzo è il materiale che lei predilige. Perché? «Non si tratta di prediligere il bronzo come materia, ma è la struttura del mio lavoro che lo richiede, soprattutto per quanto riguarda i monumenti».Dopo l’alluvione di Firenze, nel 1966, si dedicò al restauro delle sculture nel Museo del Bargello e nella basilica di Santa Croce. Oggi si moltiplicano i restauri di opere antiche, molte volte accompagnati da critiche sulle modalità e sulla coerenza filologica. Qual è il modo giusto per curare l’arte del passato? «In quanto ai restauri effettuati al Bargello e nella basilica in Santa Croce, il mio compito è stato quello di togliere nafta e catrame dalle grandi sculture e da tutti i marmi. Risolvendo anche il segno lasciato dalla penetrazione della nafta nell’intonaco e nei marmi, diventando catrame. Ho estinto questo problema come facevano gli antichi: con etere e pomice. La prima sostanza scioglieva il catrame portandolo all’esterno, la pomice asportava e lucidava. E ciò che era rotto, lo riparavo. Il modo giusto per curare l’arte del passato è il sentimento profondo che occorre avere verso questi antenati-colleghi».E l’Italia è ancora oggi un Paese di grandi artisti? «Certamente, ma lo sapremo solo fra cento anni, quando non vi saranno più sentimenti ostili».
Data recensione: 30/10/2007
Testata Giornalistica: Gazzetta d’Alba
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