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«Da quando mi hai lasciato non faccio che pensarti»; «Sono lieto che tu trattenga la mia fotografia. Pensa però che io non ho la tua, né capacità di dettarne l’identikit»; «Attraverso le righe cerca di arrivare al mio cuore». Queste frasi,

Pizzuto e Mondaori feeling epistolare. Pubblicato l’epistolario tra il fondatore del "saggiatore" e lo scrittore palerimitano. È il quarto volume di lettere dell’autore di "Si riparano bambole" edito dalla Polistampa. «Sono soddisfatto del mio lavoro, se non lo saranno i lettori non è mia la colpa». «Sono sempre più sconcertato dalla lettura delle tue lasse che più rileggo, più mi affascinano». La generosità: «se ti chiedessi un cavallo, mi manderesti cinque squadroni». «Sono giunti or ora i tuoi splendidi, inimmaginabili doni. Mecenate rivive dopo tanti secoli».«Da quando mi hai lasciato non faccio che pensarti»; «Sono lieto che tu trattenga la mia fotografia. Pensa però che io non ho la tua, né capacità di dettarne l’identikit»; «Attraverso le righe cerca di arrivare al mio cuore». Queste frasi, così cariche di pathos, di vera e propria tensione emotiva, hanno tutta l’aria di essere state vergate da mano muliebre e indirizzate a un amante lontano. Niente di tutto questo: si tratta di dichiarazioni scritte da Antonio Pizzuto per il suo editore Alberto Mondadori, oggi ricavabili dal carteggio appena pubblicato dalla casa editrice Polistampa Antonio Pizzuto, Alberto Mondadori, L’ultima è sempre la migliore. Carteggio: 1967-1975. Con le lettere di Antonio Pizzuto a Madeline Santschi e Pierre Graff (1968-1976), a cura di Antonio Pane. Dichiarazioni che danno pienamente la misura del rapporto consustanziale tra i due, dell’investimento potremmo dire passionale dallo scrittore palermitano, riposto di volta in volta nei confronti dei sui interlocutori. A proposito infatti di un mancato recapito di un messaggio di Lucio Piccolo, l’autore di “Ravenna” scriverà: «Aspetto la posta come un fidanzato, ma nulla anche oggi». Per non dire dello stato di ebbrezza e quasi di amorosa assuefazione con cui Pizzuto precipiota ogni qual volta mette mano alla penna per rivolgersi a Gianfranco Contini, grande amico e geniale anche se a volte troppo fazioso chiosatore. Dopo la corrispondenza dunque con Giovanni Nencioni, Gianfranco e Margaret Contini, Carlo Batocchi (sempre per i tipi della casa editrice fiorentina) e con Lucio Piccolo (edizioni Scheiwiller), vede finalmente la luce il carteggio tra Antonio Pizzuto e Alberto Mondadori, inaugurato proprio quarant’anni fa dalla lettera con cui l’autore di “Signorina Rosina” decide di affidare l’intera produzione letteraria al Saggiatore, la casa editrice fondata da Alberto in seguito alla storica frattura con il padre Arnoldo e la Mondadori: «Carissimo Alberto, è appena terminata la nostra conversazione al telefono. Torno alla scrivania, che è la mia vita, con il proposito di serbarmi quanto è possibile meritevole della tua fiducia, che ogni mia pagina, ogni mia parola, ogni sua virgola, sia sempre una pagina da dieci milioni, una virgola da dieci milioni». Il riferimento è alla cifra stabilita come anticipo dei diritti d’autore al momento dell’accordo che segna il passaggio di Pizzuto da Lerici al Saggiatore appunto. a determinare la scelta, sono la crisi finanziaria che a un certo momento colpisce Lerici e l’abbassamento della propria percentuale dal 12 al 5 per cento. Di contro, Alberto Mondadori, noto per la sua generosità a volte debordante, offre a Pizzuto il 20 per cento sulle vendite dei suoi libri: una percentuale folle, fuori dalla grazia di Dio. é del resto lo stesso scrittore palermitano a far cenno, nelle sue missive (davvero numerosissime, se si tiene conto di tutta la produzione epistolare dello scrittore palermitano, il quale, nella prima lettera spedita ad Alberto Mondadori giustifica questa coazione a scrivere: «Non prendermi per un grafomane»), alla magnanimità disarmante, eccessiva del suo editore: alla richiesta infatti di un po’ di buste e cartelline per la corrispondenza, Pizzuto si vede arrivare «cinque autentici metri di carta». E più avanti: «Se ti chiedessi un cavallo, mi manderesti cinque squadroni, due cucchiaini di zucchero, una raffineria». E che dire delle puntualissime strenne natalizie? «Carissimo Alberto, sono giunti or ora i tuoi splendidi, inimmaginabili, doni! Mecenate rivive, dopo tanti secoli!»; «Stasera è giunto – in ottime condizioni – il tuo scrigno colmo di tutte le leccornie che esistono, e con il tuo biglietto augurale». Ma quella di Alberto Mondadori è soprattutto una generosità di ascolto, una sconfinata grandezza d’animo che quasi subito induce Pizzuto a vincere qualsiasi indugio e implorare un suo decisivo inervento: come nel caso del genero, l’avvocato palermitano Michele Friscia, dotato di una «splendida intelligenza, cultura, capacità direttiva», e che però si è dedicato «con alterne fortune» agli affari. Un vero e proprio assillo quello di Pizzuto: sull’argomento tornerà più volte, con sfiancante insistenza. «C’è qui intanto – si legge nella lettera datata 28 febbraio 1968 – per qualche giorno, Nanni: cioè mio genero Michele Friscia, per noi Nanni, argomento di mie premure precedenti». Qualche mese dopo, Pizzuto torna alla carica: «Ti supplico ancora, perdonami, per mio genero, avv. Michele Friscia, via Normanni 13 – 90138 Palermo. Non è un peso morto che io con pochi scrupoli voglia appiopparti». Alberto Mondadori è impegnatissimo: vola da un posto all’altro, prende parte a convegni e riunioni. Eppure, del genero di Pizzuto non si dimentica: fissa un appuntamento per il colloquio. E lo assume come collaboratore per le vendite in Sicilia. Pizzuto è in visibilio: non sa come esprimere la sua gratitudine, ma non solo certo per la questione legata al genero. Alberto Mondadori è un editore premuroso e attento, incoraggia i suoi scrittori, li segue passo passo. Pizzuto, quasi in ogni sua lettera, fa il resoconto della propria attività: specifica il numero della lassa su cui si sta rompendo la testa, chiede di continuo ragguagli in merito ai libri da stampare, informa il suo interlocutore dell’attenzione dei Paesi stranieri (Francia, Germania), nei confronti dei suoi libri. Ne viene fuori una ricognizione dell’officina letteraria di Pizzuto, indefesso variantista, sempre prono sulle sue pagine a limare sino all’esasperazione: del resto, sarà lui stesso a scrivere a Mondadori; «L’ultima (stesura, nrd) è sempre la migliore». Il destinatario delle sue missive, lettore esigente sì, ma suo grande fan, nei messaggi a Pizzuto spiega le proprie ragioni, squaderna perplessità, non risparmia elogi: «Sono sempre più preso e sconcertato dalla lettura delle tue lasse che più rileggo, più mi affascinano». Sa quanto vale il suo autore, sperimentalista sfrenato, avanguardista dissidente. Dal canto suo, Pizzuto non fa mistero circa la refrattarietà dei lettori nei confronti della sua opera: «Sono estremamente soddisfatto del lavoro: non lo saranno i lettori, né mia la colpa. Si tratta non di mie incomunicabilità, ma delle meditazioni che non posso imporre ab extra». Lo scrittore palermitano si autoassolve, giustificando la sempre più cogente complicazione stilistica delle sue ultime opere: c’è una ragione, come dire, filosofica, che sta alla base di una ricerca linguistica ossessiva (“Pagelle I” del resto, come si evince dalla lettera del 29 marzo 1973, sono dedicate a Cosimo Guastella, maestro degli studi filosofici di Pizzuto, e il suo relatore in seduta di laurea). E non si capisce proprio come egli possa un certo punto parlare di «incomparabile immediatezza» e «scioltezza» della scrittura. D’altro canto, l’autore di “Si riparano bambole”, in una lettera del 15 ottobre 1968 inviata sempre a Mondadori, a un certo punto scrive: «Chi vorrà un Pizzuto accessibile avrà poi l’epistolario». Nulla di più vero: sia perché è lo stesso autore a illuminare certe zone d’ombra della sua scrittura, sia perché lo stile epistolare è limpido e brillante. Ci si trova di fronte al miglior Pizzuto, ironico, spesso efficacemente aforistico. Gli apologhi, i motti, i microracconti, addirittura i caroselli pubblicitari (nella fattispecie, quello di Mike Bongiorno che pressappoco recita «che più bianco non si può»), si mescolano nei suoi messaggi, diventando sano nutrimento per una scrittura che conosce una norma autocorrettiva, quasi un limite di espansione, pur scongiurando ogni volta il grado zero, non piegandosi mai alla comunicazione pratica.
Data recensione: 08/09/2007
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Salvatore Ferlita