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L’Istituto storico della Resistenza in Toscana pubblica un volume dedicato a Carlo Francovich (che fu nel 1953 uno dei suoi fondatori) a distanza di pochi mesi da quello che ricorda la militanza giornalistica di Giorgio Spini

L’Istituto storico della Resistenza in Toscana pubblica un volume dedicato a Carlo Francovich (che fu nel 1953 uno dei suoi fondatori) a distanza di pochi mesi da quello che ricorda la militanza giornalistica di Giorgio Spini precedentemente recensito su queste pagine. Il libro raccoglie ventisette articoli su personaggi ed eventi della Resistenza apparsi tra il 1954 e il 1980 su diverse riviste e più precisamente dodici pubblicati da «Il Ponte», quattro da «Il movimento di liberazione in Italia», dal 1974 in poi «Italia contemporanea», nove dalla rivista dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana, uno da «Mondo operaio», uno da «Astrolabio». Il volume è completato da una premessa del Presidente dell’IRST Ivano Tognarini, da una presentazione del direttore Paolo Bagnoli e da un’introduzione di Zeffiro Ciuffoletti sul tema La Resistenza senza retorica di Carlo Francovich, vengono inoltre ripubblicate per la loro importanza la prefazione che Francovich scrisse nel 1976 per il volume di Paolo Bagnoli Il Risorgimento eretico di Pietro Gobetti e l’introduzione ai lavori del convegno internazionale di studi su Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia d’Italia: Attualità dei fratelli Rosselli a quaranta anni dal loro sacrificio del giugno 1977; chiude la raccolta la riproposizione del ricordo dell’amico e collega che Giorgio Spini pubblicò sulla «Rivista storica Italiana» nell’agosto 1992.Carlo Francovich è scomparso il giorno di Natale del 1990; la sua era una famiglia della nobiltà asburgica proveniente dall’Istria e e più precisamente da Fiume dove era nato nel 1910. Negli anni successivi alla prima guerra mondiale si trasferisce con la famiglia a Firenze, in quegli anni il vero polo d’attrazione per istriani, giuliani e dalmati. Insofferente al clima oppressivo e conformista imposto dal regime, negli anni Trenta Francovich prende interesse alle posizioni crociane per poi spostarsi nell’ombra del movimento liberal socialista gravitante a Pisa attorno alle figure di Aldo Capitini e Guido Calogero. Nel 1942 viene arrestato a Firenze nel corso di una retata che falcidia il gruppo liberal socialista fiorentino. Con lui ci sono anche Cristiano Cordignola, Enzo Enriques Agnoletti, Carlo Furno e Raffaello Ramat, ovverosia buona parte del futuro Partito d’Azione operante nel capoluogo toscano. Nella Resistenza sarà attivo nelle brigate Giustizia e Libertà del Partito d’Azione adoperandosi in un’opera infaticabile di organizzazione della lotta armata. Dopo la fine della guerra compie la scelta comune a molti del suo gruppo: seguire le vicissitudini del Partito D’Azione finché questi esiste e successivamente aderire a quelle piccole formazioni politiche di “terza forza” in cui militano Calamandrei e Codignola che si richiamano a un socialismo autonomista, libertario ed europeista, fino al momento in cui nel PSI prevale la linea autonomista che respinge la subalternità al partito comunista.Negli anni Cinquanta per Francovich inizia una nuova vita segnata dagli studi storici e destinata ben presto a trasformarsi da interesse personale in vero e proprio coinvolgimento professionale; progressivamente dalle prime recensioni storiche apparse su «il Ponte», il suo impegno si sposta su una ricerca di più ampio respiro che darà i primi frutti nel 1951 con lo studio su Filippo Buonarroti e la società dei Veri Italiani. Come fa opportunamente Giorgio Spini, Francovich è stato ispirato in questo caso più che da Cantimori dagli storici suoi toscani, provenienti anch’essi dalle file del Partito D’Azione, e che negli stessi anni andavano ricoprendo lo stesso filone di studi; nel nostro caso Franco Venturi, Alessandro Galante Garrone, Leo Valiani e Aldo Garosci.  I primi saggi di storia sul riformismo utopico e le società segrete andranno a formare il volume del 1962 Albori socialisti del Risorgimento. Contributo allo studio delle società segrete (1776-1835). I suoi studi in questo settore culmineranno nove anni più tardi nella pubblicazione della monografia Storia della Massoneria in Italia, dalle origini alla Rivoluzione francese. Il libro che però doveva dargli la fama anche presso un pubblico più vasto appartiene ad un altro campo di ricerca; si tratta del volume La Resistenza a Firenze edito da «la Nuova Italia» nel 1961 e più volte ristampato. Nel frattempo Francovich aveva iniziato la carriera accademica come libero docente incaricato dell’insegnamento di Storia del Risorgimento nel corso di laurea in Scienze Politiche della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Siena per poi passare come incaricato alla Facoltà Magistero dell’università di Firenze dove infine diverrà ordinario. Il suo interesse in questo nuovo settore di studi derivava dall’impegno che andava profondendo nella cura dell’Istituto Storico della Resistenza Toscana, fondato a Firenze il 9 ottobre 1953 per iniziativa di alcune personalità dell’antifascismo fiorentino, tra cui Carlo Campolmi, Dino Del Poggetto, Enzo Enriques Agnoletti, Mario Fabiani, Mario Leone, Foscolo Lombardi, Attilio Mariotti, Achille Mazzi, Guido Mazzoni, Giulio Montelatici, Nello Niccoli. Francovich ne fu a lungo direttore e poi presidente fino alla morte. Sotto la sua direzione l’IRST amplia la sua biblioteca e le sue raccolte archivistiche, mentre Francovich organizza convegni di studi cercando di portare la storiografia resistenziale fuori dalle secche della memorialistica per condurla sulla strada dell’indagine scientifica, si fa promotore di una serie di pubblicazioni legate all’IRST, scrive articoli, alcuni dei quali sono riprodotti in questo volume. Di fondamentale importanza sarà anche la sua azione in difesa dell’IRST colpito pesantemente dai danni causati dall’alluvione del novembre 1966 (vi è traccia di questo impegno in un breve ma incisivo scritto pubblicato su «Il Ponte» e rintracciabile nel libro alle pagine 134-135).Interessanti per motivi diversi appaiono almeno quattro fra i tanti scritti riproposti nel libro: Funzioni e scopi dell’Istituto Storico della Resistenza, apparso sul bollettino dell’IRST «Atti e studi» nel 1958 (pp.39-50); Un caso ancora controverso: chi uccise Giovanni Gentile? Pubblicato su «Atti e Studi» nel 1961; la recensione ai primi due volumi della biografia di Mussolini scritta da Renzo De Felice comparsa su «Il Ponte» nel 1967 (pp. 142-151); il saggio L’antifascismo democratico fiorentino dal 1930 al 1943 uscito sulle pagine de «il Ponte» nel 1980 (pp. 182-212).Il primo scritto definisce chiaramente quella che per Francovich è la caratteristica che contraddistingue la Resistenza – autentico fenomeno di portata europea teso alla realizzazione di nuovi rapporti sociali improntati alla libertà e alla giustizia – dal Risorgimento che ambisce all’affermazione dei suoi scopi in ambito strettamente nazionale; d’altra parte, scrivendo all’indomani dei Trattati di Roma che avevano portato alla costruzione della CEE e dell’Euratom, Francovich scrive: «io credo che si possa affermare che l’Europa, che avrebbe dovuto sorgere dalla rivoluzione partigiana, non è certamente quella del mercato comune, quell’Europa che si sta cercando di creare adesso, dopo avere ripristinato gli Stati nazionali con le loro strutture antiquate, dopo aver ripristinato il vecchio apparato burocratico ed i gruppi privilegiati interessati al sopravvivere di un mondo più chiuso» (pp. 39-40) .L’articolo sull’uccisione di Giovanni Gentile è senza alcun dubbio quello che storiograficamente è invecchiato di più. Nel suo intervento, infatti, dopo aver riassunto le circostanze in cui avvenne l’attentato, Francovich espone le reazioni che l’avvenimento suscitò sulla stampa di entrambe le parti del conflitto e giunge alla conclusione che «sembrerebbe dunque che non esistano dubbi sull’individuazione degli uccisori di Gentile: i comunisti se ne assunsero allora tutta le responsabilità. Ed anche dopo, personalità qualificate del partito comunista che avevano partecipato alla Resistenza attribuirono ai loro gappisti la paternità dell’episodio» (p.86) Egli però dà voce nel seguito dell’articolo alle chiacchiere circolate subito dopo l’omicidio relativamente alle responsabilità che vi avrebbero visti coinvolti i militi fascisti della banda Carità. Francovich cerca conforto a queste affermazioni da una serie di indizi a partire dai ritardi e dalle omissioni da parte delle autorità e dai silenzi della stampa fascista; cerca di suffragare questa versione dei fatti facendo riferimento alle lamentele che Gentile avrebbe inoltrato alle più alte autorità del regime per protestare contro i metodi brutali utilizzati dalla polizia politica agli ordini di Carità. In base a queste supposizioni, limitate peraltro alla mancanza di documentazione, Francovich dichiara di non poter risolvere il mistero dei mandanti dell’assassinio di Gentile anche se, afferma in conclusione, «non al Fascismo ma ala Repubblica di Salò – nell’aprile del ‘44 – Gentile giovava più da morto che da vivo.». Ora sappiamo, a partire dallo studio di Luciano Canfora «la Sentenza» del 1985, che non è più in discussione l’attribuzione dell’omicidio ai gappisti fiorentini, anche se è tornato d’attualità il tema della convergenza di interessi tra coloro che avrebbero visto favorevolmente l’eliminazione del filosofo in quanto contrari, anche se da sponde contrapposte, alla linea di riconciliazione nazionale proposta da Gentile. Altri studi nel frattempo hanno suffragato l’interpretazione che vuole il PCI mandante dell’uccisione di Gentile come Assassinio di un filosofo. Anatomia di un omicidio politico. Di Francesco Perfetti e Il delitto Gentile, esecutori e mandanti. Novità, mistificazione e luoghi comuni, entrambi pubblicati dall’editore «Le Lettere» rispettivamente nel 2004 e 2005; suggestiva anche la spiegazione degli eventi di Alessandro Campi nel suo lavoro Giovanni Gentile e la RSI edito da ASEFI nel 2001, in cui viene lanciata l’ipotesi della morte necessaria del filosofo che sarebbe servita ai comunisti per liberare il campo dalla ingombrante ipoteca di Gentile sulla cultura italiana, per fare posto all’egemonia marxista.La recensione ai primi due volumi della biografia mussoliniana di De Felice risulta interessante perché si inserisce a pieno titolo nel dibattito storiografico suscitato dall’opera defeliciana. Dopo aver passato in rassegna la moltitudine di recensioni uscite dopo la pubblicazione del primo volume Mussolini il rivoluzionario (1883-1920) nel 1965 ad opera tra gli altri di Roberto Vivarelli, Leo Valiani, Rosario Romeo, Carlo Zaghi, Alessandro Galante Garrone, Gastone Manacorda, Ernesto Rossi, Ernesto Ragionieri, Paolo Spriano, Brunello Vigezzi e Franco Catalano, Francovich riconosce l’importanza< del lavoro compiuto dallo storico reatino, in particolare per l’ampiezza e la novità della documentazione archivistica utilizzata e l’analisi di taluni aspetti come le «varie correnti del movimento interventista (...), i rapporti intercorsi fra fascismo e due massonerie (...), il dannunzianesimo e il fiumanesimo» nonché «la parte che riguarda le varie correnti che fino al 1924 si muovono in seno al fascismo» (p.143); in particolare a questo proposito richiama l’attenzione degli storici a studiare l’evoluzione dei fasci locali che sarà materia a partire dagli anni ‘70 di vari contributi. Ciò che Francovich mette in rilievo negativamente dell’opera di Felice è la prospettiva in cui si pone l’autore, ossia che sia possibile fare la storia del fascismo attraverso la biografia di Mussolini. Da questo punto di vista .- egli scrive -. non è possibile venire a patti generosamente e con intenti assolutori nei confronti di una figura di cui sono evidenti le lacune caratteriali e le contraddizioni politiche e che pure grazie alla sua personalità è riuscito forse a fare velo al giudizio del biografo come pare essere successo con de Felice, in questo echeggiando il giudizio che, a proposito dell’opera defeliciana, Roberto Vivarelli aveva dato sulla rivista «Rivista Storica Italiana». L’ ultimo articolo sul quale intendiamo porre la nostra attenzione è in realtà un lungo saggio di circa trenta pagine corredate di note che riprende il testo della relazione tenuta da Francovich al convegno Presenza e attività dell’antifascismo a Firenze e provincia (1922-1943) che si svolse a Firenze dal 5 all’8 dicembre 1979. Questo scritto è estremamente interessante, perché intessuto di memorie autobiografiche, narra aneddoti poco conosciuti, se non a livello locale, e riporta alla luce l’humus nel quale a Firenze trovarono sbocco gli ideali di Giustizia e Libertà attraverso l’attività Rosselli ed Enrico Bocci, il magistero scientifico e civile di Pietro Calamandrei che attorno a sé aveva riunito alcuni giovani allievi tra cui Tristano Codignola, Enzo Enriques Agnolotti e Carlo Furno, e il movimento liberal socialista che si era diffuso a Firenze, favorita dall’essere più o meno al centro dei due poli di irradiazione  del movimento che erano Pisa e Perugia; il gruppo liberal socialista finirà per attrarre nel capoluogo toscano molti dei giovani insoddisfatti ormai anche delle sponde critiche che il regime offriva loro, costituendo progressivamente un soggetto politico di grande importanza la cui influenza, anche dopo gli arresti del 1942 sarà riversata successivamente nell’esperienza del nuovo Partito D’Azione.
Data recensione: 01/02/2008
Testata Giornalistica: Hitorical Archives of the European Union
Autore: Andrea Becherucci